Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza n. 48802  del 5 dicembre 2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 18/01/2013 il G.i.p. del Tribunale dl Brescia ha dichiarato non luogo a procedere nel confronti di G.S. e C.G., cui era contestato, rispettivamente nella qualità di amministratore unico e di liquidatore della R. s.r.l. di avere eseguito pagamenti in favore di tre banche in epoca in cui la società già versava in stato di dissesto (in particolare, pagamenti per euro 177.560,00 erano riferibili al primo, mentre pagamenti per euro 197.882,07, eseguiti durante l’amministrazione liquidatoria, erano riferibili alla G.).
Il G.i.p., dopo avere sottolineato che, oltre ai pagamenti in favore delle banche, erano stati eseguiti versamenti anche in favore di altri soggetti per oltre 100.000,00 euro, ha ritenuto che, pur non essendo stato rispettato il criterio di proporzionalità tra i vari creditori, la condotta degli agenti non era finalizzata a favorirne alcuni, ma solo a tentare di proseguire nell’attività d’impresa, attraverso consistenti apporti di capitale personale ad opera dello S.

2. Il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Brescia ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione dell’art. 216, comma terzo, l. fall. e vizi motivazionali, per avere il giudice esaminato in modo superficiale le ragioni che avevano indotto gli imputati a ripianare, anche e soprattutto durante la fase della liquidazione, le passività sociali, non essendo dato rinvenire negli atti elementi dai quali desumere il convincimento, espresso in sentenza, dell’esistenza di un possibile scenario dl riequilibrio o di ripresa finanziaria della società.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.
Anche di recente, questa Corte si è espressa nel senso che il giudice dell’udienza preliminare ha il potere di pronunciare la sentenza di non luogo a procedere, ai sensi dell’art. 425, comma terzo, cod. proc. pen., solo quando l’insufficienza e la contraddittorietà degli elementi acquisiti rivestano caratteristiche tali da non poter essere ragionevolmente superabili nel giudizio (Sez. 6, n. 10849 del 12/01/2012, P., Rv. 252280).
La funzione dell’udienza preliminare resta quindi pur sempre quella dl verificare l’esistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda di giudizio formulata dal P.M. Come hanno sottolineato le Sezioni unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 39915 del 30/10/2002, V., in motivazione), anche l’obiettivo arricchimento, qualitativo e quantitativo, dell’orizzonte prospettico del giudice, rispetto all’epilogo decisionale, attraverso gli strumenti di integrazione probatoria previsti dagli artt. 421-bis e 422 bis cod. proc. pen., non attribuisce infatti allo stesso il potere di giudicare in termini di anticipata verifica della innocenza – colpevolezza dell’imputato, poiché la valutazione critica di sufficienza, non contraddittorietà e comunque di idoneità degli elementi probatori, secondo il dato letterale del novellato terzo comma dell’art. 425, “è sempre e comunque diretta a determinare, all’esito di una delibazione di tipo prognostico, divenuta più stabile per la tendenziale completezza delle indagini, la sostenibilità dell’accusa in giudizio e, con essa, l’effettiva, potenziale, utilità del dibattimento”.
Ciò posto in linea generale, deve ribadirsi che è certamente esatto che la bancarotta preferenziale (art. 216, comma terzo, L. fall.), sul piano oggettivo richiede la violazione della par conditio creditorum nella procedura fallimentare e, sul piano soggettivo, la ricorrenza della forma peculiare del dolo, costituito dalla volontà di recare un vantaggio al creditore (o ai creditori) soddisfatto, con l’accettazione dell’eventualità di un danno per altri, finalità che deve risultare primario interesse perseguito dal debitore, con la conseguenza che la strategia di alleggerire la pressione dei creditori, in vista di un ragionevolmente presumibile riequilibrio finanziario e patrimoniale, è incompatibile con il delitto, soprattutto alla luce della riforma, introdotta dal D.L.vo 269 del 2007, dell’azione revocatoria e specialmente dell’art. 67, comma terzo, L. fall. (Sez. 5, n. 31168 del 20/05/2009, S., Rv. 244490).
E, tuttavia, nel caso di specie, emerge proprio dai dati fattuali indicati nella sentenza impugnata che i pagamenti, in ampia parte intervenuti anche durante la fase liquidatoria e in una situazione di insolvenza solo attenuata dalle iniziative in esame (basti pensare ai debiti per euro 12.000,00 nei confronti dei dipendenti e per oltre euro 40.000,00 nei confronti della società Equitalia), sono stati indirizzati non a colmare passività assistite da titoli di prelazione prevalenti (come dimostrato proprio dal mancato soddisfacimento delle ragioni dei lavoratori), ma a sanare essenzialmente debiti nei confronti delle banche e senza, peraltro, che siano note le garanzie che assistevano questi ultimi.
In definitiva, mentre emerge con sicurezza una volontà di preferire alcuni creditori con correlativo danno per i restanti, rimasti insoddisfatti, non è dato cogliere negli atti processuali evidenziati alcuna ragionevole prospettiva di ripresa economica, da attuarsi attraverso un equilibrato e paritario trattamento delle posizioni dei creditori stessi.
Ne discende che la sentenza va annullata con rinvio al Tribunale di Brescia per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Brescia per nuovo esame.
Così deciso in Roma il 26/09/2013

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