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Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza  5 giugno 2014, n. 23584

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Arezzo, con sentenza dell’8 ottobre 2012, ha confermato la sentenza del Giudice di pace di Arezzo del 12 aprile 2011 che aveva condannato B.G. alla pena di euro 400,00 di multa per il delitto di ingiurie in danno di C.M. oltre alla rifusione delle spese processuali e al risarcimento del danno, liquidato in euro 1.800,00, in favore della suddetta parte offesa costituita parte civile.
Le espressioni ingiuriose erano costituite dalle parole “si cavi dai coglioni” rivolte dall’imputato, a bordo del suo scooter, alla persona offesa che si trovava a bordo della propria auto parcheggiata in sosta vietata.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentandone:
a) una violazione di legge in merito alla non corretta applicazione dell’articolo 91 del d.p.r. 753/80 che impone al Direttore di esercizio dell’Azienda Tranviaria Urbana di assicurare la sicurezza e la regolarità del servizio con ricadute, pertanto, sulla sussistenza dell’elemento soggettivo dell’ascritto reato ovvero della sussistenza dell’esimente dello stato di necessità;
b) una violazione di legge in merito alla mancata applicazione della scriminante della provocazione di cui all’articolo 599, secondo comma cod.pen. neppure nella forma putativa;
c) una violazione di legge e una motivazione illogica in merito alla ritenuta efficacia ingiuriosa delle espressioni adoperate;
d) una motivazione illogica sul punto del rigetto dell’appello sulle statuizioni civili.
3. Risulta, altresì, pervenuta memoria nell’interesse della parte civile C. che si oppone all’accoglimento dell’avverso ricorso.

Considerato in diritto

1. Il ricorso merita accoglimento per la fondamentale considerazione dell’insussistenza del contestato reato d’ingiurie, essendo, quindi, fondato il terzo motivo che assorbe, di conseguenza, il primo e secondo motivo.
2. Invero, in tema di delitti contro l’onore, il Giudice di legittimità può e deve apprezzare se il decidente di merito abbia assunto la corretta determinazione con riferimento al valore sociale delle espressioni utilizzate (v. Cass. Sez. V 26 giugno 2012 n. 30719), per cui deve rilevarsi che non correttamente il Tribunale abbia ritenuto che l’espressione “si cavi dai coglioni”, rivolta dall’imputato alla parte civile nelle particolari circostanze di fatto in precedenza indicate, avesse contenuto offensivo, equivalendo essa, in sostanza, ad una manifestazione della volontà dell’odierno ricorrente, di offendere l’onore o il decoro della parte offesa.
L’indubbia volgarità dei termini utilizzati, però, non ha determinato automaticamente la lesione del bene protetto dalla fattispecie di cui all’articolo 594 cod.pen., proprio perché la frase incriminata si è tradotta in una manifestazione di maleducazione ed ha rappresentato una intimazione, sicuramente scomposta e non giustificabile sul piano della ordinaria educazione, alla situazione di fatto in cui si trovava la parte civile.
Tale approdo interpretativo appare assolutamente conforme alla elaborazione della giurisprudenza di legittimità al riguardo, secondo la quale, in tema di tutela penale dell’onore, la valenza offensiva di una determinata espressione, per essere esclusa (o comunque scriminata con il riconoscimento di una causa di non punibilità) deve essere riferita al contesto nel quale è stata pronunciata (v. Cass. Sez. V 21 giugno 2012 n. 39979 nonché, nello stesso senso, Cass. Sez. V 30 giugno 2011 n. 32907), per cui può ben dirsi, conclusivamente, che i criteri cui fare riferimento ai fini della configurabilità del reato di cui all’articolo 594 cod.pen., sono da individuare sia nel contenuto della frase pronunziata e nel significato che le parole hanno nel linguaggio comune, prescindendo dalle intenzioni inespresse dell’offensore, come pure dalle sensazioni puramente soggettive che la frase può aver provocato nell’offeso, sia nelle concrete circostanze in cui la frase viene pronunziata.
Del resto, come rilevato dalla Suprema Corte in un recentissimo arresto, (v. Cass. Sez. V 8 aprile 2014 n. 15710), condiviso da questo Collegio, l’utilizzo di un linguaggio più disinvolto, più aggressivo, meno corretto di quello in uso in precedenza caratterizza oggigiorno anche il settore dei rapporti tra i cittadini, derivandone un mutamento della sensibilità e della coscienza sociale: siffatto modo di esprimersi e di rapportarsi all’altro, infatti, se è certamente censurabile sul piano del costume, è ormai accettato (se non sopportato) dalla maggioranza dei cittadini.
E’ innegabile che l’evoluzione del costume e la progressiva decadenza del lessico adoperato dai consociati nei rapporti interpersonali, unitamente ad una sempre maggiore valorizzazione delle espressioni scurrili come forme di realismo nelle arti contemporanee ha reso alcune espressioni molto volgari di uso sempre più frequente, soprattutto negli strati della popolazione di più bassa estrazione socio-culturale, attenuandone fortemente la portata offensiva, con riferimento alla sensibilità dell’uomo medio.
Con valutazioni, che questo Collegio integralmente condivide, la dianzi indicata recente decisione di questa stessa Sezione ha affermato: “La riduzione del novero dei lemmi utilizzati nel linguaggio corrente, scelti peraltro di norma nella cerchia delle espressioni di più aspra volgarità, sintomo evidente di un incrudelimento vieppiù scoraggiante per i puristi della lingua, rappresenta ormai un inevitabile ed inarrestabile dato culturale, in ambienti in cui troneggia a mo’ di moderno totem lo strumento televisivo, purtroppo mezzo di diffusione dilagante di pratiche linguistiche sconvenienti”.
In questa prospettiva, appare opportuno ribadirlo, l’unico limite che non va superato, anche in materia di ingiuria, è ravvisabile nell’esigenza di evitare l’utilizzo di espressioni e argomenti che trascendano in attacchi diretti a colpire l’onore o il decoro altrui (v. Cass. Sez. V 5 giugno 2007 n. 34432), evento non verificatosi nel caso in esame.
L’espressione “si cavi dai coglioni” deve, in conclusione, interpretarsi come manifestazione scomposta di fastidio per l’intralcio al traffico posto in essere dalla parte offesa piuttosto che di un ingiustificato attacco all’onore e al decoro della stessa.
3. Conseguenziale all’affermazione dell’insussistenza del fatto ingiurioso, penalmente rilevante, è la revoca delle statuizioni civili di cui al giudizio di merito.

P.Q.M.

La Corte, annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.

 
 

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