Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 26 marzo 2015, n. 12924
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MILO Nicola – Presidente
Dott. LEO Guglielmo – Consigliere
Dott. FIDELBO Giorgio – rel. Consigliere
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere
Dott. BASSI Alessandra – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 22 marzo 2013 emessa dalla Corte d’appello di Roma;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere Giorgio Fidelbo;
udito il sostituto procuratore generale Oscar Cedrangolo, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza emessa il 16 dicembre 2009 dal Tribunale in sede, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) in ordine al reato di cui agli articoli 110, 81 cpv. e 319 c.p., cosi’ riqualificata l’originaria contestazione di concussione, perche’ estinto per prescrizione. Con la stessa sentenza i giudici d’appello hanno disposto, ai sensi dell’articolo 240 c.p., comma 2, e articolo 322 ter c.p., la confisca delle somme in sequestro preventivo fino alla concorrenza di euro 23.000,00.
L’imputato, funzionario del Comune di (OMISSIS) presso il settore manutenzione edilizia dei fabbricati, era stato originariamente accusato, assieme al suo dirigente (OMISSIS) e a (OMISSIS), di avere costretto (OMISSIS), titolare della ditta (OMISSIS), a consegnargli somme di denaro per un ammontare complessivo di circa 400-500 milioni di lire, con la minaccia che in mancanza del pagamento di tali tangenti periodiche non avrebbe piu’ svolto l’attivita’ di manutenzione degli immobili comunali.
Dalla sentenza si apprende che l’indagine e’ iniziata a seguito della denuncia di un impiegato comunale, (OMISSIS), il quale lavorando assieme al (OMISSIS) si era accorto che i lavori per la manutenzione degli immobili assegnati a ditte diverse, venivano subappaltati sempre alla ditta di (OMISSIS), il quale spesso certificava lavori in realta’ mai eseguiti. Inizialmente (OMISSIS) veniva indagato per corruzione, ma dopo le sue dichiarazioni, raccolte al termine dell’udienza preliminare in incidente probatorio, si era proceduto per concussione nei confronti dei tre impiegati comunali.
La Corte d’appello, ritenuta provata la percezione delle somme di denaro da parte di (OMISSIS) e (OMISSIS) in base alle dichiarazioni del (OMISSIS), riscontrate dalle spontanee dichiarazioni rese dal (OMISSIS) e dalla documentazione contabile cosi’ come ricostruita dal consulente tecnico, ha tuttavia escluso l’ipotesi della concussione, rilevando come tra i funzionari pubblici e il (OMISSIS) vi sia stato un vero e proprio accordo corruttivo in cui il pagamento delle tangenti costituiva la remunerazione per la garanzia offerta all’imprenditore di lavorare in subappalto e conseguire guadagni lucrosi senza nemmeno rischiare fastidiosi controlli. Tale rapporto corruttivo sarebbe cessato nel gennaio 2004 per cui i giudici hanno ritenuto prescritto il reato di cui all’articolo 319 c.p., alla data del 30 giugno 2012.
Come si e’ anticipato, la sentenza ha anche disposto la confisca delle somme sequestrate nei conti correnti di (OMISSIS) e di (OMISSIS). I giudici hanno ritenuto trattarsi del prezzo del reato di corruzione, confiscabile obbligatoriamente ai sensi del combinato disposto dell’articolo 322 ter c.p., e articolo 240 c.p., comma 2, n. 1, anche in caso di estinzione del reato per prescrizione.
Tuttavia, la confisca e’ stata limitata alla somma di euro 23.000,00, in quanto solo tale tangente e’ risultata adeguatamente provata.
2. L’avvocato (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), ha presentato ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi.
