Corte di Cassazione, sezione V penale, sentenza 9 giugno 2017, n. 28734

Integra l’ipotesi di reato di cui all’art. 57 cod. pen. la condotta del direttore responsabile di un quotidiano il quale autorizzi la pubblicazione di una lettera dal contenuto denigratorio, omettendo di controllare se sia stata fatta una verifica non solo sulla fondatezza delle affermazioni in essa contenuta, ma sulla stessa esistenza del mittente e sulla riferibilità allo stesso dello scritto fatto pervenire al periodico

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE V PENALE

SENTENZA 9 giugno 2017, n. 28734

 

Fatto e diritto

Il difensore di G.G. propone ricorso avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Catania, con la quale è stata confermata la pronunzia di primo grado che aveva affermato la penale responsabilità del suddetto imputato per il reato di cui all’art. 57 cod. pen., così diversamente qualificato l’originaria imputazione fatto di diffamazione, contestata in concorso con altro soggetto (S.M. ).

Con la stessa sentenza sono state confermate anche le statuizioni civili.

L’imputazione in relazione alla quale il G. era stato rinviato a giudizio è la seguente: ‘reato previsto e punito dagli artt. 110 e 595, comma 3, cod. pen. perché, in concorso tra loro, offendevano la reputazione del querelante sig. A.V. a mezzo stampa, il primo dichiarando in una lettera spedita al giornale (omissis) che l’agente A. sulle prove è solito dire che, anche quando non ci sono, per S. le faccio spuntare’, il secondo, in qualità di direttore del giornale sopracitato, per aver pubblicato la suddetta lettera’.

Nel ricorso si denunziano violazione di legge e vizi motivazionali in ordine alla correlazione tra accusa e sentenza (in ragione della diversa qualificazione giuridica dei fatti contestati), alla responsabilità del G. per il reato di cui all’art. 57 cod. pen. e alla mancata notifica della citazione in appello al difensore di fiducia.

Va in primo luogo evidenziato che alla data del 25 novembre 2015 risulta decorso il termine prescrizionale e, non presentando tutti i motivi di ricorso profili di inammissibilità, la sentenza deve essere annullata agli effetti penali senza rinvio per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione.

Va dunque dato conto dell’infondatezza dei motivi di ricorso, residuando la necessità di una valutazione degli stessi agli effetti civili.

Partendo dall’esame dell’eccezione processuale relativa alla dedotta omessa notifica della citazione in appello al difensore di fiducia, risulta dagli atti che invece tale notifica è stata effettuata a mezzo PEC in data 6 maggio 2015.

Infondato è il motivo con il quale si sostengono la violazione di legge e vizi motivazionali riguardo la correlazione tra accusa e sentenza, in ragione della diversa qualificazione giuridica dei fatti contestati.

Va in proposito ricordato che il principio di correlazione tra accusa e sentenza ha lo scopo di garantire il contraddittorio sul contenuto dell’accusa e, quindi, l’esercizio effettivo del diritto di difesa dell’imputato, sicché non è configurabile una sua violazione in astratto, prescindendo dalla natura dell’addebito specificamente formulato nell’imputazione e dalle possibilità di difesa che all’imputato sono state concretamente offerte dal reale sviluppo della dialettica processuale (nel caso esaminato nella sentenza di cui si riporta la massima, si è affermato che la sostituzione dell’addebito di natura dolosa di diffamazione con quello colposo d’omesso controllo sul contenuto del periodico non viola di per sé il principio di correlazione tra accusa e sentenza, né, in concreto, è in contrasto con tale principio qualora – pur ipotizzandosi la responsabilità dell’imputato a titolo di concorso nel delitto di diffamazione – si faccia riferimento al ruolo di direttore del giornale, idoneo ad includere la responsabilità a titolo di colpa, così strutturando l’addebito in modo tale da consentire la difesa anche in relazione alla fattispecie di cui all’art. 57 cod. pen.) (Sez. 5, n. 2074 del 25/11/2008, Fioravanti, Rv. 24235101).

Va inoltre ricordato come non sia ravvisabile alcuna incertezza sull’imputazione, quando il fatto sia stato contestato nei suoi elementi strutturali e sostanziali, in modo da consentire un completo contraddittorio ed il pieno esercizio del diritto di difesa. La contestazione poi non va riferita soltanto al capo d’imputazione in senso stretto, ma anche a tutti quegli atti, che, inseriti nel fascicolo processuale, pongono l’imputato in condizione di conoscere in modo ampio l’addebito (Sez. F, n. 43481 del 7 agosto 2012, Ecelestino e altri, Rv. 253582).

