cassazione 5

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 16 febbraio 2015, n. 6762

Ritenuto in fatto

1. La Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 7/10/2013, in parziale riforma – in punto di pena – di quella emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Verona, all’esito di giudizio abbreviato, ha condannato D.M.B.S. per furto aggravato in danno di H.M., commesso introducendosi all’interno del negozio gestito da quest’ultimo, dopo aver forzato la porta d’ingresso.
2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse dell’imputato, l’avv. F.D., con tre motivi.
Col primo si duole del riconoscimento dell’aggravante dell’art. 625, comma 1, n. 2, cod. pen., nonostante la porta di ingresso del negozio fosse in pessimo stato e presentasse segni di precedenti forzature.
Col secondo lamenta la violazione dell’art. 62/bis cod. pen., in quanto – deduce – le attenuanti generiche sono state negate in considerazione di precedenti penali non significativi e senza tener conto del buon comportamento processuale dell’imputato.
Col terzo si duole del giudizio di equivalenza – invece che di prevalenza – formulato in ordine alla riconosciuta attenuante dei risarcimento dei danno con le aggravanti dell’art. 625, comma 1, n. 2 e con la recidiva di cui all’art. 99, comma 4, cod. pen.

Considerato in diritto

Tutti i motivi di ricorso sono manifestamente infondati.
1. In tema di furto, sussiste l’aggravante della violenza sulle cose qualora il soggetto usi, per commettere il fatto, energia fisica provocando la rottura, il guasto, il danneggiamento, la trasformazione della cosa altrui o determinandone il mutamento di destinazione (ex multis, Cass., n. 641 del 30/10/2013). Nella specie, il ladro, per entrare nel negozio, forzò la porta d’ingresso, che ne rimase “ulteriormente danneggiata” (pag. 3 della sentenza). Nessun rilievo ha, pertanto, il fatto che si trattasse di porta in pessimo stato, perché anche una porta siffatta costituisce difesa della proprietà e non deve subire manomissioni che ne compromettano, ancor più, la funzione.
2. II secondo e il terzo motivo esulano dal novero dei motivi consentiti dall’art. 606 c.p.p., in quanto volti a criticare la negazione delle attenuanti generiche e il giudizio di bilanciamento tra circostanze. Trattasi, invero, di statuizioni che l’ordinamento rimette alla discrezionalità del giudice di merito, per cui non vi è margine per il sindacato di legittimità, quando la decisione sia motivata in modo conforme alla legge e ai canoni della logica. Nel caso di specie la Corte d’Appello non ha mancato di motivare la propria decisione sul punto, con l’evidenziare i numerosi precedenti, anche specifici, per delitti contro il patrimonio, ai quali D.M. risulta dedito e che integrano la recidiva reiterata ascritta e ritenuta, nemmeno investita dai motivi di gravame: motivi che sono stati – correttamente – ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti generiche e alla formulazione di un giudizio di bilanciamento con l’attenuante del risarcimento del danno in termini più favorevoli dell’equivalenza, anche perché l’art. 69, comma 3, cod. pen., esclude espressamente che la recidiva reiterata possa prevalere sulle circostanze attenuanti.
Il ricorso è pertanto inammissibile. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000 a favore della Cassa delle ammende.

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