Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 22 dicembre 2015, n. 25852
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente
Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16454-2014 proposto da:
(OMISSIS) SPA (OMISSIS), in persona del Responsabile della U.O. Contenzioso della Riscossione di (OMISSIS) Spa, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO (OMISSIS) SRL, in persona del curatore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso il decreto n. 38382/2013 del TRIBUNALE di TORINO del 15/05/2014, depositato il 19/05/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/09/2015 dal Consigliere Relatore Dott. MAGDA CRISTIANO;
udito l’Avvocato (OMISSIS) difensore della ricorrente che si riporta agli scritti;
udito l’Avvocato (OMISSIS) (delega avvocato (OMISSIS)) difensore del controricorrente che si riporta ai motivi del controricorso.
FATTO E DIRITTO
E’ stata depositata la seguente relazione:
1) Il tribunale di Torino, con decreto del 19.5.2014, ha respinto l’opposizione ex articolo 98 L.F. “proposta da (OMISSIS) s.p.a per ottenere l’ammissione allo stato passivo del Fallimento della (OMISSIS) s.r.l. di crediti erariali insinuati con due distinte domande tardive, contrassegnate nell’elenco ai nn. T/28 e T/29.
Il tribunale ha rilevato che (OMISSIS) aveva gia’ chiesto ed ottenuto l’ammissione dei crediti dedotti in giudizio, che avevano formato oggetto di un’altra domanda di insinuazione tardiva (T/23), di cui quelle nn. T/28 e T/29 costituivano (per la parte di interesse) mera ed inammissibile duplicazione; ha inoltre ritenuto che l’opponente versasse in colpa grave, per aver omesso di verificare la correttezza del provvedimento di esclusione, fondato sulla medesima ragione, non solo prima della proposizione del ricorso ex articolo 98 L.F., ma persino in corso di causa, nonostante le fosse stato concesso un termine proprio a tale scopo, e l’ha pertanto condannata al pagamento, oltre che delle spese di lite, anche della somma di euro 4.000, equitativamente determinata ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 3.
2) Il decreto e’ stato impugnato da (OMISSIS) S.p.a con ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui il Fallimento della (OMISSIS) s.r.l. ha resistito con controricorso.
2.1) Con il primo motivo la ricorrente contesta che potesse ravvisarsi nella specie un suo comportamento gravemente colposo, sanzionabile ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 3. Deduce al riguardo che l’agente per la riscossione dei tributi ha l’obbligo di riscuotere i ruoli che gli sono trasmessi dall’ente impositore e non ha alcun potere di controllo o di verifica del loro contenuto, cosicche’ non puo’ essergli imputato di aver richiesto con distinte domande l’ammissione dei medesimi crediti, comunque portati da tre diversi estratti del ruolo.
2.2) Col secondo motivo (OMISSIS) lamenta il rigetto dell’opposizione, osservando che sarebbe stato onere della controparte provare la duplicazione delle domande, non desumibile dalla mera “somiglianza” delle iscrizioni a ruolo.
2.3) Con l’ultimo motivo di ricorso la ricorrente si duole di essere stata condannata al pagamento delle spese processuali, deducendo di aver agito nel rispetto degli obblighi impostile dalla vigente normativa in materia di riscossione ed in assoluta buona fede.
3.1) Il secondo motivo, che precede gli altri in ordine logico, appare inammissibile, in quanto si limita a denunciare, peraltro in via del tutto generica, una pretesa violazione dell’onere della prova, ma non contesta l’accertamento compiuto dal giudice del merito – sul quale si fonda la decisione impugnata – secondo cui gli estratti del ruolo allegati alle tre diverse domande facevano riferimento ai medesimi tributi, individuati con i medesimi codici, in relazione ai medesimi anni ed agli stessi importi.
3.2) Il terzo motivo appare manifestamente infondato: condannando (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali il tribunale ha correttamente applicato l’articolo articolo 91 c.p.c., comma 1, che prevede che le spese siano poste a carico della parte soccombente senza contemplare eccezioni di sorta, in ragione della qualita’ di tale parte o della sua asserita buona fede.
3.3) Anche il primo motivo appare manifestamente infondato.
