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Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza n. 32444 del 25 luglio 2013 

Fatto e diritto

Propone personalmente ricorso per cassazione B. A. avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova in data 22 marzo 2012, con la quale è stata confermata quella di primo grado, di condanna in ordine al reato di diffamazione ex articolo 595 c.p., commesso il 28 marzo 2007. L’imputato è stato accusato di avere offeso la reputazione di P. I. scrivendo, su un sito Web, un comunicato nel quale si firmava con il nome di tale soggetto, tra l’altro attribuendosi implicitamente tendenze omosessuali.

Deduce l’impugnante la violazione dell’articolo 62 c.p.p., essendo costituita, la prova della riconducibilità del reato all’imputato, dalle dichiarazioni di tale C. il quale ha riferito di avere ricevuto confidenze, in tal senso, da parte del ricorrente durante il dibattimento. Il ricorrente aggiunge che non vi è prova della lettura del messaggio da parte di altri utenti del Web. In terzo luogo si contesta che vi sia contenuto diffamatorio nella inserzione sul sito Web, tenuto conto, in particolare, che il termine “gay” non ha valenza di per sé offensiva; 2) la nullità del processo dl primo grado, già eccepita anche in appello, per non essere stato “notificato al difensore dell’imputato il decreto di citazione diretta al giudizio”, nonostante la regolare nomina effettuata fin dal 9 dicembre 2008. Sostiene l’impugnante di avere in origine nominato due difensori di fiducia (avvocati B. e G.) i quali avevano successivamente rinunciato al mandato difensivo con una dichiarazione depositata presso la Procura della Repubblica.

All’imputato era stato nominato un difensore di ufficio ritenendosi poi, da parte dei giudici dell’appello, che le successive nomine di altri due difensori di fiducia (avvocati M. M. e C.) non potevano ritenersi valide in mancanza della revoca dei precedenti.

Ed invece, ritiene l’impugnante che la nomina dei nuovi difensori di fiducia doveva ritenersi valida a partire dal momento della formalizzazione della rinuncia da parte dei precedenti: come del resto si era implicitamente ritenuto con la scelta di notificare la citazione per l’appello proprio a tali avvocati.

Ne conseguiva che la nomina del difensore di ufficio era del tutto illegittima. A sostegno di tale assunto l’impugnante fa notare che anche l’appello è stato sottoscritto da uno di tali legali (l’avvocato C.);

3) L’incompetenza territoriale del giudice che ha proceduto. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Con il primo motivo si pone la questione della violazione dell’articolo 62 c.p.p., peraltro senza che risulti che la stessa fosse stata formulata nei motivi d’appello, nel rispetto dei dovere di specificazione delle circostanze di fatto e di diritto a sostegno della questione.

A ciò va aggiunto che il divieto dì testimonianza sulle dichiarazioni dell’imputato o dell’indagato, sancito dall’art. 62 cod. proc. pen. – essendo diretto ad assicurare l’inutilizzabilità di quanto dichiarato al di fuori degli atti garantiti dalla presenza del difensore, attraverso la testimonianza di chi tali dichiarazioni abbia ricevuto in qualsivoglia maniera – presuppone che le dichiarazioni stesse siano state rese “nel corso del procedimento” e non anteriormente o al di fuori del medesimo. Il divieto in quest’ultima ipotesi non può infatti operare, assumendo la testimonianza, nel suo contenuto specifico, valore di fatto storico percepito dal teste e, come tale, valutabile dal giudice alla stregua degli ordinari criteri applicabili a detto mezzo di prova (Sez. 1, Sentenza n. 7745 del 15/05/1996 Ud. (dep. 07/08/1996) Rv. 205524).

E in tale prospettiva deve ritenersi che eventuali confidenze fatte dall’imputato ad un conoscente non rientrino nel divieto di testimonianza di cui all’articolo 62 c.p.p. neppure se effettuate, come sostenuto nel ricorso, durante il processo (in tal senso Rv. 208648; Rv. 228642). Il divieto di testimonianza previsto dall’art. 62 cod. proc. pen. opera, invero, solo in relazione alle dichiarazioni rese nel corso dei procedimento, intendendosi con tale espressione un collegamento funzionale tra le dichiarazioni ed un atto del procedimento e pertanto opera solo per quelle dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria, alla polizia giudiziaria e al difensore nell’ambito dell’attività investigativa (vedasi sentenza Corte Costituzionale n. 237 del 1993) (Sez. 6, Sentenza n. 6085 del 09/12/2003 Ud. (dep. 16/02/2004) Rv. 227599).

La seconda questione posta nel primo motivo di ricorso è parimenti infondata. In tema di consumazione del reato di diffamazione tramite Internet si è posto in evidenza come esso debba intendersi consumata nei momento in cui il collegamento web sia attivato, e la dimostrazione del contrario deve essere data dall’interessato, tenuto conto dell’ordinario ricorso, nella pratica web, a comunicazioni aperte all’accesso di un numero indeterminato di persone o comunque destinate, per la loro stessa natura, a tal genere di immediata diffusione. (Rv. 234528; rv 239832). Nel caso di specie, la espressione offensiva è stata pubblicata su un “blog” ossia su un sito web che tiene traccia (log) degli interventi dei partecipanti e che può essere, si, personale, ma costantemente aggiornato on line e tale che tutti possono leggere in esso, oppure uno spazio sul web attorno al quale, comunque, si aggregano navigatori che condividono interessi comuni, con la conseguente diffusività dei contenuti del blog stesso.

La terza parte del primo motivo di ricorso è inammissibile per genericità.

Si sostiene, come un unico ed apodittico argomento, che la attribuzione, a taluno, della omosessualità non sia di per se lesiva della reputazione, senza dare conto delle circostanze di fatto che hanno caratterizzato la vicenda in esame e, in particolar modo, delle questioni poste dalla persona offesa e dell’interesse pubblico alla materia. Il secondo motivo è manifestamente infondato. Il giudice dell’appello ha ricostruito le vicende dei mandati difensivi nel senso che la nomina degli originari difensori di fiducia, avvocati B. e G aveva fatto si che il pubblico,di “ministero avesse disposto la notifica dell’avviso della citazione diretta agli stessi legali quando aveva emesso il relativo decreto, ossia il 22 settembre 2010. In quella circostanza, la nomina di altri due difensori di fiducia avvenuta sin dal 9 dicembre 2008 in riferimento alle persone degli avvocati C. e M. M., è stata correttamente ritenuta priva di effetto, in ragione del disposto dell’articolo 24 delle disposizioni di attuazione dei codice di rito, secondo cui la nomina di ulteriori difensori si considera senza effetto finche la parte non provvede alla revoca delle nomine precedenti che risultano in eccedenza.

D’altra parte, l’applicazione della diversa regola secondo cui la rinuncia ai mandato difensivo ha effetto da quando la parte risulti assistita da un nuovo difensore (articolo 107 cpp), poteva comportare soltanto che, a far data dalla comunicazione della rinuncia all’autorità giudiziaria- e cioè dal 13 ottobre 2010 – potesse divenire valida ed efficace la nomina dei nuovi difensori di fiducia. In conclusione, il condivisibile assunto della Corte d’appello è quello secondo cui, all’atto della notifica del decreto di citazione ai difensori di fiducia, la nomina ancora valida era soltanto quella degli avvocati B. e G. i quali hanno perso tale qualità in favore dei nuovi legali di fiducia soltanto con la rinuncia al mandato e quindi successivamente alla disposizione della notifica della citazione per il giudizio di primo grado. Costituisce, infatti, un principio: fermo della giurisprudenza quello secondo cui gli avvisi e le comunicazioni devono essere dati al difensore che riveste tale qualità nel momento processuale nel quale vengono disposti ed eseguiti cfr. fra le molte, Rv. 169603; Rv. 180065). È da escludere, d’altra parte, cita la sentenza delle Sezioni unite numero 12164 del 2011, citata nel ricorso, possa portare argomenti nuovi re utili alla tesi dell’imputato ove si consideri che i principi in essa espressi riguardano la nomina del difensore in eccedenza per la proposizione dell’atto d’impugnazione, mentre, nella specie, il tema sollevato dall’impugnante riguarda una situazione verificatasi all’atto della instaurazione del giudizio di primo grado. Il terzo motivo è inammissibile, posto che le segnalazioni sulla incompetenza territoriale debbono essere poste come questioni preliminari del giudizio di primo grado (quando, come nella specie, manchi l’udienza preliminare) e non possono essere formulate per la prima volta in Cassazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Roma 14 marzo 2013

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