Corte di Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 28 ottobre 2016, n. 21937

Nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione il dipendente che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego ha diritto al risarcimento del danno subito con esonero da ogni onere probatorio e a ricevere un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di fatto

 

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI civile

ordinanza 28 ottobre 2016, n. 21937

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere
Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere
Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15870/2015 proposto da:

COMUNE di FIRENZE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 189/2015 della CORTI D’APPELLO di FIRINZE del 31/03/2015, depositata il 02/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSANA MANCINO;

udito l’Avvocato (OMISSIS) difensore della ricorrente che si riporta ai motivi scritti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Corte pronuncia in camera di consiglio ex articolo 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell’articolo 380 bis c.p.c., condivisa dal Collegio e non scalfite dalla memoria ex articolo 380 bis c.p.c., depositata dalla parte controricorrente.

2. La Corte di appello di Firenze confermava la decisione del primo giudice che, in parziale accoglimento della domanda proposta dall’attuale parte intimata nei confronti del Comune di Firenze, aveva condannato quest’ultimo al pagamento in favore della predetta di quindici mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita, oltre accessori, a titolo di risarcimento danni.

3. Ad avviso della Corte territoriale correttamente il Tribunale aveva ritenuto la nullita’ del termine apposto ai contratti di lavoro intercorsi con il Comune di Firenze e liquidato nella suindicata misura il danno in alternativa alla non consentita conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato in uno a tempo indeterminato.

4. Precisava che tale danno, per avere una funzione dissuasiva del ricorso alla contrattazione a termine, ben poteva coincidere con le quindici mensilita’ previste dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori nel caso in cui il lavoratore, avendo diritto alla reintegra nel posto di lavoro, vi aveva rinunciato.

5. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il Comune di Firenze affidato a due motivi, ulteriormente illustrato con memoria.

6. Resiste, con controricorso, la parte intimata.

7. Con la memoria ex articolo 380 bis c.p.c., la controricorrente insiste nella prospettata eccezione di inammissibilita’ del ricorso, per avere il Comune ricorrente omesso ogni riferimento al proprio atto di appello, ed ai rilievi in esso formulati, cosi’ da non consentire di comprendere se i temi posti con il ricorso per cassazione fossero stati gia’ sottoposti al vaglio della Corte territoriale.

8. A tal riguardo va rilevato che le censure di cui al ricorso danno adeguatamente conto dei rilievi mossi alla decisione impugnata ed alle soluzioni da questa date alle questioni sottoposte alla sua attenzione con l’atto di appello.

9. Del resto, come si evince sia dal contenuto della sentenza della Corte territoriale sia dal ricorso per cassazione, tali questioni avevano riguardato i due capi della sentenza di primo grado implicanti la soccombenza del Comune – e cioe’ quello riferito alla riscontrata illegittimita’ del termine apposto ai contratti a termine e quello relativo all’accoglimento della domanda risarcitoria -, in quanto reputati erronei e gravemente punitivi per il Comune medesimo.

10. Tanto premesso, con entrambi i motivi si deduce violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36, L. n. 300 del 1970, articolo 18, commi 5 e 3, (nel testo vigente fino al 17.7.2012), Decreto Legge n. 207 del 1978, articolo 5, comma 12, conv. in L. n. 3 del 1979, e L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, nonche’ dei principi in materia di risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo (primo e secondo motivo) e di eguaglianza, uniformita’ di trattamento, proporzionalita’ e graduazione delle sanzioni (secondo motivo).

11. Si assume (primo motivo) che la Corte di appello aveva liquidato il danno pur in mancanza di qualsiasi allegazione e prova da parte della dipendente in ordine al pregiudizio economico derivatole dalla stipula dei contratti a tempo determinato.

12. Si sottolinea che non sarebbe configurabile un danno “in re ipsa” e, tantomeno, come automatico ristoro a fronte della mancata previsione legislativa della conversione del contratto e, comunque, viene evidenziato che la norma di riferimento non poteva essere quella dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, bensi’, il Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36, che prevedeva uno specifico sistema sanzionatorio, calibrato sulle esigenze del pubblico impiego e funzionalizzato al risarcimento del danno effettivo da provare e risarcibile anche in via equitativa.

13. Si deduce, altresi’ (secondo motivo), che l’utilizzo del paramento previsto dalla L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 5, in luogo del sistema previsto dall’articolo 36 cit. avrebbe comportato l’applicazione di un uguale trattamento risarcitorio a situazioni diverse in violazione dei principi in tema di uguaglianza e graduazione della misura risarcitoria.

14. Entrambi i motivi, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono fondati alla luce della recente sentenza delle sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass., Sez. Un., 15 marzo 2016, n. 5072, alla cui motivazione integrale si rinvia) e ai principi affermati.

15. Il divieto, per le pubbliche amministrazioni, di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato e’ rimasto come una costante piu’ volte ribadita dal legislatore sicche’ non puo’ predicarsi la conversione del rapporto quale “sanzione” apposizione del termine al rapporto di lavoro o comunque dell’illegittimo ricorso a tale fattispecie contrattuale.

