fallimento-impresa

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 10 febbraio 2014, n. 2955

Svolgimento del processo

1. Il 15 maggio 1998 i signori A.G. ed E. citarono l’avv. P.E. e il Banco di Napoli davanti al Tribunale di Napoli. Esposero che il 30 aprile 1980 il medesimo tribunale aveva dichiarato il fallimento della s.n.c. FR.AM. e di loro personalmente, quali soci illimitatamente responsabili, nominando curatore l’avvocato P. . Il conto di deposito del fallimento fu aperto presso il Banco di Napoli. Il fallimento fu chiuso con decreto 30 agosto 1989, con un residuo attivo di L. 281.596.329, che non era stato loro restituito. Successivamente era emerso che le poste del conto di deposito, sul quale si fondava il rendiconto a suo tempo approvato, erano errate, e il saldo effettivo loro spettante era di L. 796.679.202.
Era stato in tal modo accertato il compimento da parte del curatore di varie irregolarità in concorso con funzionari infedeli del Banco di Napoli e con la partecipazione di tale ragioniere D.C. , imputato per molti illeciti del medesimo genere commessi in relazione ad altre procedure fallimentari, quali pagamenti in favore di persone non legittimate, prelievi eseguiti da persone non legittimate, operazioni di giroconto su altri libretti non intestati alla procedura, pagamento di assegni circolari non trasferibili in favore di soggetti diversi dall’ordinatario. Essi chiesero l’accertamento delle responsabilità del curatore, e della banca, e la condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei danni. I convenuti resistettero all’azione. Il giudizio, interrotto per l’incorporazione del Banco di Napoli da parte della Sanpaolo IMI s.p.a., fu riassunto nei confronti dell’incorporante.
2. Con sentenza 1 dicembre 2004 il tribunale condannò i convenuti in solido al risarcimento dei danni subiti dagli attori, liquidati in Euro 481.277,13.
3. Contro la sentenza proposero appello l’avvocato P. , con atto notificato anche alla Sanpaolo Banco di Napoli s.p.a., quale successore di ramo d’azienda della Sanpaolo IMI spa; e la Sanpaolo IMI s.p.a., con atto al quale l’avvocato P. resistette con appello incidentale di contenuto identico a quello dell’appello già proposto, depositato alla prima udienza; nonché gli A. in via riconvenzionale. La Sanpaolo Banco di Napoli s.p.a. chiese che fosse dichiarata l’inammissibilità delle domande proposte nei suoi confronti, non essendo stata parte del giudizio di primo grado e non essendo succeduta nel rapporto controverso.
4. Con sentenza 22 febbraio 2006 n. 540, la Corte d’appello di Napoli ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’avv. P. nei confronti della Sanpaolo Banco di Napoli s.p.a., che non aveva partecipato al primo grado e non era succeduta nel rapporto controverso; ha dichiarato inammissibile l’appello della Sanpaolo IMI s.p.a. nei confronti degli A. per difetto di legitimatio ad processum del soggetto che aveva speso il nome della società; ha dichiarato inefficace a norma dell’art. 334 c.p.c. l’appello incidentale tardivo proposto dall’avv. P. contro la San Paolo IMI s.p.a., perché proposto oltre il termine breve decorrente dalla notifica dell’appello dello stesso avvocato P. contro la Sanpaolo Banco di Napoli s.p.a.; ha parzialmente accolto l’appello degli A. nei confronti della San Paolo IMI s.p.a., e ha condannato questa – sotto il vincolo della solidarietà con l’avv. P. , ma solo sino al minor importo, da liquidare a carico di questi con la sentenza definitiva – al pagamento di Euro 809.411,87, oltre agli accessori; ha respinto tutti i motivi del gravame degli A. nei confronti dell’avv. P. , ad esclusione di quelli sulla liquidazione del danno; ha compensato le spese del grado nei rapporti tra l’avv. P. e la Sanpaolo Banco di Napoli spa, e tra lo stesso avvocato e la San Paolo IMI spa; ha condannato questa -sotto il vincolo della solidarietà con l’avv. P. sino al minor importo da liquidare con la sentenza definitiva – alla rifusione delle spese del grado nei confronti degli A. , e ha disposto con separata ordinanza per l’istruttoria necessaria per la definizione del rapporto contenzioso tra l’avv. P. e gli A. .
5. Con la successiva sentenza in data 27 settembre 2006 n. 2971, la corte territoriale ha liquidato il danno imputabile all’avvocato P. , e le spese poste a carico di questi nei rapporti con gli A. .
6. Contro la prima delle due sentenze Intesa Sanpaolo s.p.a. ha proposto ricorso con atto notificato alle altre parti, e all’avvocato A.R. quale procuratore antistatario dei signori A. per due motivi.
7. Per la cassazione di entrambe le sentenze ha proposto ricorso l’avv. P. , con atto notificato alle altre parti e all’avvocato A.R. quale procuratore antistatario dei signori A. , per nove motivi.
Lo stesso avvocato P. ha resistito al ricorso proposto da Intesa Sanpaolo s.p.a. con controricorso e ricorso incidentale, in cui richiama il ricorso già notificato il 23 marzo e aggiunge due motivi.
I signori A. e l’avvocato A. in proprio resistono con controricorso.
Tutte le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

8. I ricorsi, proposti contro la medesima sentenza, devono essere riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c..
9. Deve dichiararsi (n via pregiudiziale l’inammissibilità dei ricorsi proposti nei confronti dell’avvocato A. , quale procuratore antistatario, da Intesa Sanpaolo s.p.a. e dall’avvocato P. , non essendo stata formulata specificamente alcuna domanda di annullamento della pronuncia di distrazione delle spese a favore dell’antistario.
10. Con il primo motivo del suo ricorso, Intesa Sanpaolo s.p.a. censura la dichiarazione d’inammissibilità dell’appello da essa proposto contro la sentenza di primo grado. La corte territoriale ha motivato questa decisione con il difetto, rilevato d’ufficio, di legitimatio ad processum della persona che aveva sottoscritto la procura alla lite, qualificatasi come procuratore della società appellante in forza di procura speciale rilasciata per atto pubblico dal legale rappresentante della stessa società: detta procura, infatti, non era stata prodotta in giudizio.
10.1. Il motivo è fondato. Secondo la più recente giurisprudenza di questa corte, l’art. 182, secondo comma, c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dalla legge n. 69 del 2009), secondo cui il giudice che rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione può assegnare un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio, dev’essere interpretato, anche alla luce della modifica apportata dall’art. 46, comma secondo, della legge n. 69 del 2009, nel senso che il giudice deve promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio e indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti ex tunc, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali (Cass. Sez. Un. 19 aprile 2010 n. 9217); dunque l’omissione di tale adempimento d’ufficio implica un error in procedendo che causa la nullità del provvedimento dichiarativo della nullità, vizio deducibile in cassazione ex art. 360 n. 4.
10.2. A questa regola non si è attenuta la corte territoriale, che, in mancanza di eccezione della controparte, ha rilevato in sede di decisione l’omessa produzione dell’atto pubblico di conferimento di poteri rappresentativi in capo a colui che aveva sottoscritto la procura, alla lite, e senza assegnare termine alla parete per la regolarizzazione dell’atto ha dichiarato inammissibile l’appello. La sentenza deve essere pertanto, per questa parte, cassata in applicazione del già riportato principio di diritto, applicabile alla fattispecie.
10.3. L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo, che muove dell’opposta premessa dell’affermata inammissibilità dell’appello della stessa banca. I successivi motivi sono riservati al giudice davanti al quale la causa deve essere rinviata, non essendo stati esaminati nel giudizio a quo.
10.4. L’accoglimento del primo motivo del ricorso principale assorbe inoltre l’esame dei motivi settimo, ottavo e nono del ricorso dell’avvocato P. , con i quali si censura l’affermazione dell’inammissibilità dell’appello proposto contro San Paolo Banco di Napoli s.p.a., perché si sarebbe piuttosto dovuta ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti di San Paolo IMI s.p.a., e l’inefficacia dell’appello da lui proposto contro San Paolo IMI s.p.a. Nell’impugnata sentenza, infatti, le pronunce censurate dipendono dall’affermata inammissibilità dell’appello di San Paolo IMI s.p.a., e sono pertanto travolte dalla cassazione di quell’affermazione a norma dell’art. 336 c.p.c..
11. Con il primo motivo del ricorso incidentale l’avvocato P. denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., essendosi il giudice di merito, in primo grado, pronunciato su domanda diversa da quella – di responsabilità contrattuale – proposta in causa dal fallimento attore. Secondo il ricorrente, era stata proposta una domanda di revisione del conto ex artt. 116 legge fall., e 266 c.p.c., incidente sul quantum della pretesa risarcitoria; e di accertamento della responsabilità dell’ex curatore per violazione delle funzioni connesse alla sua carica ex art. 38 legge fall., che avrebbe determinato l’insorgere della stessa pretesa. Il tribunale, invece, avrebbe accolto una domanda di risarcimento danni da illecito extracontrattuale. Essendo stato tale vizio denunciato con specifico motivo d’appello finalizzato a far accertare l’inammissibilità della domanda, perché preclusa dall’approvazione del conto, la corte territoriale a-vrebbe erroneamente motivato il rigetto del motivo con il potere del giudice di merito di interpretare la domanda. La ricorrente, conseguentemente, sottopone a censura l’interpretazione della domanda offerta dal giudice di merito nel doppio grado di giudizio, perché condotta non già con riguardo all’azione che in concreto è stata esercitata nel presente giudizio, bensì a quella che in astratto competerebbe all’attore in una fattispecie come quella sottoposta a giudizio.
11.2. La censura è infondata. Va ricordato, innanzi tutto, che trattandosi di censure all’interpretazione della domanda, e dunque di error in procedendo nell’esame del quale la corte è giudice del fatto processuale, e decide direttamente in base alle risultanze degli atti acquisiti al giudizio di legittimità (cfr. Cass. Sez. un. 22 maggio 2012 n. 8077), la motivazione della corte territoriale non è decisiva, e il sindacato di legittimità non è contenuto nei limiti dell’art. 360, comma primo n. 5 c.p.c..
Nel merito ritiene tuttavia la corte che la denunciata ultrapetizione non sussista, avendo riguardo non solo al petitum, che era certamente di risarcimento del danno al patrimonio della società tornata in bonis e non alla massa attiva fallimentare, ma anche con riguardo alla causa petendi, posto che le violazioni degli obblighi gravanti sul curatore non erano allegate a titolo di responsabilità contrattuale nei confronti diretti della società, bensì a titolo di qualificazione dell’ingiustizia del danno, non potendosi considerare compiute jure le operazioni sul patrimonio – che pure l’amministratore aveva titolo ad amministrare nella fase della liquidazione concorsuale – compiute in violazione di norme di legge.
12. Con il secondo motivo si denuncia la mancata sospensione del giudizio in pendenza di processo penale per l’accertamento di reati derivanti dai medesimi fatti, non potendo la corte d’appello procedere essa stessa all’accertamento incidentale di quei reati ai fini dell’individuazione del maggior termine di prescrizione civile. La questione non sarebbe superata dal rilievo che lo stesso curatore non aveva proposto eccezione di prescrizione, perché il tribunale su tale eccezione si era comunque pronunciato ritenendo applicabile la più lunga prescrizione prevista per gli illeciti costituenti reato, e quindi non se ne sarebbe potuto più mettere in discussione l’appartenenza ai temi del giudizio.
12.1. Il motivo è infondato. La circostanza che l’eccezione di prescrizione non sia stata proposta in primo grado dall’avvocato P. , affermata motivatamente dalla corte d’appello, non è formalmente contestata nel ricorso, che in ogni caso omette di precisare in quale sede processuale – riscontrabile nel presente giudizio sulla base delle indicazioni prescritte a pena d’inammissibilità dall’art. 366 primo co. n. 6 c.p.c. – avrebbe sollevato l’eccezione. Si assume, senza fondamento, che il tribunale, avendo preso in esame la questione della durata della prescrizione, che era stata sollevata dalla banca, avrebbe dovuto risolverla nel senso favorevole alla parte ricorrente. La tesi non può essere seguita, perché in relazione alla questione della prescrizione l’avvocato P. , che sosteneva la natura contrattale dell’azione esercitata dalla società, non era soccombente, e non era pertanto legittimato a dolersi.
13. Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c.. Si sostiene che l’azione di responsabilità extracontrattuale era stata fondata, in citazione, sull’emissione di assegni circolari all’ordine o comunque sull’esecuzione di pagamenti a beneficio di persone non legittimate, l’esecuzione di prelievi da parte di persone parimenti non legittimiate, l’esecuzione di operazioni di giroconto dai libretti intestati alla procedura su altri libretti, il pagamento di assegni circolari, avvenuto ad onta della clausola di non trasferibilità in favore di soggetti diversi dal destinatario, il pagamento di assegni circolari recanti la firma per l’incasso chiaramente contraffatta e senza che si fosse proceduto all’identificazione del portatore. Venuti meno questi elementi per il disconoscimento delle sottoscrizioni da parte dell’avvocato P. , non seguito da istanza di verificazione, la domanda era stata accolta dal tribunale con la sostituzione del fatto costitutivo (indebito prelievo di somme) con fatti diversi, quali l’omessa custodia del libretto di risparmio e la supposta cessione a terzi (il ragionier D.C. ) della custodia del libretto di risparmio, in violazione del vincolo d’intrasmissibilità delle funzioni sancito dall’art. 32 legge fallimentare; fatti