L’addetto alla riscossione tributi non puo’ infatti ritenersi esonerato dall’osservanza del disposto dell’articolo 96 c.p.c. per il solo fatto di agire nella qualita’ di mandatario dell’ente impositore. Come correttamente rilevato dal Fallimento controricorrente, la condanna ex articolo 96, comma 3 si fonda, nella specie, non gia’ sul rilievo dell’avvenuta duplicazione delle domande, ma sul successivo comportamento processuale di (OMISSIS), che non solo ha ignorato le motivazioni in base alle quali esse erano state respinte dal giudice delegato, ma neppure si e’ curata di operare i dovuti controlli nel corso del giudizio, nonostante avesse richiesto e ottenuto un rinvio dell’udienza proprio a tale scopo.
Ebbene, non v’e’ alcuna norma, fra quelle dettate in materia di riscossione dei tributi, dalla quale possa desumersi l’obbligo dell’agente di impugnare il provvedimento di esclusione del credito e di insistere per l’accoglimento di una domanda della quale, sulla scorta dei documenti che sono in suo possesso, puo’ agevolmente verificare la manifesta infondatezza. Il mandatario, infatti, non e’ un mero esecutore materiale degli ordini che provengono dal mandante, ma ha piena ed autonoma capacita’ processuale ed e’ perfettamente in grado di decidere se, a fronte del rischio meramente ipotetico (e pressoche’ insussistente in una fattispecie quale quella in esame) di essere chiamato a rispondere del mancato riconoscimento del credito da parte dell’ente impositore, sia per lui piu’ conveniente iniziare o proseguire un’azione che, per la sua palese pretestuosita’, potrebbe comportare l’irrogazione di una sanzione ai sensi dell’articolo 96 c.p.c.. Si dovrebbe pertanto concludere per il rigetto del ricorso, con decisione che potrebbe essere assunta in camera di consiglio, ai sensi degli articoli 375 e 380 bis c.p.c..
Il ricorrente ha depositato memoria.
Il collegio ha esaminato gli atti, ha letto la relazione e ne ha condiviso le conclusioni, non utilmente contraddette da (OMISSIS) nella memoria depositata.
Va in primo luogo rilevata l’inammissibilita’ delle nuove deduzioni in fatto che la ricorrente ha illustrato per la prima volta nella memoria.
Quanto alla questione di diritto, va ribadito che l’agente alla riscossione agisce in giudizio in proprio, sia pure in virtu’ del sottostante rapporto di mandato intercorrente con l’ente impositore, cosicche’ spetta ad esso, e non al mandante, la scelta se rinunciare o meno all’azione: ne consegue che, al pari di ogni altro soggetto dotato di legittimazione, anche l’agente soggiace alla sanzione processuale derivante dall’aver agito con colpa grave, per avere (come nel caso di specie) non solo riproposto una domanda avente ad oggetto un credito gia’ in precedenza accertato, ma insistito per ottenerne l’accoglimento persino dopo aver usufruito, a sua richiesta, di un apposito termine per verificare i documenti di cui e’ in possesso od assumere le necessarie informazioni presso il mandante.
Non puo’ dubitarsi, d’altro canto, dell’estraneita’ del contribuente al rapporto di mandato fra l’amministrazione finanziaria e l’agente, con la conseguenza che quest’ultimo non puo’ ritenersi esonerato dalla responsabilita’ aggravata di cui all’articolo 96 c.p.c. (della quale risponde verso la controparte processuale) in ragione della responsabilita’ assunta nei confronti dell’ente impositore:
al di la’ del rilievo che, per sottrarsi alla responsabilita’ derivante dal rapporto di mandato, il mandatario puo’ chiedere di essere autorizzato a chiamare in giudizio l’amministrazione mandante, spetta infatti esclusivamente all’agente di decidere se, a fronte dell’ipotetico rischio di essere chiamato a rispondere del mancato riconoscimento del credito da parte dell’ente impositore, sia per lui piu’ conveniente iniziare o proseguire un’azione che, per la sua palese pretestuosita’, potrebbe comportare l’irrogazione di una sanzione ai sensi dell’articolo 96 cit.
Cio’ senza contare che, come correttamente rilevato dal Fallimento controricorrente, dovrebbe, piuttosto, essere il mandatario a rivalersi verso l’amministrazione delle spese processuali incontrate per aver dovuto promuovere, per l’errore di questa, un’azione di indebita riscossione.
Il ricorso deve pertanto essere respinto.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in euro 1600, di cui euro 100 per esborsi, oltre accessori.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla Legge 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
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