Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza 23 giugno 2014, n. 27174
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’appello di Potenza, con sentenza del 7/6/2013, in parziale riforma di quella emessa dal Tribunale di Matera, ha condannato S.V. e S.D. per il furto di 19 segnali stradali, sottratti al deposito provinciale in loc. (omissis) (artt. 110, 624, 625, comma 1, n. 7, cod. pen.), nonché, il solo S.V. , per possesso ingiustificato di arnesi atti allo scasso (art. 707 c.p.).
2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse degli imputati, l’avv. Antonio Mitolo, per violazione dell’art. 420/ter cod. proc. pen. Deduce di aver chiesto, alla Corte d’appello di Potenza, con fax del 31/5/2013, seguito da lettera raccomandata del 3/6/2013, il rinvio dell’udienza del 7/6/2013 per concomitante impegno professionale e per l’impossibilità di farsi sostituire da altro difensore; lamenta che, nonostante avesse adeguatamente documentato il preesistente impegno, la Corte d’appello abbia rigettato l’istanza di rinvio, ritenendola tardiva e ritenendo non adeguatamente dimostrata l’impossibilità di sostituzione.
Lamenta, poi, che l’udienza del 7/6/2013 sia iniziata alle ore 9,25 senza la presenza di S.V. , detenuto per altro, per il quale era stata disposta la traduzione, e che alle ore 9,50 il verbale sia stato riaperto per dato atto della presenza dell’imputato e per revocare la dichiarazione di contumacia. Tuttavia, aggiunge, in sentenza si parla del S. come se fosse stato presente fin dall’inizio. Inoltre, aggiunge, “nulla si riporta nel verbale (meno che mai in sentenza) per quel che attiene un eventuale consenso o meno del S.V. rispetto all’attività svolta, né viene dato atto se, allo stesso, fosse stata chiesta la sua volontà di farsi assistere solo dall’avv. Mitolo”.
Considerato in diritto
I ricorsi sono infondati.
1. La “pronta comunicazione” del legittimo impedimento del difensore è condizione necessaria perché la richiesta di differimento dell’udienza possa essere accolta. Inequivoca è sul punto la volontà del legislatore, che all’art. 420 ter c.p.p. – e, prima, all’art. 486 c.p.p., comma 5 – ha espressamente previsto che il giudice rinvia l’udienza quando l’assenza del difensore è dovuta a legittimo impedimento “purché” prontamente comunicato (Sez. 6, n. 16054 del 02/04/2009, Rv. 243524). Con la sentenza 4708 del 27.3 – 24.4.92, in proc. Fogliarli, le Sezioni Unite di questa Corte hanno insegnato che l’impedimento è “prontamente” comunicato quando tale comunicazione avvenga “non appena” conosciuta la contestualità degli impegni professionali. E questa Corte (Sez. 1, sent. 6234 del 18.4 27.5.1994 in proc. Guastalegname e altri) ha chiarito che è sufficiente che l’istanza sia proposta “in prossimità” della conoscenza da parte del difensore della contemporaneità degli impegni professionali. Ciò si verifica quando, ricevuta la notificazione della fissazione di udienza davanti al giudice rispetto al quale poi si intende far valere l’impedimento professionale, il difensore verifichi che per la medesima data ha precedenti impegni di udienza avanti diversa autorità giudiziaria e ritenga di dover dare ad essi prevalenza. La “prontezza” della comunicazione va pertanto determinata con riferimento al momento in cui il difensore ha conoscenza dell’impedimento.
Si tratta di un criterio sufficientemente determinato, che non solo fornisce un’indicazione concreta di agevole ed omogenea applicazione, ma consente altresì di perseguire efficacemente lo scopo per cui il requisito della tempestività della comunicazione è stato previsto, “sia per consentire al giudice a cui è chiesto il rinvio gli accertamenti eventualmente necessari sia per consentire che l’eventuale rinvio avvenga in tempo utile per evitare disagi alle altre parti o disfunzioni giudiziarie” (S.U. Fogliari cit.). Infatti, tenuto conto dei termini a comparire e quindi del momento della notificazione – che costituisce la conoscenza dell’ulteriore concomitante impegno professionale – rispetto alla data dell’udienza, la pronta segnalazione dell’impedimento del difensore può consentire al giudice l’anticipazione o la posticipazione dell’udienza, l’utile controcitazione dei testi, specialmente la fissazione di altro processo in quel ruolo di udienza (si pensi a processi con imputati detenuti o che abbiano eletto domicilio presso il difensore e, quindi, con tempi di notificazione del decreto di citazione a giudizio di immediata realizzazione). Questa interpretazione, infine, si pone in piena consonanza con i principi costituzionali della ragionevole durata dei processi e dell’efficienza della giurisdizione, che non tollerano la “perdita” ingiustificata di utili trattazioni di processi nei ruoli di udienza già fissati. Pertanto, a fronte di una notificazione della fissazione di udienza ricevuta diversi giorni prima della presentazione dell’istanza di differimento deve ritenersi l’intempestiva tale istanza.
Nel caso di specie, la Corte d’appello, uniformandosi all’insegnamento di questa Corte, ha respinto l’istanza di differimento dell’udienza per legittimo impedimento del difensore perché tardivamente dedotto. Infatti, l’istanza di rinvio era stata inviata a mezzo fax il 31/5/2013: vale a dire, appena sei giorni prima dell’udienza, fissata per il 7 giugno, laddove il difensore aveva avuto conoscenza della stessa quasi un mese prima (il 3 maggio).
Ciò assorbe anche la questione relativa alla argomentazione sull’impossibilità di avvalersi di sostituto, non più rilevante una volta che sia accertata l’intempestività della richiesta di differimento.
2. Quanto, poi, alle modalità di svolgimento dell’udienza del 7/6/2013, il ricorrente si limita a segnalare quelle che sono, a suo giudizio, delle “anomalie”, senza specificare quali conseguenze si debbano trarre da esse e senza ricondurre la doglianza ad uno dei motivi specificamente indicati dall’art. 606 cod. proc. pen. per il ricorso in Cassazione. In realtà, indipendentemente dai riferimenti mancanti alla normativa e alle conclusioni del discorso, devesi rilevare che la comparsa tardiva dell’imputato in udienza non è causa di nullità, una volta accertato (come ammesso dal ricorrente) che l’imputato fu informato delle attività espletate in sua assenza ed ebbe la possibilità di esporre compiutamente le sue difese. Inoltre, che nessun obbligo aveva il giudice di ottenere il “consenso” dell’imputato rispetto all’attività svolta o di interrogarlo circa il difensore da cui intendeva essere assistito.
I ricorsi vanno pertanto rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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