Con il primo motivo denuncia la violazione dell’articolo 414 c.p.p., in quanto per il reato di corruzione, cosi’ come riqualificati i fatti in sede di appello, risulta emesso in data 24.5.2006 un decreto di archiviazione del G.i.p. del Tribunale di Roma, per cui in mancanza dell’autorizzazione alla riapertura delle indagini per tale reato la Corte d’appello non avrebbe potuto procedere alla riqualificazione e conseguente dichiarazione di estinzione per prescrizione. Con il secondo motivo deduce la violazione dell’articolo 111 Cost., e articolo 6, par. 3, lettera a) e b), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali (CEDU). Richiamando la giurisprudenza della Corte EDU, in particolare la sentenza Drassich c. Italia dell’11.12.2007, il ricorrente sostiene che la riqualificazione giuridica del reato operata dai giudici in appello e’ avvenuta d’ufficio, senza che vi sia stata una richiesta in tal senso del pubblico ministero, con la conseguenza che l’imputato non ha potuto esercitare il proprio diritto di difesa in maniera effettiva per il reato di corruzione.
Con il terzo motivo lamenta il vizio di motivazione e la violazione dell’articolo 192 c.p.p., comma 3. In primo luogo evidenzia come i giudici di merito non abbiano verificato con la dovuta cautela e attenzione le dichiarazioni rese da (OMISSIS), ritenuto la principale fonte di accusa dell’imputato, senza considerare le diverse posizioni giuridiche dallo stesso assunte, prima indagato assieme agli altri imputati e allo stesso (OMISSIS) di associazione per delinquere e corruzione, poi diventato vittima di concussione e, a seguito della riqualificazione, nuovamente corruttore. Le dichiarazioni, che sono state ritenute fondamentali, il (OMISSIS) le avrebbe rese in sede di incidente probatorio, all’epoca in cui rivestiva lo status di imputato di reato connesso, sicche’ i giudici avrebbero dovuto valutare le sue accuse ai sensi dell’articolo 192 c.p.p., valutazione che invece non vi e’ stata, non potendosi neppure ritenere come riscontri ne’ le dichiarazioni del coimputato (OMISSIS), ne’ la documentazione acquisita. Pertanto, in mancanza di riscontri oggettivi alle accuse di (OMISSIS) i giudici di appello avrebbero dovuto assolvere l’imputato dal reato contestato ai sensi dell’articolo 129 c.p., comma 2, essendo evidente la prova che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso.
Con il quarto e ultimo motivo il ricorrente censura la sentenza in relazione al capo con cui e’ stata disposta la confisca ex articolo 322 ter c.p., delle somme sequestrate. Richiamata la giurisprudenza della Corte EDU e alcune decisioni della Corte di cassazione, assume che l’articolo 322 ter c.p., non consente la confisca del profitto o del prezzo del reato fuori dai casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 c.p.p.. Nella specie, la dichiarazione di estinzione del reato per avvenuta prescrizione avrebbe dovuto impedire ai giudici di disporre il definitivo provvedimento ablatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il Collegio ritiene che l’ultimo motivo dedotto riguardi una problematica su cui la giurisprudenza di questa Corte ha fornito risposte non sempre univoche, prospettando differenti soluzioni spesso contrastanti tra loro.
Il tema generale attiene alla possibilita’ di disporre la confisca in presenza di un reato dichiarato estinto per intervenuta prescrizione: in particolare, la questione oggetto del ricorso concerne la confisca di una somma di denaro, sequestrata sul conto corrente dell’imputato, costituente il prezzo del reato di corruzione, reato dichiarato estinto ai sensi dell’articolo 157 c.p..
La Corte d’appello, con la sentenza impugnata, dopo aver premesso che le somme di denaro corrisposte dal (OMISSIS) al (OMISSIS), a seguito del patto corruttivo, rappresentano la remunerazione illecita del pubblico ufficiale e sono percio’ definibili come “prezzo del reato”, ha disposto la confisca ex articolo 240 c.p., comma 2, n. 1, di euro 23.000,00 ritenendo che solo tale “tangente” fosse stata adeguatamente provata.
