cassazione 8

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 17 giugno 2015, n. 12464

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21660/2013 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), eredi del Sig. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS) SPA (OMISSIS), in persona del Responsabile degli Affari Legali, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 70/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di LECCE SEZIONE DISTACCATA di TARANTO del 27/02/2013, depositata il 28/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/04/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI.

FATTO E DIRITTO

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), eredi di (OMISSIS), agivano in giudizio per ottenere la condanna della (OMISSIS) s.p.a., alle cui dipendenze aveva lavorato il loro dante causa, al risarcimento del danno biologico conseguente all’avvenuta esposizione sul luogo di lavoro a sostanze nocive, in assenza di strumenti adeguati di prevenzione, che avevano causato l’insorgenza di un tumore cui era seguita la morte.

Si era costituita la (OMISSIS) s.p.a. eccependo, preliminarmente, la nullita’ del ricorso introduttiva, per mancata esposizione degli elementi di fatto e di diritto costitutivi della domanda, l’insussistenza dei presupposti per una condanna in via autonoma della societa’ al risarcimento del danno, la improponibilita’ della domanda per essere intervenuta tra le parti una transazione e, in ogni caso, la sua infondatezza.

Il Tribunale, in esito ad una consulenza tecnica, rigettava la domanda e la Corte di appello,respingeva il gravame ritenendo di non poter esaminare le questioni pregiudiziali rigettate in primo grado e reiterate in appello in mancanza di uno specifico appello incidentale da parte della societa’.

Per la cassazione della sentenza ricorrono (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), eredi di (OMISSIS) e denunciano la violazione e falsa applicazione da parte della Corte territoriale dell’articolo 2087 c.c..

Resiste la (OMISSIS) s.p.a. con controricorso e propone ricorso incidentale con il quale lamenta l’omessa pronuncia da parte della Corte di merito sulle questioni pregiudiziali che, rigettate dal Tribunale che aveva poi respinto nel merito la domanda, erano state comunque ritualmente reiterate in appello ai sensi dell’articolo 346 c.p.c.. La controricorrente ha depositato memoria.

Preliminarmente va disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale.

Tanto premesso il ricorso principale, manifestamente infondato, deve essere rigettato con assorbimento del ricorso incidentale della (OMISSIS) s.p.a..

Va rammentato che “in applicazione del principio processuale della ragione piu’ liquida – desumibile dagli articoli 24 e 111 Cost. – deve ritenersi consentito al giudice esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale” (cfr. Cass. s.u. n. 9936 del 2014). Ne consegue che secondo tale approccio interpretativo si deve procedere alla verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo, piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica, consente di sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare con la conseguenza che la causa puo’ essere decisa sulla base della questione ritenuta di piu’ agevole soluzione – anche se logicamente subordinata – senza che sia necessario esaminare previamente le altre (cfr. anche Cass. n. 12002 del 2014).

Cio’ posto si osserva che i ricorrenti censurano la sentenza di appello dolendosi in particolare della errata applicazione delle regole che disciplinano l’accertamento dell’esistenza di un nesso di causalita’ tra condotta lesiva e danno.

Sostengono i ricorrenti che allegata e provata sia l’esposizione del lavoratore ad agenti cancerogeni che la contrazione della malattia il nesso causale doveva ritenersi dimostrato non avendo la societa’ provato di aver adottato misure idonee a proteggere il lavoratore e non essendo stata offerta la prova della sopravvenuta incidenza di fattori causali sopravvenuti idonei ad interrompere il nesso di consequenzialita’ tra condotta ed evento.

Va rammentato che l’articolo 2087 c.c., non configura un’ipotesi di responsabilita’ oggettiva, in quanto la responsabilita’ del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Incombe sul lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attivita’ lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocivita’ dell’ambiente di lavoro, nonche’ il nesso tra l’uno e l’altro. Solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non e’ ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi.

La Corte territoriale applicando tali principi e sulla base delle risultanze istruttorie ha escluso, sulla base degli accertamenti medico legali effettuati, l’esistenza di un nesso di causalita’ tra il contesto lavorativo e la patologia riscontrata.

In particolare ha escluso che tale collegamento causale fosse stato dimostrato in termini di ragionevole certezza o elevato grado di probabilita’ sottolineando che, esclusa la rilevanza della mera possibilita’ dell’eziopatogenesi professionale, questa puo’ essere ravvisata in presenza di un elevato grado di probabilita’, per accertare il quale il giudice deve valutare le conclusioni probabilistiche del consulente, desunte anche da dati epidemiologici, ed effettuata sulla base dei dati di fatto accertati in giudizio (cfr. Cass. n. 22257 del 2013).

La diversa valutazione del materiale probatorio, posta a fondamento del ricorso, non puo’ essere proposta in sede di legittimita’, ove non ridondi nella evidenza della mancata considerazione o nel travisamento di una circostanza decisiva (cfr. recentemente Cass. n. 467 del 2015 ed anche n. 90 del 2005 e n. 8295 del 2006), il che non ricorre nel caso in esame.

Poiche’ con la censura formulata nel ricorso si chiede alla Corte di procedere proprio ad un nuovo esame dei fatti secondo una prospettazione diversa e piu’ favorevole ai ricorrenti rispetto alla ricostruzione degli stessi, pur logica e coerente, offerta dal giudice di appello il ricorso principale, assorbito l’incidentale, deve essere rigettato con ordinanza in esito a procedimento camerale ex articolo 375 c.p.c., n. 5.

Le spese del giudizio di legittimita’, liquidate in dispositivo, vanno poste a carico dei ricorrenti soccombenti che sono tenuti altresi’ al versamento dell’ulteriore importo, pari a quello gia’ versato, a titolo di contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in euro 2500,00 per compensi professionali ed in euro 100,00 per esborsi oltre al 15% per spese forfetarie. I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Ai sensi del D.P.r. n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dell’articolo 13, comma 1 bis del citato Decreto del Presidente della Repubblica.

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