16. D’altra parte il rispetto della normativa sul contratto di lavoro a tempo determinato e’ risultato essere presidiato – oltre che dall’obbligo di risarcimento del danno in favore del dipendente anche da disposizioni al contorno che fanno perno soprattutto sulla responsabilita’, anche patrimoniale, del dirigente cui sia ascrivibile l’illegittimo ricorso al contratto a termine.

17. Sicche’ puo’ dirsi che l’ordinamento giuridico prevede, nel complesso, “misure energiche” (come richiesto dalla Corte di giustizia, sentenza 26 novembre 2014, C-22/13 ss., Mascolo), fortemente dissuasive, per contrastare l’illegittimo ricorso al contratto) di lavoro a tempo determinato; cio’ assicura la piena compatibilita’ comunitaria, sotto tale profilo, della disciplina nazionale.

18. La pronuncia delle S.U. citata ha, poi, richiamato la decisione della Corte costituzionale (sent. 27 marzo 2003, n. 89) che ha escluso ogni contrasto con gli articoli 3 e 97 Cost., del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36, nella parte in cui tale ultima norma non consente, a differenza di quanto accade nel rapporto) di lavoro privato, che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori possa dar luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato) con le pubbliche amministrazioni. E’, infatti, giustificata la scelta del legislatore di ricollegare alla violazione di quelle disposizioni conseguenze di carattere esclusivamente risarcitorio, dato che il principio dell’accesso mediante concorso – enunciato dall’articolo 97 Cost., a presidio delle esigenze di imparzialita’ e buon andamento dell’amministrazione rende non omogeneo il rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni rispetto al rapporto alle dipendenze di datori privati. In particolare nella cit. pronuncia la Corte ha enunciato, come criterio generale, che “(…) il principio fondamentale in materia di instaurazione del rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e’ quello (…) dell’accesso mediante concorso, enunciato dall’articolo 97 Cost., comma 3”. Ed ha sottolineato che “L’esistenza di tale principio, posto a presidio delle esigenze di imparzialita’ e buon andamento dell’amministrazione, di cui al primo comma dello stesso articolo 97 Cost., di per se’ rende palese la non omogeneita’ – sotto l’aspetto considerato – delle situazioni poste a confronto dal rimettente e giustifica la scelta del legislatore di ricollegare alla violazione di norme imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego dei lavoratori da parte delle amministrazioni pubbliche conseguenze di carattere esclusivamente risarcitorio, in luogo della conversione (in rapporto) a tempo indeterminato prevista per i lavoratori privati”.

19. In termini inequivocabili la Corte ha quindi escluso, sotto questo profilo, l’esigenza di uniformita’ di trattamento rispetto alla disciplina dell’impiego privato, cui il principio del concorso e’ del tutto estraneo. Anche la successiva giurisprudenza costituzionale ha ribadito il principio del pubblico concorso, quale mezzo ordinario e generale di reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni, principio che risponde alla finalita’ di assicurare “il buon andamento e l’efficacia dell’Amministrazione”, valori presidiati dall’articolo 97 Cost., commi 1 e 3 (sentenze n. 190 del 2005, n. 205 e n. 34 del 2004 e n. 1 del 1999).

20. Sempre nella suddetta decisione a sezioni unite e’ stato anche evidenziato che la Corte di giustizia, nell’ordinanza 12 dicembre 2013, Papalia, C-50/13, che richiama precedenti enunciati della stessa Corte (cfr. sentenze del 4 luglio 2006, Adeneler e a., C-212/04; del 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino, C-53/04; Vassallo, C-180/04, e del 23 aprile 2009, Angelidaki e a., C-378/07; nonche’ ordinanze del 12 giugno 2008, Vassilakis e a.,0364107; del 24 aprile 2009, Koukou, C-519/08; del 23 novembre 2009, Lagoudakis e a., da C-162108, e del 1 ottobre 2010, Affittato, C-3/10), ha ribadito che la clausola 5 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE (Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato) non stabilisce un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato.

21. La direttiva del 1999 non contempla alcuna ipotesi di trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato cosi’ “lasciando agli Stati membri un certo margine di discrezionalita’ in materia”.

22. Neppure la direttiva contiene una disciplina generale del contratto a tempo determinato, ma pone principi specifici che, per gli ordinamenti giuridici degli Stati membri, valgono come obiettivi da raggiungere ed attuare, tra cui appunto il principio di contrasto dell’abuso del datore di lavoro, privato o pubblico, nella successione di contratti a tempo determinato (clausola 5). Questa e’ la portata dell’accordo quadro e segnatamente della sua clausola 5; precisa infatti la Corte di giustizia (7 settembre 2006, Marrosu e Sardino, C-53/04, cit.) che “l’obiettivo di quest’ultimo e’ quello di creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”.

