cassazione 7

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza  25 febbraio 2015, n. 3882

Svolgimento del processo

È stata depositata la seguente relazione.
«1. La Serranò Scavi s.r.l., nella qualità di conduttrice di un immobile ad uso diverso da quello di abitazione, propose opposizione al decreto col quale il Presidente del Tribunale di Monza le aveva ingiunto il pagamento della somma di euro 14.581 in favore del locatore M.I..
Costituitosi il locatore, il Tribunale rigettò l’opposizione.
2. Proposto appello dalla Serranò Scavi s.r.l., la Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 17 aprile 2013, in parziale accoglimento del gravame, ha revocato il decreto ingiuntivo, condannando la parte appellante al pagamento della minore somma di euro 5.882,80 – così indicata nella motivazione, a correzione di un errore materiale di cui al dispositivo letto in udienza – nonché al pagamento della metà delle spese dei due gradi di giudizio. 3. Contro la sentenza d’appello ricorre la Serranò Scavi s.r.l., con atto affidato a due motivi.
M.I. non ha svolto attività difensiva in questa sede.
4. Osserva il relatore che il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., in quanto appare destinato ad essere parzialmente accolto. 5. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., sul rilievo che la sentenza in esame avrebbe riconosciuto, a favore del locatore, alcuni importi da questo mai richiesti. Tanto in base al rilievo che, essendo il locatore rientrato in possesso del bene alla data del 30 giugno 2008, residuava in suo favore solo il diritto a percepire i canoni dei mesi di maggio e giugno 2008, mentre la sentenza avrebbe riconosciuto una somma maggiore per altri titoli estranei al pagamento del canone.
5.1. Il motivo è inammissibile, in quanto pone all’esame di questa Corte un profilo nuovo, non discusso in sede di merito. Risulta dall’atto di appello, il cui contenuto la società ricorrente riporta, che le contestazioni oggetto di causa riguardavano altri profili (la presunta nullità del contratto, il carattere consensuale della risoluzione, la restituzione del deposito cauzionale e l’imposta di registro). Nulla risulta essere stato eccepito in sede di merito relativamente alle ulteriori voci che il locatore avrebbe asseritamente richiesto col decreto ingiuntivo (v. p. 5 del ricorso).
Sicché la novità della questione ne determina l’inammissibilità.
6. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 11 della legge 27 luglio 1978, n. 392, e dell’art. 416 del codice di procedura civile.
6.1. Il motivo è fondato.
La Corte d’appello, infatti, nel confermare sul punto la decisione del Tribunale, ha osservato che l’obbligo di restituzione del deposito cauzionale non era configurabile, nella specie, in capo al locatore, perché dalla corrispondenza esistente tra le parti risultava che il medesimo aveva lamentato l’esistenza di danni cagionati dal conduttore, avanzandone anche «generica richiesta di risarcimento». È tuttavia da condividere il rilievo della società ricorrente secondo cui, una volta che la locazione si è conclusa con la restituzione del bene, il locatore non può rifiutarsi di restituire il deposito sulla base di generiche contestazioni o, semplicemente, riservandosi di agire in un separato giudizio per il risarcimento dei danni. Valgono, al riguardo, le sentenze di questa Corte secondo le quali l’obbligazione del locatore di restituire al conduttore il deposito cauzionale dal medesimo versato in relazione gli obblighi contrattuali sorge al termine della locazione non appena avvenuto il rilascio dell’immobile locato, con la conseguenza che, ove il locatore trattenga la somma anche dopo il rilascio dell’immobile da parte del conduttore, senza proporre domanda giudiziale per l’attribuzione, in tutto o in parte, della stessa a copertura di specifici danni subiti, il conduttore può esigerne la restituzione (sentenze 15 ottobre 2002, n. 14655, e 21 aprile 2010, n. 9442). 7. Si ritiene, pertanto, che il ricorso vada trattato in camera di consiglio per essere dichiarato inammissibile quanto al primo motivo e per essere viceversa accolto quanto al secondo».

Motivi della decisione

1. La società ricorrente non ha presentato memoria in riferimento alla relazione depositata, mentre il suo difensore ne ha contestato il contenuto nel corso dell’udienza camerale fissata. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, ritiene il Collegio di condividere i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione medesima e di doverne fare proprie le conclusioni. 2. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile quanto al primo motivo ed è accolto quanto al secondo.
La sentenza impugnata è cassata nei limiti del motivo accolto ed il giudizio rinviato alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione personale, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione personale, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

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