Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza 30 marzo 2015, n. 13505
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAVANI Piero – Presidente
Dott. ZAZA Carlo – Consigliere
Dott. PEZZULLO Rosa – Consigliere
Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere
Dott. LIGNOLA Ferdinand – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
nei confronti di:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1948/2010 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del 06/07/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/01/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA;
Il Sostituto Procuratore generale della Corte di Cassazione, dr. Eduardo Vittorio Scardaccione, ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
il difensore della parte civile, avv. (OMISSIS), ha chiesto l’accoglimento del ricorso, depositando altresi’ conclusioni scritte e nota spese;
il difensore dell’imputata, avv. (OMISSIS), ha concluso per l’inammissibilita’, o in subordine, il rigetto del ricorso, chiedendo altresi’ la condanna della parte civile ricorrente al pagamento delle spese di difesa dell’imputata.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 23 aprile 2009, confermata dalla Corte d’appello di Bologna, in data 6 luglio 2012, il Tribunale di Rimini, all’esito di giudizio ordinario, assolveva (OMISSIS), perche’ il fatto non costituisce reato, dall’accusa di falsita’ ideologica in certificati, commessa da persone esercenti servizio di pubblica necessita’, in relazione ad alcune attestazioni di autenticita’ delle sottoscrizioni apparentemente vergate da (OMISSIS), in calce alle procure apposte a margine dei ricorsi per decreto ingiuntivo, proposti contro (OMISSIS) e (OMISSIS).
2. Il giudice di primo grado, con motivazione piuttosto sintetica, ha escluso il dolo dell’imputata, ritenendo che le autenticazioni della firma furono apposte nella consapevolezza che fossero autentiche; la Corte d’appello di Bologna, su impugnazione della Procura generale e della parte civile, ha confermato tale decisione, sulla base di un iter motivazionale piu’ articolato.
2.1 La vicenda trae origine dalla denuncia presentata dal (OMISSIS), cognato dell’avv. (OMISSIS) (amica e collega di studio dell’imputata), scomparsa a seguito del maremoto che ha investito la Thailandia nel (OMISSIS) e della quale era stato curatore per effetto della nomina del Tribunale di Rimini fino al ritrovamento della salma, il (OMISSIS). Le firme, delle quali era contestata la falsita’ dell’autentica, riguardano l’esperimento di azioni giudiziarie per recuperare i crediti della (OMISSIS), ma il (OMISSIS) negava di averle mai apposte.
2.2 La Corte territoriale ha in particolare osservato che le conclusioni del consulente del pubblico ministero e del consulente dell’imputata in ordine alla falsita’ delle firme sono contrastanti, poiche’ il primo esclude che appartengano al (OMISSIS) ed il secondo le riconduce alla mano del querelante, ma anche il primo consulente non puo’ attribuirne la paternita’ all’imputata; inoltre entrambi identificano la mano che ha apposto le due firme con quella che ha sottoscritto una missiva del 30 giugno 2005, in possesso del (OMISSIS) in copia fin dalla data di invio e mai contestata quanto alla sottoscrizione. Si rileva ancora che il consulente di difesa attribuisce alla medesima mano anche la lettera inviata alla (OMISSIS) in data 17 febbraio 2005, parimenti in possesso del (OMISSIS) fin da tale data, come anche quella diretta all’Inps datata 2 febbraio 2005 e vengono ritenute inattendibili alcune affermazioni del querelante; sono invece considerate significative alcune dichiarazioni rese dai testi (OMISSIS) e (OMISSIS), riguardanti il contenzioso con (OMISSIS), come anche si ritiene dimostrato che la parte civile avesse gia’ rilasciato varie sottoscrizioni di deleghe in bianco, probabilmente utilizzate per confezionare gli atti giudiziari, il che escludeva comunque ogni ragionevole movente.
3. La parte civile, a mezzo del difensore, avv. (OMISSIS), propone ricorso per cassazione affidato a sette motivi.
3.1 Con il primo motivo si deduce violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), per contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in ordine alla carenza probatoria sulla falsita’ delle firme, poiche’ da una parte il Tribunale aveva ritenuto sussistente il fatto materiale della falsificazione, ma dall’altra aveva escluso la consapevolezza dell’imputata, il che rende illogico poi dubitare della falsita’ materiale delle sottoscrizioni.
3.2 Con il secondo motivo si deduce violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), per carenza di motivazione in ordine alle parole della persona offesa, cristallizzate nella denuncia utilizzabile per la scelta del rito, con riferimento al diniego di aver mai sottoscritto una delega in bianco.
3.3 Con il terzo motivo si deduce violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in riferimento agli articoli 43 e 481 cod. pen., in relazione agli elementi comprovanti la contraffazione delle firme e la loro riconducibilita’ all’imputata. Il ricorrente pone su un piano diverso la consulenza del pubblico ministero, rispetto a quella della difesa, che considera mere “osservazioni” e dunque di minor valenza probatoria.
