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Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 6 giugno 2014, n. 23923

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DUBOLINO Pietro – Presidente
Dott. BRUNO Paolo Antonio – Consigliere
Dott. VESSICHELLI Maria – Consigliere
Dott. GUARDIANO Alfredo – rel. Consigliere
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza pronunciata in data 17.5.2013 dalla corte di appello di Trento;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. VOLPE Giuseppe, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
FATTO E DIRITTO
1. Con sentenza pronunciata il 17.5.2013 la corte di appello di Trento, in parziale riforma della sentenza con cui, in data 23.12.2011, il tribunale di Trento aveva condannato (OMISSIS), imputato del delitto di cui agli articoli 81 cpv. e 610 c.p., commesso in danno di (OMISSIS), alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento del danno derivante da reato in favore della costituita parte civile, rideterminava in senso piu’ favorevole al reo il trattamento sanzionatorio, confermando, nel resto, l’impugnata sentenza.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto tempestivo ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, lamentando: 1) vizio di motivazione della sentenza impugnata, in quanto la corte territoriale, nel ritenere fondato l’assunto accusatorio secondo cui l’imputato avrebbe parcheggiato i propri veicoli nel cortile di sua proprieta’, costituente l’unico accesso al garage di (OMISSIS), privando cosi’ quest’ultimo della liberta’ di utilizzo di detto garage per il ricovero delle proprie autovetture, ha erroneamente ritenuto che la condanna dell’imputato pronunciata in primo grado, pur non contenendo nessun aumento di pena per la continuazione, riguardasse anche ulteriori e pregressi episodi di violenza privata, diversi da quello consumatosi il (OMISSIS), in realta’ mai verificatisi, circostanza che, ad avviso del ricorrente, avrebbe impedito al giudice di appello di esaminare esclusivamente la condotta tenuta di (OMISSIS) il (OMISSIS) e, quindi, di valutarla senza la “contaminazione” derivante dalla considerazione di condotte precedenti; 2) violazione di legge, in relazione al mancato riconoscimento della esimente putativa della legittima difesa di cui all’articolo 52 c.p., avendo il (OMISSIS) agito nella convinzione di difendere l’uso esclusivo del cortile dove transitavano i veicoli dell’ (OMISSIS), il quale ha operato una serie di vessazioni in danno dell’imputato, da un lato occupando tutto il garage, che, per meta’, appartiene al ricorrente, dall’altro non utilizzando per l’uscita dei suoi veicoli l’altro accesso alla pubblica via, che gli consentirebbe di evitare il passaggio attraverso il cortile del (OMISSIS); 3) violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla mancata derubricazione del reato per il quale e’ intervenuta condanna in quello di cui all’articolo 392 c.p., avendo l’imputato agito, contrariamente a quanto affermato dalla corte territoriale, non a scopo ritorsivo, ma per esercitare un proprio diritto, potendo, la sua pretesa di godimento della proprieta’ esclusiva del cortile, formare oggetto di tutela giurisdizionale; 4) violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
3. Il ricorso va accolto per le seguenti ragioni.
4. Come e’ noto, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’, condiviso dal Collegio, il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni si differenzia da quello di cui all’articolo 610 c.p., che contiene egualmente l’elemento della violenza o della minaccia alla persona, non nella materialita’ del fatto che puo’ essere identica in entrambe le fattispecie, bensi’ nell’elemento intenzionale. Nel reato di ragion fattasi l’agente deve essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa giuridicamente, pur non richiedendosi che tale pretesa sia realmente fondata, ma bastando che di cio’ egli abbia ragionevole opinione. Il reato di violenza privata, invece, che tutela la liberta’ morale, e’ titolo generico e sussidiario rispetto al reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni) e rispetto ad altre ipotesi delittuose che contengono come elemento essenziale la violenza alle persone. Esso si risolve nell’uso della violenza – fisica o morale – per costringere taluno ad un comportamento commissivo od omissivo ed atteso il suo carattere generico e sussidiario resta escluso, in base al principio di specialita’, allorche’ la violenza sia stata usata per uno dei fini particolari previsti per la “ragion fattasi” (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 1 , 22/03/1988, rv. 179558; Cass., sez. 6 , 23/01/2013, n. 13046).
Si e’, altresi’, precisato (cfr. Cass., sez. 5, 26.10.2006, n. 38820, rv. 235765), che in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni la pretesa arbitrariamente attuata dall’agente deve corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico di guisa che cio’ che caratterizza il reato in questione e’ la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato; e’, inoltre, necessario che la condotta illegittima non ecceda macroscopicamente i limiti insiti nel fine di esercitare, anche arbitrariamente, un proprio diritto, ponendo in essere un comportamento costrittivo dell’altrui liberta’ di determinazione, giacche’, in tal caso, ricorrono gli estremi della diversa ipotesi criminosa di cui all’articolo 610 c.p. (nel caso in questione la Suprema Corte ha censurato la decisione del giudice di appello che aveva affermato la sussistenza del reato di cui all’articolo 610 c.p., invece di quello di cui all’articolo 393 c.p., nella condotta di alcuni soggetti, aderenti ad un Consorzio, che avevano bloccato l’entrata e l’uscita degli automezzi di uno stabilimento appartenente ad una societa’, contrattualmente vincolata al detto Consorzio e rimasta inadempiente, rilevando, per converso, da un lato, l’esistenza dell’accordo che avrebbe legittimato il ricorso dei consorziati in giudizio anche al fine di ottenere un provvedimento d’urgenza volto ad inibire comportamenti in contrasto con gli obblighi contrattuali e, dall’altro, il protrarsi della violazione e dell’entita’ della stessa).
Tanto premesso, il percorso motivazionale seguito dal giudice di secondo grado nel rigettare la richiesta di diversa qualificazione giuridica del fatto contestato al (OMISSIS) nella fattispecie di cui all’articolo 392, c.p. (“Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose”), si presenta caratterizzato da una evidente carenza argomentativa. Se effettivamente il vialetto di accesso il cui transito da parte dell’ (OMISSIS) e’ stato impedito dall’imputato, parcheggiando la propria autovettura in modo tale da non consentire alla persona offesa di attraversarlo con il proprio veicolo, e’ di proprieta’ esclusiva del (OMISSIS) (in questo senso si esprime la formulazione del capo d’imputazione), appare arduo sostenere, come ha fatto la corte territoriale (cfr. p. 6), che quest’ultimo non “avrebbe potuto invocare una qualsiasi tutela giurisdizionale per raggiungere la finalita’ perseguita (ossia quella di impedire alla parte offesa l’uscita con il proprio mezzo)”.
Ed invero e’ insito nel diritto di godimento esclusivo della res, che costituisce il nucleo essenziale del diritto di proprieta’, il potere del proprietario di vietare l’accesso alla sua proprieta’, e, quindi, di impedirne il transito ai terzi, quando non sia gravata da una servitu’ pubblica o privata, ed a tale diritto l’ordinamento giuridico fornisce, in tutta evidenza, adeguata tutela giurisdizionale ove ne sia turbato il pacifico esercizio.
Il giudizio espresso al riguardo dalla corte territoriale, secondo cui il (OMISSIS) avrebbe agito non per garantirsi il libero transito, ma per una finalita’ “chiaramente ritorsiva e punitiva per le scorrettezze asseritamente commesse dall’ (OMISSIS)” (cfr. p. 6), non puo’ ritenersi una risposta soddisfacente all’invocata derubricazione, in quanto non coglie il profilo, innanzi evidenziato, del diritto di impedire ad omnes alios il diritto di transito sul proprio fondo, che rappresenta una delle tipiche manifestazioni del diritto di proprieta’.
Ne’ va taciuto, sotto una diversa prospettiva, che, ove si ritenesse la condotta del (OMISSIS) astrattamente riconducibile al paradigma normativo di cui all’articolo 392 c.p., andrebbe pur sempre verificato se tale condotta, in concreto, sia stata o meno arbitraria. Come chiarito dalla Suprema Corte, infatti, l’arbitrarieta’ della condotta non puo’ ritenersi sussistente qualora la violenza sulle cose venga esercitata al fine di difendere il diritto di possesso in presenza di un atto di spoglio o di turbativa nel godimento della res, sempre che l’azione reattiva avvenga nell’immediatezza di quella lesiva del diritto, non si tratti di ipotesi di compossesso e sia impossibile il ricorso immediato al giudice, sussistendo la necessita’ impellente di ripristinare il possesso perduto o il pacifico esercizio del diritto di godimento del bene (cfr., in questo senso, Cass., sez. 6 , 8.1.2010, n. 2548, rv. 245854; Cass., sez. 6 , 27.11.2012, n. 49760, rv. 254185; Cass., sez. 6 , 10.2.2010, n. 10602, rv. 246409).
Siffatti profili non sono stati minimamente presi in considerazione dalla corte territoriale e tale omissione, giustificando l’annullamento con rinvio della sentenza oggetto di ricorso per nuovo esame, dovra’ essere colmata dal giudice del rinvio, al quale spettera’ verificare se sussistono o meno le condizioni per potere qualificare la condotta del ricorrente in termini di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose, ai sensi dell’articolo 392 c.p., uniformandosi ai principi di diritto innanzi indicati.
5. La fondatezza del motivo di ricorso sinteticamente indicato nelle pagine che precedono suo n. 3), assorbe in se’ gli ulteriori motivi, dovendosi, peraltro, rilevare l’inammissibilita’ di quello sub. n. 1), per assoluta genericita’.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Trento per nuovo esame.

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