Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza n. 7239 del 21 marzo 2013
Ordinanza
Svolgimento del processo
1. La società E. Spa., che ha incorporato la precedente concessionaria Equitalia E. TR. Spa., propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Puglia, sez. stacc. di Lecce, n. 43/27/12, depositata il 5 marzo 2012, con la quale essa accoglieva l’appello di A. P. contro la decisione di quella provinciale, sicché l’opposizione del medesimo, relativa all’avviso di iscrizione d’ipoteca su due immobili del medesimo, facenti parte del fondo patrimoniale costituito da lui e la moglie nel mese di marzo 2002, veniva ritenuta fondata. Si trattava di misura cautelare reale adottata in base ad avviso di accertamento emesso a seguito di tre cartelle di pagamento della somma di oltre €1.600.000,00, una per crediti d’imposta e due previdenziali per il 1996, in ordine ai proventi derivanti dalla gestione di due società facenti capo al contribuente, e cioè la P. srl. e la V. srl., accertamento peraltro divenuto definitivo prima ancora che tale fondo patrimoniale venisse costituito dopo sei anni, mentre successivamente, e cioè parecchio tempo dopo l’iscrizione ipotecaria in argomento, quegli stessi immobili, facenti parte del fondo assieme ad altri, venivano venduti alla società E., come riconosciuto persino dallo stesso controricorrente. In particolare il giudice di secondo grado osservava che la suindicata garanzia cautelare non poteva essere assunta in ordine al credito fiscale vantato, mentre per gli oneri previdenziali il giudice tributario sostanzialmente condivideva il giudizio di prime cure circa la carenza di giurisdizione, ma in concreto annullava del tutto l’atto impositivo, e quindi anche con riferimento alle varie imposte. Il contribuente resiste con controricorso.
Motivi della decisione
2. Col primo motivo la ricorrente deduce violazione di norme di legge, in quanto la CTR non considerava che la società appellata aveva nominato nuovo difensore rispetto al primo grado con l’atto di controdeduzioni, e cioè l’avv. V. D., e non più l’avv. P. M., e pertanto gli avvisi e le comunicazioni andavano fatte soltanto al primo nel nuovo domicilio eletto presso l’avv. F. B. in Nardo, e non invece ancora a Brindisi presso lo studio dell’avv. C. C., presso il cui studio peraltro addirittura l’avviso di deposito della sentenza era stato trasmesso, senza che il secondo giudice tenesse in alcun conto le questioni e difese opposte dalla società appellata. Persino nell’intestazione della sentenza stessa tali dati risultano riportati.
Il motivo è fondato, atteso che il giudice di appello è pervenuto alla formulazione del giudizio, senza esplicitare di avere tenuto in conto le osservazioni critiche svolte dalla parte pubblica nel processo di secondo grado, come se questa fosse rimasta contumace, tanto da affermare che “…Equitalia non resisteva”, così ben potendosi configurare il vizio di menomata difesa.
3. Col secondo motivo la ricorrente denunzia violazione di norme di legge, giacché il giudice di appello non poteva ritenere la carenza di giurisdizione per le due cartelle inerenti ai crediti previdenziali, e poi annullare l’iscrizione ipotecaria con riferimento a tutte tre, compresa quella riguardante le imposte dirette del 1996.
La censura va condivisa, atteso che, com’è noto, le controversie concernenti l’impugnazione di un’iscrizione ipotecaria fondata su un credito di imposta sono devolute alla giurisdizione tributaria per effetto delle disposizioni del d.l. 4 luglio 2006, n. 223. Ne consegue che, in applicazione del principio della “perpetuatio iurisdictionis”, di cui all’art. 5 cod. proc. civ., tale “ius superveniens” comporta il radicamento della giurisdizione in capo alle Commissioni tributarie anche se le medesime ne erano prive al momento in cui la domanda era stata proposta dinanzi ad esse, mentre invece, ed a maggior ragione, il ricorso introduttivo in argomento era stato proposto nel mese di luglio 2010, e quindi successivamente (Cfr. anche Cass. Ordinanze n. 12861 del 23/07/2012, n. 16667 del 2010).
4. Col terzo motivo la ricorrente lamenta violazione di norme di legge, poiché il giudice del gravame non considerava che la cautela reale adottata non era inserita nel procedimento di esecuzione, ma ne costituiva un momento anteriore, e cioè di carattere prodromico. Inoltre si trattava di crediti, per i quali quello strettamente tributario ammontava addirittura a circa €1.420.000 per il 1996, mentre gli altri due di carattere previdenziale erano d’importo inferiore; attenevano alle esigenze familiari, perché connessi all’attività svolta da P., sicché l’onere della prova che invece essi concernessero altri di carattere voluttuario o di differente natura ricadeva sul contribuente. Inoltre alcuni di quei cespiti del fondo erano stati ceduti dal medesimo a terzi.
La doglianza ha pregio, atteso che in tema di riscossione coattiva delle imposte, l’ipoteca prevista dall’art. 77 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, può essere iscritta senza necessità di procedere a notifica dell’intimazione ad adempiere di cui all’art. 50, secondo comma, del medesimo d.P.R., prescritta per il caso che l’espropriazione forzata non sia iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, poiché l’iscrizione ipotecaria non può essere considerata quale mezzo preordinato all’ espropriazione forzata, atteso quanto si evince dalla lettera dell’art. 77 citato, il quale, al secondo comma, prevede che, “prima di procedere all’esecuzione, il concessionario deve iscrivere ipoteca”, e, al primo comma, richiama esclusivamente il primo e non anche il secondo comma dell’art. 50 del d.P.R. n. 602 del 1973 (V. pure Cass. Sezioni Unite: n. 5771 del 2012, Ordinanza n. 10234 del 20/06/2012). Peraltro si trattava di crediti sorti a seguito di verifica svolta nei riguardi delle società P. e V. di cui sopra, per utili non contabilizzati distribuiti ai soci, compreso P., nei cui confronti a suo tempo quell’accertamento era risultato definitivo. Peraltro va rilevato come normalmente in materia tributaria il divieto di abuso del diritto, peraltro rilevabile anche d’ufficio, si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. Tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzar (nella specie, imposte sui redditi ed oneri previdenziali), nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali. Esso comporta l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell’operazione, come nel caso in esame (Cfr. anche Cass. Sez. U, Sentenza n. 30055 del 23/12/2008, Sent. n. 12237 del 2008).
Dunque su tali punti la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto.
5. Ne deriva che il ricorso va accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al giudice “a quo”, altra sezione, per nuovo esame, e che sì uniformerà ai suindicati principi di diritto.
6. Quanto alle spese dell’intero giudizio, esse saranno regolate dal giudice del rinvio stesso.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale della Puglia, altra sezione, per nuovo esame.
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