Per giungere ad affermare che la confisca obbligatoria del prezzo della corruzione puo’ essere disposta anche in caso di intervenuta prescrizione del reato, i giudici si sono richiamati a quello che hanno definito un recente orientamento della giurisprudenza di questa Corte secondo cui “l’estinzione del reato non preclude la confisca delle cose che ne costituiscono il prezzo, prevista come obbligatoria dall’articolo 240 c.p., comma 2, n. 1, in conseguenza della condanna, poiche’ il riferimento a quest’ultima non evoca la categoria del giudicato formale, ma implica unicamente la necessita’ di un accertamento incidentale, equivalente rispetto all’accertamento definitivo del reato, della responsabilita’ e del nesso pertinenziale che i beni oggetto di confisca devono presentare rispetto al reato stesso, a prescindere dalla formula con la quale il giudizio viene ad essere formalmente definito” (Sez. 2 , 5 ottobre 2001, n. 39756, Ciancimino; Sez. V, 23 ottobre 2012, n. 48680, Abdelkhalki).
4. Invero, si deve sottolineare che la giurisprudenza distingue a seconda che si tratti di confisca diretta ovvero di confisca per equivalente, ammettendo, non senza contrasti, la confiscabilita’ dei beni costituenti il prezzo o il profitto del reato prescritto solo nel primo caso, cioe’ solo in presenza di una confisca qualificabile come misura di sicurezza; mentre, nel caso di confisca per equivalente la giurisprudenza tende a ritenere precluso il provvedimento ablatorio in presenza di un reato prescritto, in quanto attribuisce a tale tipo di confisca natura sostanzialmente sanzionatoria.
4.1. Come e’ noto quella per equivalente e’ una forma di confisca che trova il suo fondamento e limite nel vantaggio tratto dal reato e prescinde dalla pericolosita’ derivante dalla res, in quanto non e’ commisurata ne’ alla colpevolezza dell’autore del reato, ne’ alla gravita’ della condotta, avendo come obiettivo quello di impedire al colpevole di garantirsi le utilita’ ottenute attraverso la sua condotta criminosa.
Ne consegue che nonostante la definizione codicistica dell’istituto come misura di sicurezza patrimoniale, l’effettiva ratio di questo tipo di confisca consiste in un ampliamento oggettivo delle cose confiscabili per finalita’ prevalentemente sanzionatorie. Proprio l’inadeguatezza del modello tradizionale di confisca – che deve riguardare necessariamente gli stessi beni su cui ha avuto incidenza il reato e che richiede, quindi, la sussistenza del nesso di pertinenzialita’ tra bene e reato – ha determinato il legislatore ad introdurre l’ipotesi della confisca cd. di valore, che puo’ essere disposta solo quando non e’ possibile procedere alla confisca “ordinaria”. La giurisprudenza ha evidenziato come scopo di questo istituto e’ quello di superare le angustie della confisca “tradizionale”, rispetto alla quale si pone in un rapporto di alternativita’ – sussidiarieta’, per la sua attitudine a costituire un rimedio alle difficolta’ di apprensione dei beni coinvolti nella vicenda criminale, cioe’ a supplire agli ostacoli connessi alla individuazione del bene in cui si incorpora il profitto e di consentire la confisca anche nel caso in cui l’apprensione del prezzo o del profitto derivante dal reato non sia piu’ possibile in conseguenza dell’avvenuta cessione a terzi oppure a causa di forme di occultamento o, semplicemente, perche’ i beni sono stati consumati.
In questi casi la confisca per equivalente consente di aggredire ugualmente il profitto illecito perche’ si riferisce al valore illecitamente acquisito. E’ evidente, quindi, come il nesso eziologico tra i beni oggetto di confisca e il fatto-reato dimostri una tendenza ad allentarsi fino a scomparire, in quanto il provvedimento ablatorio colpisce i beni indipendentemente dal loro collegamento, diretto o mediato, con il reato. Allora, la provenienza dei beni da reato non rappresenta piu’ oggetto di prova, dal momento che scompare ogni relazione di tipo causale.
