Cassazione 15

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 1 ottobre 2015, n. 19679

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Consigliere

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20310-2014 proposto da:

(OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SPA IN LIQUIDAZIONE, in persona del Curatore pro tempore, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 5/2014 del TRIBUNALE di TARANTO, depositato il 02/07/2014 nel procedimento R.G. 44/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/07/2015 dal Consigliere Dott. FRANCESCO ANTONIO GENOVESE.

 

FATTO E DIRITTO

 

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 28 maggio 2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’articolo 380-bis cod. proc. civ.:

“Con decreto in data 2 luglio 2014, il Tribunale di Taranto ha respinto l’opposizione, proposta avverso il provvedimento adottato dal GD del Fallimento (OMISSIS) spa con il quale e’ stata dichiarata inammissibile la domanda tardiva (per il riconoscimento del proprio credito privilegiato costituito dal TFR) ma depositata prima dell’esaurimento di “tutte le ripartizioni dell’attivo fallimentare”, in quanto l’istanza era stata proposta decorsi quasi due anni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, termine non ritenuto congruo o ragionevole.

Avverso il decreto del Tribunale l’ (OMISSIS) ha proposto ricorso, con atto notificato il 31 luglio 2014, sulla base di un unico motivo, con cui denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 101 della L.F., attraverso l’introduzione di criteri non richiesti dalla norma (la congruita’ o ragionevolezza del tempo impiegato per presentare la domanda di ammissione rispetto al momento della sua insorgenza).

La curatela ha resistito con controricorso.

Il decreto reiettivo contiene due distinte rationes decidendi, entrambe aggredite, rispettivamente con il primo (e secondo mezzo) e con il terzo motivo. Il ricorso appare manifestamente infondato, in relazione al principio di diritto gia’ affermato da questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 20686 del 2013) secondo cui “In caso di domanda tardiva di ammissione al passivo ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 101 L.F., la valutazione della sussistenza di una causa non imputabile, la quale giustifichi il ritardo del creditore, implica un accertamento di fatto, rimesso alla valutazione del giudice di merito, che, se congruamente e logicamente motivato, sfugge al sindacato di legittimita’.”. Nella specie, il Tribunale ha ritenuto incongruo il decorso di quasi due anni dall’insorgenza del diritto (al TFR: 31.12.2011)e quello impiegato per proporre la domanda c.d. supertardiva (15.11.2013), senza che il ricorrente si sia doluto del ragionamento contenuto nel provvedimento censurato (che appare, invece, immune da vizi logici e giuridici) ma solo di presunti criteri arbitrari utilizzati dai giudici di merito che, invece, tali non appaiono. Infatti, costituisce un metro giustificativo razionale per verificare la tollerabilita’ di domande, proposte oltre il termine di “dodici mesi dal deposito del decreto di esecutivita’ dello stato passivo” (articolo 101 L.F.) (nella specie, apposto il 9 aprile 2010), quello di valutare il lasso impiegato per proporre siffatte domande – quando, come nella specie, la nascita del diritto di credito sia addirittura posteriore alla data di approvazione dello stato passivo – computandolo dalla data dell’insorgenza del credito a quella della sua domanda, e considerando eccessivo il passaggio di quasi due anni senza che sia stata avanzata una specifica giustificazione. Pertanto, il ricorso puo’ essere trattato in Camera di consiglio, per essere respinto, ai sensi del comb. disposto dall’articolo 380-bis c.p.c. e articolo 375 c.p.c., n. 5″. Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione di cui sopra, alla quale non risultano essere state mosse critiche od osservazioni;

che, pertanto, il ricorso deve essere respinto; che le spese giudiziali seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;

che poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della Legge 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater all’articolo 13 del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

 

P.Q.M.

 

La Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi euro 1.300, di cui euro 100 per esborsi, oltre a spese generali forfettarie e ad accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla Legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

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