23. Quindi la compatibilita’ comunitaria di un regime differenziato pubblico/privato (e cosi’ il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato posto dal Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 36, comma 5) e’ un punto fermo, che si aggiunge alla compatibilita’ interna con il canone costituzionale del principio di eguaglianza (Corte cost. n. 89/2003, cit.).

24. Le considerazioni svolte sull’obbligo del concorso pubblico e sul conseguente divieto di conversione del rapporto da tempo determinato in tempo indeterminato nel caso di rapporto con pubbliche amministrazioni consentono, dunque, di collocare fuori dal risarcimento del danno la mancata conversione del rapporto.

25. Questa e’ esclusa per legge e tale esclusione – come detto – e’ legittima sia secondo i parametri costituzionali sia secondo quelli Europei.

26. Non ci puo’ essere risarcimento del danno per il fatto che la norma non preveda un effetto favorevole per il lavoratore a fronte di una violazione di norme imperative da parte delle pubbliche amministrazioni.

27. Quindi il danno non e’ la perdita del posto di lavoro a tempo indeterminato perche’ una tale prospettiva non c’e’ mai stata.

28. Come e’ stato precisato, il danno e’ altro.

29. Il lavoratore, che abbia reso una prestazione lavorativa a termine in una situazione di ipotizzata illegittimita’ della clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro o, piu’ in generale, di abuso del ricorso a tale fattispecie contrattuale, essenzialmente in ipotesi di proroga, rinnovo o ripetuta reiterazione contra legem, subisce gli effetti pregiudizievoli che, come danno patrimoniale, possono variamente configurarsi.

30. Si puo’ ipotizzare una perdita di chance (qualora le energie lavorative del dipendente sarebbero potute essere liberate verso altri impieghi possibili ed in ipotesi verso un impiego alternativo a tempo indeterminato); ma neppure puo’ escludersi che una prolungata precarizzazione per anni possa aver inflitto al lavoratore un pregiudizio che va anche al di la’ della mera perdita di chance di un’occupazione migliore.

31. Tuttavia l’esigenza di conformita’ alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE (Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato) richiede, in analogia con la fattispecie omogenea, sistematicamente coerente e strettamente contigua, costituita dalla L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, di individuare la misura dissuasiva ed il rafforzamento della tutela del lavoratore pubblico, quale richiesta dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, nell’esonero dalla prova del danno nella misura in cui questo e’ presunto e determinato tra un minimo ed un massimo.

32. Ad avviso delle sezioni unite, “la trasposizione di questo canone di danno presunto esprime anche una portata sanzionatoria della violazione della norma comunitaria si’ che il danno cosi’ determinato puo’ qualificarsi come danno comunitario (cosi’ gia’ Cass. 30 dicembre 2014, n. 27481 e 3 luglio 2015, n.13655) nel senso che vale a colmare quel deficit di tutela, ritenuto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, la cui mancanza esporrebbe la norma interna (articolo 36, comma 5, cit.), ove applicabile nella sua sola portata testuale, ad essere in violazione della clausola 5 della direttiva e quindi ad innescare un dubbio di sua illegittimita’ costituzionale; essa quindi esaurisce l’esigenza di interpretazione adeguatrice. La quale si ferma qui e non si estende anche alla regola della conversione, pure prevista dall’articolo 32, comma 5, cit., perche’ – si ripete – la mancata conversione e’ conseguenza di una norma legittima, che anzi rispecchia un’esigenza costituzionale, e che non consente di predicare un (inesistente) danno da mancata conversione”.

33. E’ stato cosi’, conclusivamente, affermato che: “Il lavoratore pubblico – e non gia’ il lavoratore privato – ha diritto a tutto il risarcimento del danno e, per essere agevolato nella prova (perche’ cio’ richiede l’interpretazione comunitariamente orientata), ha intanto diritto, senza necessita’ di prova alcuna per essere egli, in questa misura, sollevato dall’onere probatorio, all’indennita’ risarcitoria ex articolo 32, comma 5. Ma non gli e’ precluso di provare che le chances di lavoro che ha perso perche’ impiegato in reiterati contratti a termine in violazione di legge si traducano in un danno patrimoniale piu’ elevato”.

34. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha errato nel quantificare il risarcimento con riferimento alla misura dell’indennita’ sostitutiva della reintegra.

35. All’accoglimento del ricorso, alla stregua di quanto esposto, segue la cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio ad altro giudice di merito che decidera’ la causa adeguandosi al seguente principio di diritto: “Nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione il dipendente, che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato posto dal Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 36, comma 5, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione con esonero dall’onere probatorio nella misura e nei limiti di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, articolo 32, comma 5, e quindi nella misura pari ad un’indennita’ onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilita’ retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, articolo 8”; il tutto con ordinanza ai sensi dell’articolo 375 c.p.c., n. 5.

36. In conclusione il ricorso va accolto e va cassata l’impugnata sentenza, con rinvio anche per le spese del presente giudizio di legittimita’, alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione

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