Ed e’ proprio in base a queste caratteristiche della confisca per equivalente che la giurisprudenza – sostenuta dalla dottrina – ne valorizza la natura sanzionatoria (Sez. 3 , 24 settembre 2008, n. 39172, Canisto; Sez. 3 , 24 settembre 2008, n. 39173, Tiraboschi; Sez. 6 , 18 febbraio 2009, n. 13098, Molon; Sez. 5 , 26 ottobre 2010, n. 11288, Natali, tutte riferite all’articolo 322 ter c.p., in materia tributaria; v., inoltre, Sez. I, 28 febbraio 2012, n. 11768, Barilari; Sez. 2 , 13 maggio 2010, n. 21027, Ferretti; Sez. 2 , 29 gennaio 2009, n. 11912, Minardi, nonche’ Sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, Fisia Italimpianti, quest’ultima con riferimento alla confisca di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 19).
La stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 97 del 2009, richiamandosi alla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (sentenza n. 307A/1995, Welch c. Regno Unito), ha ritenuto che la confisca per equivalente non abbia natura di misura di sicurezza, negando che potesse essere applicata in via retroattiva ai sensi dell’articolo 200 c.p., e affermando, invece, il ricorso all’articolo 25 Cost., e articolo 2 c.p..
Ebbene, secondo le decisioni citate la natura sanzionatoria e’ desumibile dalla confiscabilita’ di beni che, oltre a non avere alcun rapporto con la pericolosita’ individuale del reo, non hanno un collegamento diretto neppure con il singolo reato e la cui ratio e’ quella di privare il reo di un qualunque beneficio economico dell’attivita’ criminosa, anche di fronte all’impossibilita’ di aggredire l’oggetto principale, nella convinzione della capacita’ dissuasiva e disincentivante di tale strumento.
Ne consegue che proprio la natura sanzionatoria impedisce che la confisca per equivalente possa trovare applicazione anche in relazione al prezzo o al profitto di reato derivante da un reato estinto per prescrizione: una volta che questo tipo di confisca viene accostata ad una sanzione di natura penale e’ indispensabile che sia preceduta da una pronuncia di condanna, dovendo escludersi che possa trovare applicazione il regime sulle misure di sicurezza patrimoniale, come gli articoli 200, 210 e 236 c.p., che, come si e’ visto, derogano ai principi penalistici della irrevocabilita’ e della inapplicabilita’ della sanzione penale in caso di estinzione del reato. Del resto appare difficile offrire una diversa lettura delle specifiche disposizioni contenute nell’articolo 322 ter c.p., che appunto subordina la confisca, anche quella di valore, alla condanna o all’applicazione della pena su richiesta delle parti: la confisca per equivalente puo’ essere applicata, al pari delle sanzioni penali, solo a seguito dell’accertamento della responsabilita’ dell’autore del reato (Sez. 6 , 6 dicembre 2012, n. 18799, Attianese; Sez. 6 , 25 gennaio 2013, n. 21192, Barla).
4.2. Meno omogeneo e’ il quadro offerto dalla giurisprudenza con riferimento al medesimo tema, riferito pero’ alla confisca-misura di sicurezza. Infatti, se la giurisprudenza appare tendenzialmente compatta nell’escludere la confiscabilita’ del prezzo (o profitto) del reato in presenza dell’intervenuta prescrizione nel caso di confisca per equivalente, sussiste un contrasto nella diversa ipotesi di confisca intesa come misura di sicurezza, dal momento che le sentenze piu’ recenti sembrano aver superato l’insegnamento delle Sezioni unite De Maio.