3.4 Con il quarto motivo si deduce violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in riferimento agli articoli 43 e 481 cod. pen., in relazione all’elemento soggettivo del reato. Il ricorrente contesta e denuncia la distorta valutazione di alcuni fatti significativi, come la rilevante somiglianza della grafia dell’imputata con quella delle sottoscrizioni contestate, che non e’ stata giudicata in termini di certezza solo per il rifiuto dell’imputata di rendere un saggio grafico; le considerazioni in ordine alla sottoscrizione delle missive del 30 giugno 2005 e del 17 febbraio 2005, mai oggetto di perizia e delle quali non e’ dimostrata la piena cognizione da parte del (OMISSIS); la conoscenza del contenzioso con il (OMISSIS); la valutazione di attendibilita’ dei testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), tutti legati all’imputata ed il travisamento delle loro dichiarazioni; il previo rilascio di deleghe in bianco; la coerenza della versione dell’imputata, suffragata da dichiarazioni che si sono rivelate false; la non riferibilita’ all’imputata della condotta materiale di contraffazione, in presenza di una serie di elementi fattuali logici di segno contrario; l’assenza di movente, rappresentato invece dalla percezione delle spese giudiziali liquidate dal giudice del decreto ingiuntivo.
3.5 Con il quinto motivo si deduce violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in riferimento agli articoli 43 e 481 cod. pen., in relazione all’elemento soggettivo del reato, sotto il profilo del dolo eventuale. Il ricorrente sottolinea che il fatto stesso di autenticare firme non raccolte alla propria presenza rappresenta gia’ una concreta e rilevante assunzione di rischio, aggravata dal fatto che nemmeno la persona delegata a raccoglierle lo avrebbe fatto; inoltre la conoscenza della modalita’ di sottoscrizione, ammessa dall’imputata, unitamente alle modalita’ anomale di sottoscrizione (anteposizione del nome al cognome e apposizione del titolo di Rag.) consentono di ritenere dimostrata l’accettazione del rischio, come recentemente affermato da questa Corte (Sez. 5, n. 26983 del 27/04/2012, Molinaro, non massimata).
3.6 Con il sesto motivo si deduce violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera c) ed e), in riferimento all’articolo 192 c.p.p., commi 1 e 2 per l’erronea delibazione ed elaborazione della base motiva della sentenza completamente opposta alla pronuncia impugnata (cosi’ testualmente).
3.7 Con il settimo motivo si deduce violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera b), in riferimento all’articolo 185 cod. pen., articoli 2043 e 2059 cod. civ., in relazione all’affermazione della sentenza impugnata riguardante la mancata indicazione o prova dei profili del danno non patrimoniale sofferti. Il ricorrente evidenzia che la domanda era essenzialmente incentrata sui danni non patrimoniali di natura morale che conseguono ipso iure al patimento di una condotta penalmente rilevante; si sottolinea altresi’ che dalla sentenza impugnata emergono comunque i profili che potevano orientare il giudicante nella liquidazione del danno, rappresentati dal pesante discredito derivante al (OMISSIS), titolare di un ufficio pubblico, dall’affermazione che egli rilasciava firme in bianco; dalla gravita’ dei fatti anche in considerazione della qualifica soggettiva dell’imputata; dal pregiudizio dell’immagine per il (OMISSIS), in considerazione della funzione pubblicistica di curatore ricoperta; dalla pluralita’ delle condotte; dalla natura dolosa e dall’intensita’ dell’elemento soggettivo; la funzione parzialmente punitiva dell’istituto ex articolo 2059 cod. civ..
4. Con memoria del 19 marzo 2014 il difensore dell’imputata, ricostruita la vicenda come descritta nelle sentenze di merito, chiede la dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso, o, in subordine, il rigetto. Richiamati i principi di diritto piu’ volte espressi da questa Corte circa il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimita’ ed il valore probatorio degli atti di indagine difensiva prodotti nel fascicolo dall’imputata, il difensore ricorda che nel caso di specie manca ogni certezza in ordine alla effettiva falsita’ delle sottoscrizioni e sottolinea i forti risentimenti della parte civile nei confronti dell’imputata, in considerazione delle disposizioni testamentarie della (OMISSIS), che hanno privilegiato la (OMISSIS) a discapito della moglie del (OMISSIS) (sorella della defunta). Viene inoltre ricordato che, in ossequio alla regola del ragionevole dubbio formalizzata dall’articolo 533 cod. proc. pen., l’eventuale rivisitazione in senso peggiorativo compiuta in appello dello stesso materiale probatorio, gia’ ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, deve essere sorretta da argomenti tali da evidenziare carenze oggettive o insufficienze della decisione istruttoria che deve rivelarsi non piu’ sostenibile, poiche’ la condanna presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l’assoluzione non presuppone la certezza dell’innocenza, ma la mera non certezza della colpevolezza. Alla stregua di questi principi viene censurato ciascuno dei motivi proposti dalla parte civile ricorrente, sotto il profilo della genericita’, della autosufficienza e poiche’ proponenti ricostruzioni dei fatti alternative a quelle effettuate dalla Corte di merito – spesso censurata con espressioni irriguardose – e dunque rivolti ad una rivisitazione dei fatti non consentita in sede di legittimita’.
