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Suprema Corte di Cassazione

sezione V
sentenza 3 febbraio 2014, n. 5247

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARASCA Gennaro – Presidente
Dott. DUBOLINO Pietro – Consigliere
Dott. FUMO Maurizi – Consigliere
Dott. PEZZOLLA Rosa – Consigliere
Dott. DEMARCHI ALBENGO P. – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 76/2010 TRIBUNALE di GENOVA, del 26/10/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/12/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBENGO;
Il Procuratore generale della Corte di cassazione, Dr. Izzo Gioacchino, ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perche’ il fatto non costituisce reato.
RITENUTO IN FATTO
1. (OMISSIS) e’ imputato del reato di cui all’articolo 595 c.p. perche’ inviando via fax all’istituto di vigilanza privata (OMISSIS) una comunicazione, letta da piu’ persone, del seguente tenore: “nel rammentarvi che l’appropriazione indebita articolo 646 c.p. e’ reato penale e che cio’ assume particolare rilevanza per un istituto di vigilanza privata..” offendeva la reputazione di (OMISSIS).
2. Il giudice di pace di Genova condannava l’imputato alla pena di euro 350 di multa ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita; il tribunale di Genova, quale giudice dell’appello, confermava la sentenza di primo grado, condannando l’imputato al pagamento delle spese processuali.
3. Il tribunale, pur avendo riconosciuto che l’intenzione principale dell’imputato era quella di forzare il versamento dei contributi sindacali da parte dell’azienda, ha ritenuto comunque sussistente il dolo perche’ egli indubbiamente aveva l’intenzione di attribuire al responsabile della (OMISSIS) il reato di appropriazione indebita per il ritardo (fatto vero) nel versamento delle quote sindacali; ha pertanto riconosciuto la coscienza e volonta’ di commettere il reato con una comunicazione inviata a piu’ persone. Non ha poi riconosciuto la scriminante del diritto di critica sindacale, perche’ non si era trattato solamente di un linguaggio aspro, ma dell’attribuzione di un reato.
4. Propone ricorso per cassazione l’imputato per i seguenti tre motivi:
a. inosservanza od erronea applicazione della legge penale; sostiene l’imputato che non possa ritenersi sussistente l’elemento psicologico nei casi in cui esso non abbracci l’evento e cioe’ in tutti in quei casi in cui la finalita’ perseguita risulti essere diversa dall’offesa. Nel caso di specie l’unico fine perseguito con l’invio della comunicazione contestata non era l’offesa all’altrui reputazione, ma una semplice e dura contestazione sindacale di fatti rilevanti per la vita aziendale.
b. Sussistenza della scriminante ex articolo 51 c.p.. L’esercizio del diritto di critica sindacale puo’ lecitamente assumere anche toni aggressivi ed esagerati, venendo meno in caso contrario la stessa funzione comunicativa, nonche’ l’impeto sul quale gli scritti fanno affidamento.
c. prescrizione del reato, per il decorso di oltre sette anni e mezzo dalla data di commissione del delitto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Ritiene questo collegio che sussista l’esimente dell’esercizio del diritto di critica sindacale (articolo 51 c.p.) qualora il rappresentante di un’organizzazione sindacale, intervenendo a tutela dei lavoratori nella veste di rappresentante di categoria, ipotizzi a carico della parte lesa la realizzazione di comportamenti penalmente rilevanti, allorche’ si tratti di critica volta a stigmatizzare, ancorche’ con toni aspri, ma conferenti all’oggetto della controversia, le iniziative intraprese dall’azienda e ritenute illegittime (per un caso analogo, v. Sez. 5, n. 32180 del 12/06/2009, Dragone, Rv. 244495).
2. Nel caso di specie, il (OMISSIS), agendo nell’ambito dei propri poteri rappresentativi dei lavoratori, aveva stigmatizzato un fatto vero, e cioe’ l’omesso versamento dei contributi da parte del datore di lavoro, ipotizzando la potenziale configurazione del reato di appropriazione indebita. Trattavasi, dunque, di affermazione relativa alla qualificazione giuridica, sotto il profilo penale, di un fatto vero; affermazione certamente relativa ad un argomento di carattere corporativo, attinente agli scopi ed interessi della categoria, e dunque scriminata dall’articolo 51 c.p.. Ne’ puo’ ritenersi superato il limite della continenza, non essendosi in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti o inutilmente umilianti, possano configurare una mera aggressione verbale a danno del soggetto criticato (cfr. Sez. 5, n. 15060 del 23/02/2011, Dessi’, Rv. 250174).
3. Ne consegue che il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata annullata senza rinvio, per essere il ricorrente non punibile ai sensi dell’articolo 51 c.p..
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio per essere il ricorrente non punibile ai sensi dell’articolo 51 c.p..

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