4.2.1. Come puntualmente ricordato dalla sentenza impugnata, un primo e piu’ risalente orientamento sostiene che l’estinzione del reato preclude la confisca delle cose che ne costituiscono il prezzo, prevista come obbligatoria dall’articolo 240 c.p., comma 2, n. 1, e mette in evidenza come la misura di sicurezza patrimoniale presupponga necessariamente la condanna (Sez. un., 10 luglio 2008, n. 38834, De Maio; Sez. 2 , 4 marzo 2010, n. 12325, Dragone; Sez. 6 , 9 febbraio 2011, n. 8382, Ferone; stesso principio era gia’ stato affermato da Sez. un., 25 marzo 1993, n. 5, Carlea). Piu’ precisamente, si assume che l’estinzione del reato per prescrizione impedisce la confisca, anche se obbligatoria, delle cose che ne costituiscono il prezzo, perche’ la misura ablativa e’ prevista non in ragione dell’intrinseca illiceita’ delle stesse, bensi’ in forza del loro peculiare collegamento con il reato, “il cui positivo accertamento e’ necessario presupposto” (in questi termini, Sez. 6 , 9 febbraio 2011, n. 8382, Ferone).
4.2.2. Un diverso orientamento riconosce, invece, la possibilita’ di applicazione della confisca obbligatoria a norma dell’articolo 240 c.p., comma 2, n. 1, nell’ipotesi di estinzione del reato facendo leva sul combinato disposto degli articoli 210 e 236 c.p., cioe’ su norme specificamente dedicate alle misure di sicurezza e che, in relazione alla confisca, prevedono una deroga al principio stabilito dal citato articolo 210 c.p., secondo cui l’estinzione del reato impedisce l’applicazione delle misure di sicurezza. Invero, le ragioni in base alle quali questo filone interpretativo giustifica il ricorso alla confisca nonostante l’intervenuta estinzione del reato sono piu’ articolate, insistendo, da un lato, sul fatto che la misura di sicurezza della confisca obbligatoria risponde ad una duplice finalita’, cioe’ “colpire il soggetto che ha acquisito i beni illecitamente” ed “eliminare in maniera definitiva dal mondo giuridico e dai traffici commerciali valori patrimoniali la cui origine risale all’attivita’ criminale posta in essere, essendo il provvedimento ablativo correlato ad una precisa connotazione obiettiva di illiceita’ che investe la res determinandone la pericolosita’ in se'”; dall’altro, sulla circostanza che anche la dichiarazione di estinzione del reato puo’ essere preceduta da una pronuncia di condanna che riconosca la sussistenza del reato cui la confisca e’ collegata. In questo senso, Sez. 2 , 25 maggio 2010, n. 32273, Pastore e Sez. 1 , 4 dicembre 2008, n. 2453, Squillante, cui puo’ aggiungersi anche Sez. 2 , 5 ottobre 2011, n. 39756, Ciancimino, tutte in tema di confisca obbligatoria prevista dall’articolo 240 c.p..
In alcune di queste decisioni, si e’ messo in evidenza come la “condanna” cui si riferisce l’articolo 240 c.p. “funge da presupposto quale termine evocativo proprio di quell’accertamento che ontologicamente giustifica, sul piano normativo, la sottrazione definitiva del bene, in quanto proveniente dal reato” e da cio’ si e’ desunto che “cio’ che viene posto a fulcro della disciplina codicistica, non e’ il rinvio ad un concetto di condanna evocativo della categoria del giudicato formale, ma – piu’ concretamente – il richiamo ad un termine che intende esprimere un valore di equivalenza rispetto all’accertamento definitivo del reato, della responsabilita’ e del nesso di pertinenzialita’ che i beni oggetto di confisca devono presentare rispetto al reato stesso: a prescindere, evidentemente, dalla formula con la quale il giudizio viene ad essere formalmente definito”.
In altri termini, puo’ esservi un ambito in cui residui la possibilita’ di disporre la confisca in relazione ad un reato prescritto, purche’ vi sia l’effettivita’ di un accertamento dei profili di responsabilita’; mentre deve ritenersi preclusa la misura di sicurezza nei casi in cui la estinzione del reato per prescrizione maturi prima del promovimento dell’azione penale, ovvero quando l’estinzione sia dichiarata nell’udienza preliminare o con sentenza emessa ai sensi dell’articolo 129 c.p.p., ipotesi in cui difetta ogni tipo di accertamento in ordine alla responsabilita’ dell’imputato.