Si chiede infine la condanna della parte civile ricorrente al pagamento delle spese di difesa dell’imputata.
5. Con memoria del 30 giugno 2014 il nuovo difensore e procuratore speciale della parte civile, avv. (OMISSIS), riassunti nuovamente i fatti, propone nuove deduzioni a sostegno dei motivi principali, ribadendo l’omessa valutazione ed erronea interpretazione e violazione di legge circa la denuncia della persona offesa, l’omessa valutazione di travisamento della consulenza grafologica del pubblico ministero, l’assenza di prova ed il travisamento della seconda versione difensiva resa dall’imputata, l’assoluta rimozione dell’ipotesi del dolo eventuale, la palese illogicita’ delle causali evocate dall’imputata e recepite quale spiegazione dei fatti, il travisamento delle presunte prove documentali a discarico e la sussistenza dell’interesse a ricorrere e del danno subito dalla parte civile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va rigettato.
1.1 E’ necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di legittimita’ sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, delineati dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), come vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla Legge n. 46 del 2006, che questo non concerne ne’ la ricostruzione dei fatti, ne’ l’apprezzamento del giudice di merito, ma e’ circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicita’ evidente, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.
1.2 Sul punto va ancora precisato che l’illogicita’ della motivazione censurabile puo’ essere solo quella “evidente”, cioe’ di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimita’ sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto. Infatti il sindacato demandato alla Corte di Cassazione si limita al riscontro dell’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilita’ di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. Deve inoltre aggiungersi che il vizio della “manifesta illogicita’” della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica “rispetto a se’ stessa”, cioe’ rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica.
1.3 Sintetizzando sul punto, si e’ detto che il sindacato del giudice di legittimita’ sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia: a) sia “effettiva” e non meramente apparente, cioe’ realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilita’ logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.
1.4 Alla Corte di Cassazione non e’ quindi consentito di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi da quelli fatti propri dal giudice del merito (Sez. 6, n. 27429 del 04/07/2006, Lobriglio, Rv. 234559; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099) e non possono dar luogo all’annullamento della sentenza le minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione (ma che non siano inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di decisivita’), posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto. Al contrario, e’ solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisivita’ degli elementi medesimi, oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Reggio, Rv. 254988; Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, Ferdico, Rv. 239789).
2. Vanno, pertanto, immediatamente dichiarate inammissibili, perche’ non consentite, le doglianze del ricorrente (secondo, terzo e quarto motivo) riguardanti le numerose presunte incongruenze argomentative e l’omessa esposizione o disamina di elementi – in gran copia riversati anche nell’odierno procedimento, all’evidenza travisando la funzione e le finalita’ del giudizio di legittimita’ che il ricorrente ritiene tali da determinare una diversa decisione, ma che non appaiono inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di decisivita’, e non possono, pertanto, dar luogo all’annullamento della sentenza impugnata. L’affermazione della persona offesa di non aver mai rilasciato una delega in bianco e’ stata infatti apprezzata dalla Corte territoriale e ritenuta inattendibile (pagina 5 della sentenza); le considerazioni sulla valenza delle deduzioni del consulente della difesa e sulla mancata richiesta di una perizia d’ufficio e tutte le deduzioni del quarto motivo sostanzialmente sollecitano questa Corte ad una riconsiderazione degli elementi probatori, operazione non consentita secondo quanto si e’ detto in premessa.
3. Vanno comunque condivise, in punto di diritto, le argomentazioni della difesa dell’imputata in ordine all’efficacia probatoria degli atti delle indagini difensive, correttamente utilizzate ai fini della decisione dai giudici di merito.
Le investigazioni difensive possono essere svolte senza limiti temporali in qualsiasi stato e grado del procedimento e possono essere prodotte anche nel giudizio abbreviato.
L’articolo 442, comma 1 bis, prevede che ai fini della deliberazione il giudice utilizzi gli atti contenuti nel fascicolo di cui all’articolo 416, comma 2, la documentazione di cui all’articolo 419, comma 3 e le prove assunte nell’udienza. Il materiale utilizzabile e’, percio’, non solo quello contenuto nel fascicolo del P.M., ma anche quello acquisito in udienza.