In tal senso, dunque, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte non vi è incertezza sui fatti descritti nella imputazione quando questa contenga, con adeguata specificità, i tratti essenziali del fatto di reato contestato, in modo da consentire all’imputato di difendersi, mentre non è necessaria un’indicazione assolutamente dettagliata dell’oggetto della contestazione (Sez. 5, n. 6335/14 del 18 ottobre 2013, Morante, Rv. 258948; Sez. 2, n. 16817 del 27 marzo 2008, Muro e altri, Rv. 239758).

È pur vero pacifica l’autonomia dell’ipotesi colposa prevista dall’art. 57 cod. pen. a carico del direttore responsabile per omesso controllo sul contenuto della pubblicazione, tanto che questa Corte ha da tempo affermato che deve escludersi che essa sia perseguibile allorché il querelante si sia limitato ad indicare tanto l’autore dello scritto quanto il direttore responsabile come correi nel reato di diffamazione in suo danno, occorrendo invece che nella querela sia esplicitamente espressa la volontà che il direttore responsabile venga perseguito a titolo di colpa per omesso controllo ovvero che si proceda per qualsiasi ipotesi di reato riscontrabile a suo carico (Sez. 5, n. 46226 del 21/10/2003, Ciancio e altro, Rv. 22748401).

Nel caso in esame, tuttavia, nessun dubbio può nutrirsi sul fatto che la persona offesa abbia chiesto la punizione del G. per il reato di cui all’art. 57 cod. pen., giacché nell’atto di querela si legge che ‘risulta chiara la responsabilità penale del direttore del giornale…..per aver pubblicato, senza gli adeguati e scrupolosi controlli necessari, lo scritto diffamante’.

Né può trascurarsi come più recente giurisprudenza di questa Corte abbia affermato che il giudice può ravvisare a carico del direttore responsabile di un giornale il reato di omissione di controllo, ex art. 57 cod. pen., pur essendo stata la querela proposta esclusivamente per la diffamazione a mezzo stampa nei confronti del giornalista e dello stesso direttore, in quanto non compete al querelante dare una qualificazione giuridica del fatto, dovendo egli limitarsi ad esporre lo stesso nella sua materialità, considerato che il diritto di querela concerne unicamente il fatto delittuoso, quale enunciato nella sua essenzialità, da interpretare non già in base al mero senso letterale delle espressioni usate ma attraverso l’indagine della effettiva volontà della parte non vincolata a manifestarla con l’uso di formule rituali. Spetta, quindi, al giudice e non al privato attribuire la qualificazione giuridica in ordine alla eventuale sussistenza di un determinato tipo di reato e alle conseguenze che ne derivano.

In applicazione del principio appena evidenziato si è ritenuta immune da censure la decisione del giudice di merito il quale aveva considerato decisivo il fatto che il querelante avesse individuato – in relazione alla diffamazione derivatagli dalla pubblicazione di un articolo di stampa – quali destinatari della propria volontà di punizione, sia il giornalista che il direttore responsabile, ritenendo, invece, secondaria, e non vincolante, la circostanza che egli avesse inquadrato il fatto descritto nella fattispecie di cui all’art. 595 cod. pen., correttamente riqualificato dall’autorità giudiziaria nella forma colposa dell’omesso controllo per il direttore responsabile (Sez. 5, n. 24381 del 25/03/2011, Ciancio Sanfilippo e altro, Rv. 25045601; in senso conforme n. 15643 del 2005, Rv. 232136; n. 10037 del 2008, Rv. 239122; n. 19020 del 2009 Rv. 243604).

Inammissibile per genericità è il motivo di ricorso relativo all’affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 57 cod. pen..

Il ricorrente si limita a sostenere di aver ‘controllato l’autenticità della lettera pubblicata, l’autenticità della firma del mittente e il luogo di provenienza’.

Va qui ribadito che integra l’ipotesi di reato di cui all’art. 57 cod. pen. la condotta del direttore responsabile di un quotidiano il quale autorizzi la pubblicazione di una lettera dal contenuto denigratorio, omettendo di controllare se sia stata fatta una verifica non solo sulla fondatezza delle affermazioni in essa contenuta, ma sulla stessa esistenza del mittente e sulla riferibilità allo stesso dello scritto fatto pervenire al periodico (Sez. 5, n. 46226 del 21/10/2003, Ciancio e altro, Rv. 22748501).

P.Q.M.

La Corte annulla agli effetti penali senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione; rigetta il ricorso agli effetti civili

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