Corte di Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 23 giugno 2017, n. 15705

L’uso della cosa comune da parte di ciascun condomino e’ soggetto, ai sensi dell’articolo 1102 c.c., al duplice divieto di alterarne la normale ed originaria destinazione (per il cui mutamento e’ necessaria l’unanimita’ dei consensi dei partecipanti) e di impedire agli altri condomini di fare parimenti uso della cosa stessa secondo il loro diritto, configurando, pertanto, un abuso la condotta del condomino consistente nella stabile e pressoche’ integrale occupazione di un “volume tecnico” dell’edificio condominiale, mediante il collocamento di attrezzature ed impianti fissi funzionale al miglior godimento della sua proprieta’ individuale

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI civile

ordinanza 23 giugno 2017, n. 15705

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere

Dott. ABETE Luigi – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6553/2016 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) SRL;

– intimati –

avverso la sentenza n. 112/2015 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 20/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/05/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

(OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi (violazione dell’articolo 1102 c.c., e violazione dell’articolo 92 c.p.c., comma 2) avverso la sentenza della Corte d’Appello di Trieste n. 112/2015 del 20 febbraio 2015.

Rimangono intimati, senza svolgere attivita’ difensiva, (OMISSIS), (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.r.l..

La sentenza impugnata ha rigettato l’appello di (OMISSIS) e (OMISSIS) avverso la sentenza n. 89/2011 del Tribunale di Udine, sezione distaccata di Palmanova, che aveva respinto la domanda formulata dai medesimi (OMISSIS) e (OMISSIS) volta a rimuovere gli oggetti e/o le attrezzature di proprieta’ della (OMISSIS) s.r.l., o di (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali avevano occupato un locale di proprieta’ condominiale identificato come sub f. (OMISSIS) map. (OMISSIS) sub. (OMISSIS), della complessiva superficie di mq. 9,09, con condanna anche al risarcimento dei danni.

A fronte del rigetto della domanda statuito dal Tribunale, che aveva argomentato che il locale di cui trattasi e’ di dimensioni molto contenute e che gli attori non avessero dedotto quale interesse essi si proponessero di realizzare e quale pregiudizio avessero percio’ subito, gli appellanti (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano posto in rilievo come la CTU espletata avesse accertato che il locale comune, denominato centrale termica, risultava davvero interamente occupato dai convenuti con attrezzature ed impianti fissi utilizzati per il sovrastante studio odontoiatrico. La Corte di Trieste dava rilievo alla circostanza che gli stessi appellanti utilizzassero come ripostiglio il distinto vano sub 6, e spiegava che il vano oggetto di lite (sub 5) era destinato a centrale termica condominiale ma fosse di fatto rimasto inutilizzato, avendo i condomini optato per sistemi di riscaldamento autonomo; sicche’, a dire dei giudici d’appello, l’occupazione operata dai convenuti con le attrezzature e gli impianti occorrenti al loro studio odontoiatrico era conforme alla destinazione a natura tecnica di quel vano.

Il primo motivo di ricorso richiama le risultanze peritali, che rivelavano le ridotte dimensioni del vano occupato dai (OMISSIS) per le esigenze della (OMISSIS) s.r.l. (ml. 1,48 di larghezza e ml. 2,54 di lunghezza) e come tutti gli impianti di pertinenza dello studio odontoiatrico fossero fissi, ad eccezione del compressore di riserva. Sostengono i ricorrenti di aver specificamente dedotto l’impossibilita’ di un qualsiasi uso alternativo del vano ad opera degli altri condomini, proprio per effetto della sua completa occupazione imputabile alle controparti.

Il secondo motivo di ricorso critica, invece, la Corte d’Appello per aver rigettato la censura sulla mancata compensazione totale delle spese processuali di primo grado.