contestati dagli A. soltanto nella comparsa conclusionale del 10 dicembre 2001. A torto la corte territoriale aveva respinto il relativo motivo di gravame, con l’argomento che l’addebito rivolto in citazione all’avvocato P. era di aver “concorso” con i funzionari del Banco di Napoli alla consumazione degli illeciti in danno degli attori, senza specificazione del modo in cui in cui si sarebbe realizzata tale “cooperazione”; questa, che nell’impugnata sentenza è definita una “semplice e ammissibile specificazione di quanto esposto in citazione”, era stata fatta successivamente, con l’indicazione che la cooperazione sarebbe consistita nella consegna del libretto di deposito al D.C. e nella delega non autorizzata alla gestione del deposito.
13.1. Il motivo è fondato. Anche in questo caso occorre considerare che, in materia d’interpretazione della domanda proposta in causa, la Corte di cassazione è giudice del fatto processuale, e si pronuncia nel merito della censura, e senza il filtro costituito dalla formale correttezza della motivazione della sentenza impugnata.
Non v’è dubbio che l’addebito mosso all’avvocato P. , nella citazione introduttiva del giudizio, fosse di concorso con funzionari infedeli della banca e con il ragionier D.C. nel fatto illecito doloso, qual è certamente il prelievo abusivo di somme da un libretto bancario. Tale concorso è cosa intrinsecamente diversa dalla “cooperazione colposa” nella produzione dell’evento non voluto, di cui si parla nell’impugnata sentenza, giacché questa suppone piuttosto il compimento di un’unica azione colposa ad opera di più partecipanti, fattispecie del tutto estranea a quella di causa. A maggior ragione deve tenersi distinto il concorso di persone nell’illecito (che è sempre doloso), dal concorso di cause indipendenti, quale secondo la sentenza impugnata sarebbe stata la condotta colposa del ricorrente nella serie causale che condusse alla commissione, da parte di altri, di un illecito doloso. Il fatto colposo accertato non può essere una specificazione del concorso contestato, perché è incompatibile con esso. Il passaggio dunque dalla contestazione di un concorso in fatti illeciti, costituiti da indebite appropriazioni di somme depositate in banca, all’accertata condotta (solitaria) colposa per trasferimento indebito delle funzioni di curatore in capo ad altri soggetti configura la sostituzione, da parte del giudice, della domanda proposta in causa con una domanda diversa, perché fondata su presupposti di fatto completamente diversi sotto il profilo oggettivo e soggettivo; sostituzione che non poteva trovare giustificazione nelle allegazioni di parte attrice contenute in una comparsa conclusionale, e in ogni caso ben dopo l’esaurimento della fase del giudizio riservata alla formulazione delle domande, all’identificazione del tema decidendum e di quello probandum, e dopo il verificarsi delle decadenze prodotte dallo spirare del termine eventualmente assegnato dall’istruttore a norma dell’art. 184 c.p.c. (nel testo vigente ratione temporis).
13.2. L’accoglimento di questo motivo, comportando la cassazione della sentenza non definitiva della Corte d’appello di Napoli, che ha confermato la sentenza di primo grado in punto di responsabilità dell’avvocato P. , assorbe l’esame dei motivi quarto, quinto e sesto del ricorso di questi.
14. Nel ricorso incidentale dell’avvocato P. al ricorso proposto da Intesa Sanpaolo s.p.a. sono formulati due motivi aggiuntivi. Tali motivi aggiunti sono i-nammissibili, avendo l’avvocato P. esaurito il suo diritto d’impugnazione con la notifica alle altre parti del suo precedente ricorso, proposto contro entrambe le sentenze – la non definitiva e la definitiva – della Corte d’appello di Napoli.
15. La causa deve essere rinviata, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità, alla medesima corte distrettuale per il nuovo giudizio, nel quale si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati.

P.Q.M.

La corte dichiara inammissibili i ricorsi proposti nei confronti dell’avvocato A.R. , e compensa le spese del giudizio di legittimità tra le parti. Accoglie il primo motivo del ricorso principale, e dichiara assorbito il secondo; rigetta i primi due motivi del ricorso incidentale, accoglie il terzo motivo, dichiara inammissibili i motivi del ricorso incidentale proposto contro la banca e assorbiti gli altri.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Napoli in altra composizione.

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