E’ infatti indubitabile che i risultati delle investigazioni difensive possano essere prodotti anche nel corso dell’udienza preliminare (l’articolo 327 bis cod. proc. pen. fa riferimento ad ogni stato e grado del procedimento), per cui, coincidendo il termine ultimo per la richiesta di giudizio abbreviato con quello per la formulazione delle conclusioni (articolo 438 c.p.p., comma 2), il materiale probatorio utilizzabile dal giudice per la decisione (articolo 442 c.p.p., comma 1 bis) non puo’ che comprendere anche i risultati delle indagini difensive depositati in sede di udienza preliminare. E’ del tutto evidente, inoltre, che le indagini difensive, legittimamente presentate, debbano essere valutate dal giudice in relazione a tutte le determinazioni che e’ chiamato ad assumere in quella fase del procedimento e quindi anche in ordine a quelle di carattere decisorio che definiscano il procedimento con i riti alternativi (giudizio abbreviato e applicazione di pena concordata).
Ne’ puo’ ritenersi che la produzione e quindi l’utilizzabilita’ del contenuto delle investigazioni difensive operi solo in caso di richiesta di rito abbreviato condizionato ad integrazione probatoria. Tale interpretazione sarebbe, invero, in contrasto con il chiaro disposto dell’articolo 327 bis c.p.p. e articolo 438 c.p.p., comma 2. La conferma del resto si ricava dallo stesso articolo 438 c.p.p., comma 5, che prevede la possibilita’ di subordinare la richiesta di rito abbreviato ad integrazione probatoria, ferma restando la utilizzabilita’ ai fini della prova degli atti indicati nell’articolo 442, comma 1 bis, (e quindi anche delle investigazioni difensive prodotte).
4. Fatta questa precisazione e passando agli altri motivi, in ogni caso il si primo va dichiarato inammissibile: al di la’ del fatto che la contraddizione tra la formula assolutoria e l’iter motivazionale e’ riferito alla decisione del Tribunale e solo indirettamente a quella di appello, nella parte in cui conferma la prima, la Corte territoriale ha ritenuto espressamente indimostrata sia la falsita’ delle firme, sia la consapevolezza in capo all’imputata, per cui non vi e’ contraddizione.
Invero, come piu’ volte chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 2, n. 19696 del 20/05/2010, Maugeri, Rv. 247123; Sez. 2, n. 3706 del 21/01/2009, Haggag, Rv. 242634), il vizio di motivazione denunciabile nel giudizio di legittimita’ e’ solo quello attinente alle questioni di fatto e non anche di diritto, giacche’ ove queste ultime, anche se in maniera immotivata o contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comunque esattamente risolte, non puo’ sussistere ragione alcuna di doglianza, mentre, viceversa, ove tale soluzione non sia giuridicamente corretta, poco importa se e quali argomenti la sorreggano. E, d’altro canto, l’interesse all’impugnazione potrebbe nascere solo dall’errata soluzione di una questione giuridica, non dall’eventuale erroneita’ degli argomenti posti a fondamento giustificativo della soluzione comunque corretta di una siffatta questione.
4. Il quinto motivo e’ infondato.
La Corte bolognese non ha escluso la compatibilita’ in astratto tra la fattispecie di falso contestata ed il dolo eventuale, ma ne ha escluso in concreto la ricorrenza, con un percorso argomentativo che non evidenzia alcuna illogicita’ manifesta; d’altronde il dubbio sulla falsita’ delle sottoscrizioni determina inevitabilmente una incertezza anche sull’elemento soggettivo del reato.
5. Il sesto motivo di ricorso e’ inammissibile, poiche’ denuncia una inosservanza o erronea applicazione dell’articolo 192 cod. proc. pen., la quale, per costante giurisprudenza di questa Corte, non puo’ essere dedotta ricorrendo al motivo di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita’ ed un vizio di motivazione, per mancanza di sanzione processuale (Sez. 6, n. 45249 del 08/11/2012, Cimini, Rv. 254274). Assolutamente generica e’ poi la doglianza di vizio motivazionale, specificata esclusivamente attraverso un rinvio “al corredo indiziario della cui valutazione si e’ gia’ esposto”.
6. Il settimo motivo di ricorso e’ assorbito dagli altri.
7. In conclusione il ricorso della parte civile va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
8. Sussistono giustificati motivi per la compensazione totale delle spese di difesa dell’imputata, delle quali il difensore aveva chiesto il pagamento, ai sensi dell’articolo 592 c.p.p., comma 4 e articolo 541 c.p.p., comma 2, considerata la condotta complessiva delle parti; deve infatti riconoscersi anche al giudice di legittimita’ il potere di compensare in modo totale o parziale le spese processuali sostenute dalle parti, in presenza di espressa richiesta formulata ai sensi dell’articolo 542 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, compensando fra di loro le spese sostenute dalle parti private.
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