Ritenuto che il ricorso potesse essere accolto per manifesta fondatezza del suo primo motivo, rimanendo assorbito il secondo motivo, con la conseguente definibilita’ nelle forme di cui all’articolo 380 bis c.p.c., in relazione all’articolo 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Questa Corte ha piu’ volte affermato come l’uso della cosa comune da parte di ciascun condomino e’ sottoposto, secondo il disposto dell’articolo 1102 c.c., a due fondamentali limitazioni, consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nell’obbligo di consentirne un uso paritetico agli altri condomini. Simmetricamente, la norma in parola, intesa, altresi’, ad assicurare al singolo partecipante, quanto all’esercizio concreto del suo diritto, le maggiori possibilita’ di godimento della cosa, legittima quest’ultimo, entro i limiti ora ricordati, a servirsi di essa anche per fini esclusivamente propri, traendone ogni possibile utilita’, non potendosi intendere la nozione di “uso paritetico” in termini di assoluta identita’ di utilizzazione della “res”, poiche’ una lettura in tal senso della norma “de qua”, in una dimensione spaziale o temporale, comporterebbe il sostanziale divieto, per ciascun condomino, di fare, della cosa comune, qualsiasi uso particolare a proprio vantaggio. I rapporti condominiali, invero, sono informati al principio di solidarieta’, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Ne consegue che qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non possano fare un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che, in una materia in cui e’ prevista la massima espansione dell’uso, il limite al godimento di ciascuno dei condomini e’ dato dagli interessi altrui, i quali, pertanto, costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto (Cass. Sez. 2, 14/04/2015, n. 7466; Cass. Sez. 2, 30/05/2003, n. 8808; Cass. Sez. 2, 12/02/1998, n. 1499; Cass. Sez. 2, 05/12/1997, n. 12344; Cass. Sez. 2, 23/03/1995, n. 3368).

E’ pero’ evidente in base alla costante interpretazione di questa Corte, e in cio’ sta l’errore della sentenza impugnata, che l’uso della cosa comune, ex articolo 1102 c.c., non possa mai estendersi all’occupazione (come accertata nel caso in esame) pressoche’ integrale del bene, tale da portare, nel concorso degli altri requisiti di legge, all’usucapione della porzione attratta nella propria esclusiva disponibilita’ (cosi’ Cass. Sez. 2, 04/03/2015, n. 4372; Cass. Sez. 2, 14/12/1994, n. 10699). E’ compito del giudice del merito, in presenza di una condotta del condomino consistente nella stabile ed esclusiva occupazione del bene comune (sia pur funzionale al miglior godimento della sua proprieta’ individuale) non solo valutare in fatto se ne sia alterata la destinazione, ma comunque se vi sia compatibilita’ con il pari diritto degli altri partecipanti. E’ quindi imposta al giudice, ove sia denunciato il superamento dei limiti imposti dall’articolo 1102 c.c., per l’occupazione della cosa comune fatta da un condomino, un’indagine diretta all’accertamento della duplice condizione che il bene, nelle parti residue, sia sufficiente a soddisfare anche le potenziali, analoghe esigenze dei rimanenti partecipanti alla comunione, e che lo stesso, ove tutte le predette esigenze risultino soddisfatte, non perderebbe la sua normale ed originaria destinazione, per il cui mutamento e’ necessaria l’unanimita’ dei consensi dei partecipanti (Cass. Sez. 6 – 2, 18/01/2011, n. 1062; Cass. Sez. 2, 14/06/2006, n. 13752).

Il primo motivo di ricorso va pertanto accolto (rimanendo assorbito il secondo motivo in ordine alla regolamentazione delle spese dei precedenti gradi) e va cassata la sentenza impugnata, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Trieste, che decidera’ uniformandosi al seguente principio:

“L’uso della cosa comune da parte di ciascun condomino e’ soggetto, ai sensi dell’articolo 1102 c.c., al duplice divieto di alterarne la normale ed originaria destinazione (per il cui mutamento e’ necessaria l’unanimita’ dei consensi dei partecipanti) e di impedire agli altri condomini di fare parimenti uso della cosa stessa secondo il loro diritto, configurando, pertanto, un abuso la condotta del condomino consistente nella stabile e pressoche’ integrale occupazione di un “volume tecnico” dell’edificio condominiale, mediante il collocamento di attrezzature ed impianti fissi funzionale al miglior godimento della sua proprieta’ individuale”.

Il giudice del rinvio provvedera’ anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Trieste, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *