Suprema Corte di Cassazione
Sezione V
Sentenza n. 36367 del 21 settembre 2012

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione R.N. avverso la sentenza la Corte d’appello di Milano in data 24 giugno 2011 che ha confermato quella di primo grado, di condanna in ordine ai reati di abusivo esercizio della professione di avvocato e di falsità in scrittura privata, fatti commessi nel (omissis).
Deduce:
1) di essere stato cancellato dall’albo degli avvocati per iniziativa dell’ordine di Trani ed a seguito del mancato pagamento dei contributi: pertanto l’esercizio della professione non poteva ritenersi avvenuto in assenza del titolo abilitativo, tenuto anche conto che fino al 2000 aveva svolto le funzioni di giudice di pace a Roma;
2) l’assenza del requisito della falsificazione, posto che l’atto di citazione menzionato al capo B) della rubrica recava la firma della collega avvocato A. P..
Il ricorso è inammissibile.
La contestazione del reato di abusivo esercizio della professione di avvocato viene censurata dal ricorrente nonostante sia ammesso, nel ricorso che è stato redatto dal medesimo, la presentazione dell’atto di citazione indicato nel capo d’imputazione, sia pure con la contestuale affermazione che esso recava la firma

Orbene, è noto, in base alla costante giurisprudenza di legittimità, il principio secondo cui l’esercizio abusivo della professione è un reato solo eventualmente abituale, in quanto lo stesso può essere integrato dal compimento anche di un solo atto tipico o proprio della professione (Sez. II, Sentenza n. 43328 del 15/11/2011 Ud. (dep. 24/11/2011) Rv. 251376).
D’altra parte, la doglianza del ricorrente integra, nella sua ultima parte, una censura generica e contrastante con l’accertamento contenuto nella sentenza, secondo cui la firma dell’avvocato associato P. è stata disconosciuta dalla interessata e ritenuta falsa.

Del tutto ininfluenti, infine, risultano i fatti prodromici alla pacifica cancellazione del nominativo dell’imputato dall’albo degli avvocati così come il fatto che egli, antecedentemente a tale data, abbia svolto le funzioni di giudice di pace.
Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in Euro 1000.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a versare alla cassa delle ammende la somma di Euro 1000.

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