Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza 14 gennaio 2015, n. 1695
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 11.6.2013 il Tribunale di Salerno confermava la sentenza emessa in data 30.9.2011 dal locale Giudice di Pace, con la quale D.C.G. e D.C.F. erano stati condannati per il reato di diffamazione alla pena di euro 300,00 di multa ciascuno ed al risarcimento danni in favore della parte civile, nonché alla provvisionale in solido di euro 1000,00 per il reato per entrambi di cui all’art. 595 c.p., per aver offeso la reputazione di G. Carmine, avendo il primo, socio della s.r.l. Della Corte & C., società di consulenza ed operazioni export, esposto: “ciò non solo evidenzia uno scarso senso del dovere da parte dei funzionari di codesta agenzia, sempre più vittime di un cronico lassismo e di un evidente menefreghismo… si suggerisce alla direzione di provvedere ad un riordino degli uffici anche i considerazione di tali ritardi ed inadempienze” ed il secondo di amministratore unico della predetta società Della Corte , con nota in data 19.3.2007 indirizzata Direzione Nazionale, alla Direzione Regionale, alla Direzione Circoscrizionale, al Servizio Antifrode e all’Area Centrale Personale e Organizzazione dell’Agenzia delle Dogane, evidenziato “considerato il perdurante stato di inefficienza che sottende il servizio antifrode retto dal dr. G. la scrivente porta a conoscenza degli uffici la necessità di riorganizzare lo stesso… “.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso gli imputati a mezzo del loro difensore, deducendo:
-con il primo motivo, l’inosservanza od erronea applicazione della legge penale, manifesta illogicità e mancanza della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. b) ed e), c.p.p. in relazione all’articolo 595 c.p., atteso che il Giudice di Appello ha omesso qualsiasi motivazione logica riguardo la “valenza offensiva” delle frasi, asseritamente ingiuriose, contenute nelle due comunicazioni sottoscritte dagli imputati, limitandosi a riportare testualmente frasi estratte dalla due comunicazioni, affermando, apoditticamente, che il G. sia stato offeso nella sua reputazione e, quindi, nella sua professionalità; le frasi contenute nelle due comunicazioni, invero, sono assenti di offensività, essendo finalizzate a lamentare il ritardo di ben cinque giorni per la verifica SVA (Servizio Vigilanza Antifrode) sul container contenente polpi surgelati, merce deperibile, destinato alla Borrelli s.r.l., evidenziando uno “scarso senso del dovere da parte dei funzionari di codesta agenzia. … ma anche una oggettiva carenza organizzativa dell’ufficio preposto ai controlli SVA” ed ancora nella successiva missiva in data 19 marzo 2007, a firma di D.C.F., nella qualità di amministratore unico della Della Corte & C. s.r.l., il predetto, alle “lamentele”, in ordine alla disorganizzazione dell’ufficio salernitano di servizio antifrode, “constatando un atteggiamento arrogante e talvolta spocchioso da parte di chi dirige l’ufficio o presta il proprio servizio al suo interno, del tutto lontano dai criteri di efficacia ed efficienza amministrativa, con ciò evidenziando l’assenza totale di rispetto nei confronti dell’utenza”, aggiungeva la richiesta di specifici provvedimenti, al fine di rendere l’ufficio in questione più efficiente e funzionale agli interessi dello Stato e dell’utenza; proprio a seguito delle due comunicazioni degli imputati, fu emanata, in pochi giorni, dall’Agenzia delle Dogane, la disposizione operativa n. 9/07 in data 23.03.2007, con la quale il Direttore dell’Ufficio individuava precise linee di indirizzo operativo per il servizio di controllo antifrode (documento acquisito, su istanza della Difesa, nel giudizio di primo grado) e specificamente i criteri di massima a cui uniformare le attività dell’ufficio Servizio Vigilanza Antifrode, fra i quali, nel caso di merce deperibile, una motivata deroga all’ordine cronologico dei controlli da effettuarsi sui containers e un termine per lo svolgimento delle operazioni non oltre le 48 ore;
-con il secondo motivo, l’inosservanza od erronea applicazione della legge penale, manifesta illogicità e mancanza di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. b) ed e) c.p.p. , in relazione al combinato disposto dagli articoli 598 c.p. e 51 c.p., atteso che il Giudice di appello, non ravvisava la sussistenza del diritto di critica, in “.. ragione delle espressioni utilizzate…”, senza minimamente motivare, sul punto, la sentenza impugnata, benchè le dichiarazioni contenute negli scritti a firma degli imputati rientrassero nella scriminante prevista dall’art. 598 c.p., che costituisce applicazione estensiva del più generale principio posto dall’art. 51 c.p.; nei reati contro l’onore, la verità del fatto attribuito non elimina, di per sè, il carattere offensivo dell’azione, ma con riferimento al delitto di diffamazione, alla stregua dell’art. 21 Costituzione, nel caso di una persona che dia notizia di fatti veri offensivi dell’altrui reputazione, l’illegittimità dell’azione resta esclusa quando la facoltà di informazione risulti esercitata per ragioni che valgano a legittimarla.
Considerato in diritto
Il ricorso è meritevole di accoglimento in relazione alla mancata applicazione nella fattispecie in esame della scriminante di cui all’art. 51 c.p.