5. Peraltro, tenendo presente questo assetto giurisprudenziale deve rilevarsi un ulteriore e collegato problema relativo alle modalita’ della confisca del denaro sequestrato sul conto corrente e costituente il prezzo del reato.
5.1. Un primo e piu’ recente orientamento e’ nel senso di ritenere che nel caso in cui il prezzo o il profitto tratto da uno dei reati indicati nell’articolo 322 ter c.p., sia costituito dal denaro, il giudice deve disporre la confisca obbligatoria del profitto in forma diretta, ai sensi della prima parte del comma 1 del citato articolo 322 ter cit., e non la confisca per equivalente ai sensi della seconda parte del predetto comma, attesa la fungibilita’ del bene in questione (Sez. 6 , 14 giugno 2007, n. 30966, Puliga; Sez. 6 , 26 novembre 2009, n. 14274, Canalia; Sez. 7 , 12 novembre 2014, n. 50482, Castellani). Secondo queste decisioni quando il prezzo (o il profitto) del reato e’ costituito da numerario la confisca puo’ essere disposta in via diretta trattandosi di sottoporre a sequestro le disponibilita’ di conto corrente dell’imputato, cioe’ cose fungibili.
Si tratta di un orientamento che ha ricevuto l’avallo anche delle Sezioni unite che, in una recente decisione, hanno ribadito che quando il profitto del reato e’ costituito da somme di denaro e’ legittima la confisca diretta disposta ai sensi della prima parte dell’articolo 322 ter c.p., comma 1, sul conto corrente nella disponibilita’ dell’imputato (Sez. un., 30 gennaio 2014, n. 10561, Gubert). Questa sentenza propone un deciso ampliamento dei casi di confisca diretta, sostenendo che quando il profitto sia costituito da denaro l’adozione del sequestro – e della successiva confisca – “non e’ subordinato alla verifica che le somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilita’ dell’indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all’importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare”.
In questo modo, anche nella confisca diretta avente ad oggetto il denaro, che sia prezzo o profitto del reato, diventa del tutto indifferente l’accertamento del collegamento pertinenziale tra bene e reato, cosi’ come avviene nel caso di confisca per equivalente, determinando, sotto questo profilo, una sostanziale identita’ funzionale delle due tipologie di provvedimenti ablatori.
Tuttavia, come si e’ visto, a tale identita’ funzionale finiscono per corrispondere conseguenze diverse proprio in materia di possibilita’ di disporre la confisca in presenza di reati prescritti.
5.2. Una diversa impostazione, precedente alla sentenza Gubert, sottolinea invece – sempre in materia di sequestro/confisca di somme di denaro – l’esigenza di una diretta derivazione causale dall’attivita’ del reo, intesa quale stretta relazione con la condotta illecita, al fine di evitare un’estensione indiscriminata ed una dilatazione indefinita ad ogni e qualsiasi vantaggio patrimoniale, indiretto o mediato, che possa scaturire da un reato (Sez. un., 24 maggio 2004, n. 29951, Focarelli). Affermazione quest’ultima contraddetta dalla citata sentenza “Gubert” che, invece, contiene l’affermazione secondo cui il concetto di profitto o provento di reato legittimante la confisca comprende non solo i beni appresi per effetto diretto ed immediato dall’illecito, ma ogni altra utilita’ che sia conseguenza anche indiretta o mediata dell’attivita’ criminosa posta in essere. L’indirizzo “tradizionale” sostenuto dalla sentenza “Focarelli” e’ stato in parte ripreso, recentemente, da Sez. V, 4 giugno 2014, n. 27523, Argento, che ha sostenuto che il sequestro preventivo del profitto del reato, qualora quest’ultimo sia costituito da un mancato esborso di denaro, puo’ avvenire esclusivamente nelle forme del sequestro per equivalente, in quanto tale vantaggio consiste in una immateriale entita’ contabile che non si e’ mai incorporata in moneta contante. In questo caso si e’ ritenuto che quando la illecita locupletazione si sostanzia in un mancato esborso, il sequestro dovra’ necessariamente avvenire “per equivalente” e cio’, non solo perche’ il denaro e’ bene assolutamente fungibile (di talche’ non avrebbe senso, come e’ ovvio, il vincolo apposto su quelle specifiche banconote), ma principalmente perche’, in tal caso, esso non ha mai avuto una sua dimensione fisica, ma e’ consistito in una immateriale entita’ contabile che, proprio perche’ non ha dato luogo a un esborso, non si e’ mai “incorporata” in moneta contante (in senso analogo, Sez. 5 , 26 gennaio 2010, n. 11288, Natali, secondo cui il sequestro preventivo di somme di denaro depositate presso banche comporta la previa individuazione del rapporto di pertinenza con i reati per i quali si procede, nel senso che deve trattarsi di denaro che costituisca il prodotto, il profitto o il prezzo del reato oppure che sia servito a commetterlo o, comunque, concretamente destinato alla commissione del medesimo, sicche’ l’astratta possibilita’ di destinare il denaro a tale fine non e’ sufficiente a farlo ritenere cosa pertinente al reato).
Nell’ambito dello stesso indirizzo sembra porsi anche Sez. 2 , 12 marzo 2014, n. 14600, Ber Banca, che ha affermato che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del denaro, costituente il profitto del reato, puo’ colpire sia la somma che si identifica proprio in quella che e’ stata acquisita attraverso l’attivita’ criminosa sia la somma corrispondente al valore nominale, ovunque sia stata rinvenuta e comunque sia stata investita.
In particolare, la Corte ha precisato che in relazione al sequestro di somme di denaro e’ necessario che la somma sia pertinente al reato contestato, sicche’ una somma di denaro che non abbia alcuna pertinenza con il reato non puo’ essere sequestrata; tuttavia, una volta dimostrata la pertinenza, il sequestro puo’ colpire sia quelle somme che si identifichino proprio in quelle che sono state acquisite attraverso l’attivita’ criminosa (ossia il denaro fisicamente uguale a quello ricevuto dall’agente), sia la somma corrispondente al valore nominale, ovunque sia stata rinvenuta e comunque sia stata investita. In quest’ultimo caso, la sentenza spiega che, proprio in ragione della fungibilita’ del danaro e della sua funzione di mezzo di pagamento, il sequestro non deve necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente percepite, bensi’ una somma corrispondente al loro valore nominale ovunque sia stata rinvenuta, purche’ sia attribuibile all’indagato.
6. In conclusione, si rileva come in questa materia, in continua evoluzione, vi sono orientamenti contraddittori su aspetti particolarmente rilevanti e delicati in cui si fronteggiano decisioni che si richiamano a principi affermati dalle Sezioni unite, ma in ambiti diversi, situazione questa che giustifica un intervento chiarificatore del Supremo consesso.
Una prima questione, che emerge da quanto esposto in precedenza, attiene alla possibilita’ di disporre la confisca del prezzo del reato nonostante questo sia dichiarato prescritto ovvero quando manchi una sentenza di condanna o di applicazione concordata della pena: in questo caso, il contrasto e’ interno all’orientamento che ritiene che in tali casi la confisca debba essere disposta in via diretta.
Inoltre, vi e’ anche un’altra questione, collegata alla prima, relativa alle modalita’ da osservare in caso di confisca di somme di denaro depositate sul conto corrente, se cioe’ debba disporsi la confisca per equivalente ovvero quella diretta, e in quest’ultimo caso se debba o meno ricercarsi e in che limiti il nesso pertinenziale tra denaro e reato.
Pertanto, il Collegio ritiene di rimettere il ricorso alle Sezioni unite ai sensi dell’articolo 618 c.p.p..
Rimette il ricorso alle Sezioni unite.
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