Corte di Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 22 febbraio 2017, n. 4643

In base all’art. 2051 c.c. è a carico del danneggiato l’onere della prova della sussistenza del nesso di causalità tra la cosa e l’evento dannoso. Nella specie, la Corte d’appello non ha in alcun modo spiegato per quale ragione la rottura di un tubo a margine di un marciapiede possa essere ricondotta a conseguenza del fatto di un terzo, peraltro neppure identificato. Trattandosi, per quanto si può capire, di un tubo che riversava acqua sul marciapiede, la sentenza avrebbe almeno dovuto spiegare le ragioni per le quali era da escludere la responsabilità del Comune in relazione ad una perdita massiccia di acqua non riparata; e doveva essere il Comune a provare che, per le dimensioni del fenomeno o per la sua rapidità, non era stato possibile alcun tempestivo intervento riparatore, visto che il danno è stato ricondotto dalla sentenza in esame ad un’obiettiva pericolosità della res, sebbene generata da un fatto non determinato.

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI civile

ordinanza 22 febbraio 2017, n. 4643

Fatti di causa

1. P.V. e F.M.G. , in proprio e quali legali rappresentanti del loro figlio P.U. , convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Agrigento, il Comune di quella città, chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni patiti dal figlio il quale, alla guida di un ciclomotore, era caduto a terra a causa della presenza di acqua sul manto stradale, dovuta ad una perdita non riparata.
Si costituì il Comune di Agrigento, chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale rigettò la domanda e compensò le spese.
2. Avverso la sentenza è stato proposto appello da parte di P.U. , frattanto divenuto maggiorenne, e la Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 2 marzo 2015, ha dichiarato inammissibile il gravame, confermando l’impugnata pronuncia e compensando anche le ulteriori spese del grado.
3. Contro la sentenza d’appello ricorre P.U. con atto affidato ad un motivo.
Resiste il Comune di Agrigento con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis del codice di procedura civile.

Ragioni della decisione

1. Con il primo ed unico motivo di ricorso si denuncia, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 cod. civ. e dell’art. 14 cod. strada, lamentando che la Corte d’appello abbia erroneamente inquadrato la fattispecie nella norma dell’art. 2043 cod. civ. ed osservando di aver assolto il proprio onere probatorio sul punto.
1.1. Il motivo è fondato.
La Corte d’appello, infatti, ha rigettato la domanda sul rilievo che il sinistro si era verificato “a causa della fuoriuscita di acqua da un tubo rotto a margine del marciapiede, e quindi non per un pericolo immanentemente connesso alle condizioni proprie della strada, ma da un’insidia sorta in conseguenza del fatto del terzo”, e da tale premessa ha tratto la conclusione per cui doveva applicarsi non l’art. 2051 cod. civ. invocato dal danneggiato, bensì l’art. 2043 cod. civ., con conseguente necessità per il danneggiato di provare l’esistenza della colpa. La motivazione, quindi, per quanto è dato comprendere, ha dato per pacifica l’esistenza della prova del nesso di causalità tra la caduta del P. e la presenza di acqua sul manto stradale, così come ha escluso che a carico del danneggiato potessero rinvenirsi gli estremi di un comportamento) colposo idoneo ad escludere il caso fortuito (sentenza 18 settembre 2015, n. 18317).
Tale motivazione presta il fianco alle obiezioni del ricorso.
Va osservato, innanzitutto, che la fattispecie deve essere decisa assumendo come parametro l’art. 2051 cod. civ., trattandosi della violazione di un obbligo di custodia; e in base a tale norma è a carico del danneggiato l’onere della prova della sussistenza del nesso di causalità tra la cosa e l’evento dannoso (sentenza 21 marzo 2013, n. 7125). Nella specie, la Corte d’appello non ha in alcun modo spiegato per quale ragione la rottura di un tubo a margine di un marciapiede possa essere ricondotta a conseguenza del fatto di un terzo, peraltro neppure identificato. Trattandosi, per quanto si può capire, di un tubo che riversava acqua sul marciapiede, la sentenza avrebbe almeno dovuto spiegare le ragioni per le quali era da escludere la responsabilità del Comune in relazione ad una perdita massiccia di acqua non riparata; e doveva essere il Comune a provare che, per le dimensioni del fenomeno o per la sua rapidità, non era stato possibile alcun tempestivo intervento riparatore, visto che il danno è stato ricondotto dalla sentenza in esame ad un’obiettiva pericolosità della res, sebbene generata da un fatto non determinato (ordinanza 20 ottobre 2015, n. 21212).
Alla luce di siffatta ricostruzione, deve concludersi che la sentenza in esame non ha correttamente illustrato le ragioni per le quali, proposta la domanda risarcitoria ai sensi dell’art. 2051 cit., la stessa sia stata rigettata.
2. Il ricorso, pertanto, è accolto e la sentenza impugnata è cassata.
Il giudizio è rinviato alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione personale, la quale deciderà attenendosi alle indicazioni della presente pronuncia e provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione personale, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

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