1. Nella vicenda oggetto di giudizio la società Della Corte & C. s.r.l., a mezzo degli imputati, espressione di tale società, contestava al Sevizio Vigilanza Antifrode, diretto dalla p.o., la “ritardata” verifica sulla merce, effettuata dopo cinque giorni dall’arrivo, quantunque deperibile (polpi surgelati), sicchè le due missive in contestazione erano dirette a denunciare tale ritardo, invocando l’attuazione di provvedimenti riorganizzativi dell’ ufficio competente per una maggiore efficienza dello stesso.
2. In tale contesto, se può convenirsi con i giudici di merito sul fatto che le espressioni riportate in entrambe le missive che si riferiscono alla medesima vicenda circa lo “stato di inefficienza del servizio antifrode retto dal dr. G.”, “lo scarso senso di dovere da parte dei funzionari …. vittime di cronico lassismo e di un evidente menefreghismo…” abbiano portata lesiva della reputazione del G., traducendosi in giudizi negativi, secondo il comune sentire, ed implicando “qualità negative” sotto il profilo professionale, tuttavia, il giudice d’appello avrebbe dovuto dettagliatamente verificare, se nella fattispecie in esame, alla luce del contesto conflittuale indicato e del contenuto complessivo delle missive, fosse configurabile la scriminante dell’esercizio del diritto di critica, di cui all’art. 51 c.p., invocata dal ricorrente. Ciò in quanto, la scansione del procedimento logico- giuridico da seguire in tema di accertamento della punibilità dell’imputato a titolo di diffamazione implica in primo luogo la valutazione diretta a stabilire se il contenuto della comunicazione rivolta a più persone rechi in sé la portata lesiva della reputazione altrui, che costituisce il proprium del reato contestato e, una volta stabilito il concorso degli elementi costitutivi del delitto di diffamazione, l’attenzione del giudicante può spostarsi sull’apprezzamento della linea difensiva volta a giustificare il fatto sotto il profilo della scriminante di cui all’art. 51 cod. pen., e, quindi, sulla verifica di sussistenza dei noti requisiti di verità, interesse alla notizia e continenza (Sez. V, n. 41661 dei 17/09/2012).
3. La laconica motivazione, con la quale il giudice di appello ha ritenuto non applicabile la scriminante in esame, “in ragione delle espressioni utilizzate” ed in considerazione del fatto che il giorno fissato per la verifica il 16.2.2007 essa non fu tenuta per il ritardo di circa 40 minuti dei dipendente della società, sicchè la verifica fu rinviata al successivo 19.2.2007, non pare tener conto dei criteri e dei principi in base ai quali è doveroso compiere la verifica della ricorrenza appunto della generale causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p.
4. Giova innanzitutto richiamare il principio affermato da questa Corte (Sez. V, n. 13549 del 20.2.2008), secondo cui nella presentazione di un esposto, con il quale si richieda l’intervento della autorità amministrativa su fatto del dipendente “ritenuto” contrario alla deontologia, anche se nel comunicato vengono usate espressioni oggettivamente aspre e polemiche, non è configurabile il delitto di diffamazione. Infatti, nel bilanciamento tra due beni costituzionalmente protetti, il diritto di critica (art 21 Cost.) e quello alla dignità personale (artt. 2 e 3 Cost.),
occorre dare la prevalenza alla libertà di parola, senza la quale la dialettica democratica non potrebbe realizzarsi (Sez. 6, n. 11842 del 24/04/1978). Va, altresì, richiamato il principio secondo cui sussiste l’esimente del diritto di critica quando il fatto riportato sia conforme allo stato accertato della realtà al momento della propalazione, sempre che sia rispettato il canone della continenza e della rilevanza sociale dell’informazione (Sez. V, n. 13549 del 20.2.2008).
5. Tanto precisato occorre, dunque, valutare se nella fattispecie in esame risultino rispettati i due elementi della conformità dei fatti riportati nella missiva oggetto di contestazione allo stato accertato della realtà al momento della propalazione e della continenza e tale indagine risulta positiva.
Il primo elemento deve ritenersi ricorrente in considerazione del contenuto di entrambe le missive, volte a censurare la non tempestività della verifica ed anche a voler considerare il ritardo del dipendente nel presenziare alla verifica fissata per il giorno 16, ed il rinvio al successivo 19.2.2007, resta in sostanza il dato risulta decorso il tempo di complessivi cinque giorni per la verifica, incompatibile con la natura (deperibile) del prodotto da controllare. La sussistenza del nucleo di veridicità della “contestazione” degli imputati, si coglierebbe viepiù nella diramazione delle disposizioni per la verifica delle merci deperibili emanate successivamente ai fatti dall’Agenzia delle Dogane.
Per quanto concerne, poi, il rispetto del limite della continenza, va premesso che esso non risulta rispettato qualora l’agente trasmodi in aggressioni gratuite, non pertinenti ai temi in discussione e solo intesi a screditare l’avversario mediante la evocazione di una sua presunta indegnità od inadeguatezza personale, piuttosto che a criticarne i programmi e le azioni (Sez. V, n. 13549 del 20.2.2008).
Orbene, nel caso in esame, tale situazione non si è verificata, posto che le sollecitazioni e le segnalazioni effettuate dagli imputati con le missive in contestazione, sebbene abbiano visto l’utilizzo di termini aspri, non appaiono senz’altro gratuiti, siccome utilizzati nella prospettiva di argomentare e sollecitare una richiesta di intervento per porre rimedio alla ritenuta ingiustificata intempestiva verifica.
6. II ricorso per le ragioni esposte va, dunque, accolto e la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato in applicazione dell’art. 51 c.p.
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