Suprema Corte di Cassazione,
sezione VI
ordinanza 26 giugno 2014, n. 14501
Rilevato che in data 28 novembre 2013 è stata depositata relazione ex art. 380 bis che qui si riporta senza modifiche sostanziali:
1. Il Tribunale di Vallo della Lucania, con sentenza n. 78/11 del 4 febbraio 2011, in sede di definizione del giudizio per la dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio, ha posto a carico di G.D.R. il contributo mensile di 600 euro in favore di G.A. e di euro 400 in favore della figlia G. convivente con la madre e non ancora indipendente economicamente.
2. Ha proposto appello D.R. rilevando che le sue condizioni economiche erano fortemente peggiorate nelle more del giudizio di divorzio a seguito del licenziamento dal suo precedente posto di lavoro, che la A. non aveva diritto a un assegno divorzile in considerazione del suo patrimonio immobiliare e delle sue condizioni economiche e della durata estremamente breve del matrimonio durato solo alcuni mesi, che la figlia G. non era anch’essa in condizione di dover ricevere un assegno di mantenimento e di veder pagate dal padre le sue spese straordinarie o subordinatamente tale assegno poteva essere ridotto a 260 euro mensili.
3. L’appello è stato parzialmente accolto dalla Corte di appello che ha ridotto a 450 euro mensili l’assegno divorzile lasciando invece immutata la misura dell’assegno di mantenimento della figlia G.
4. Propone ricorso per cassazione G.D.R. affidandosi ad un unico motivo di impugnazione con il quale deduce la violazione dell’art. 5 comma 6, della legge n. 898/1970 come modificato dall’art. 10 della legge n. 74/1987.
5. Si difende con controricorso G.A.
Ritenuto che:
6. Il motivo è inammissibile in quanto riproduce le deduzioni in fatto già ampiamente esaminate dai giudici di merito che hanno riscontrato, per un verso, l’impossibilità per la A. di procurarsi con i propri mezzi economici non solo un tenore di vita tendenzialmente corrispondente a quello goduto in costanza di matrimonio ma anche un tenore di vita dignitoso, e, per altro verso, la forte sproporzione dei redditi dei due ex coniugi senza che le condizioni patrimoniali della A. possano considerarsi tali da riequilibrarla. Rimane pertanto del tutto indeterminata la censura relativa alla violazione di legge che appare in ogni caso insussistente in quanto la Corte distrettuale ha fatto piena applicazione dei principi giurisprudenziali invocati dallo stesso ricorrente.
7. Sussistono pertanto i presupposti per la trattazione della controversia in camera di consiglio e se l’impostazione della presente relazione verrà condivisa dal Collegio per il rigetto del ricorso.
La Corte condivide tale relazione e pertanto ritiene che il ricorso vada respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in euro 2.200, di cui 200 per spese, disponendo che il pagamento delle spese sia eseguito a favore dello Stato (art. 133 D.P.R. n. 115/02). Dispone altresì che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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