Corte di Cassazione, sezione V penale, sentenza 8 marzo 2017, n.11087

L’esercizio del diritto di critica giudiziaria che si appunti sull’operato di un magistrato dell’Ufficio del Pubblico Ministero non può consistere nella gratuita attribuzione di malafede, risolvendosi, altrimenti, in una lesione della reputazione professionale e della intangibilità della sfera di onorabilità del magistrato medesimo

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE V PENALE

SENTENZA 8 marzo 2017, n.11087

Ritenuto in fatto

Con sentenza del 25 gennaio 2016 la Corte di Appello di Catanzaro, in riforma della sentenza emessa il 30 settembre 2013 dal Tribunale di Cosenza, condannava L.P. alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni in favore delle parti civili per il delitto di cui agli artt. 57 e 595 cod. pen..

L’oggetto dell’addebito consisteva nel fatto che egli, da direttore responsabile del giornale ‘(omissis) ‘, edizione nella (omissis) , omettendo di esercitare il dovuto controllo sul contenuto della lettera a firma di M.A. , pubblicata sulla pagina del (omissis) , nella quale – con riferimento all’inchiesta giudiziaria condotta dalla Procura della Repubblica di Potenza sulla regolarità della procedura espropriativa, in favore di una società petrolifera, di fondi ubicati in località (omissis) del comune di (omissis) – venivano criticati aspramente alcuni soggetti coinvolti nella vicenda, S.A. e D.L.A. definiti ‘Scrocconi e faccendieri’, ed Pubblico Ministero titolare dell’indagine, W.H.J. , definito ‘Magistrato d’assalto che con molta leggerezza e pressapochismo sta perseguendo persone innocenti’ arrogandosi ‘un potere che non rientra, ma anzi confligge con la sua funzione e attribuzione’, che con ‘arbitrio ha stralciato il T.U. sugli espropri’, consentiva che venisse arrecata offesa alla reputazione delle persone indicate.

La Corte territoriale riteneva la responsabilità dell’imputato, reputando che questi fosse venuto meno ai propri doveri di vigilanza sul contenuto della lettera pubblicata, suscettibile di integrare il delitto di diffamazione perché alcune delle espressioni ivi utilizzate non potevano ritenersi scriminate dall’esercizio del diritto di critica avendo superato il limite della continenza.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del suo difensore, Avv. Marina Pasqua, lamentando:

con il primo motivo, il vizio di cui all’articolo 606, comma 1, lett. e) cod.proc.pen., per motivazione mancante, contradditoria o manifestamente illogica, atteso che la Corte di Appello era incorsa in un travisamento della prova, poiché aveva omesso di verificare dettagliatamente se le espressioni contenute nella lettera incriminata, traducentesi senza dubbio in giudizio negativi sull’operato delle persone coinvolte nella vicenda ed in stigmatizzazioni critiche del profilo professionale del magistrato, fossero, alla luce del contesto in cui lo scritto si muoveva, espressione del legittimo esercizio del diritto di critica, soprattutto di quella giudiziaria;

con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) cod.proc.pen., per violazione degli artt. 51 e 595 cod.pen., atteso che dalla mancata contestualizzazione delle espressioni incriminate discendeva l’erronea applicazione delle norme penali di riferimento, soprattutto con specifico riguardo al limite della continenza, che non poteva dirsi travalicato, poiché dalla valutazione complessiva della lettera pubblicata emergeva che le espressioni ‘scrocconi e faccendieri” – delle quali era persino da dubitare che si riferissero effettivamente a S. e D.L. – non assumevano rilievo penalistico, trattandosi di espressioni gergali e di uso ormai diffuso, e che le espressioni riferite al Pubblico Ministero Dott. W. non integravano un’inutile aggressione diretta a colpirlo sul piano individuale, ma un attacco, per quanto aspro e violento, al suo solo operato nell’inchiesta di cui si disquisiva nella lettera pubblicata.

Considerato in diritto

Il ricorso va respinto.

Sono infondate le deduzioni di cui al primo motivo di ricorso con le quali l’imputato lamenta il vizio di travisamento della prova nel quale sarebbe incorso il giudice dell’appello omettendo di verificare, in maniera dettagliata e nel contesto dello scritto in cui le espressioni censurate come diffamatorie sono inserite, la concreta portata offensiva delle stesse.

La Corte territoriale, infatti, dopo avere delineato il contesto nel quale si innestava la lettera ritenuta diffamatoria, dal titolo: ‘Lucania tra fato, arbitrio ed anarchia’ ed a firma di M.A. – fratello del sindaco di (omissis) , i cui amministratori erano rimasti coinvolti nell’inchiesta condotta dalla Procura della Repubblica di Potenza – ha subito precisato che la questione da vagliare non ineriva al contenuto tecnico delle critiche rivolte nello scritto all’operato del magistrato titolare dell’inchiesta cd. “(omissis) ” e dei soggetti che se ne ritenevano gli ispiratori, ma al modo in cui tale critiche erano state formulate: se, cioè, le espressioni utilizzate dall’autore per manifestare la propria opinione polemica sul tema trattato – secondo quanto garantito dall’art. 21 Cost. – si mantenessero nei limiti della continenza – che richiede una forma espositiva non sproporzionata rispetto al concetto da esprimere – così da ricevere la copertura della scriminante dell’esercizio del diritto di cui all’art. 51 cod. pen., oppure travalicassero la specifica vicenda assumendo connotati denigratori e di gratuito dileggio delle persone.

Sulla base di questo criterio metodologico, la stessa Corte ha dettagliatamente operato una distinzione, nell’insieme delle espressioni utilizzate dall’articolista, tra quelle rientranti nell’alveo di una critica aspra ma non esulante i limiti della continenza, e quelle che, oltrepassando il tema oggetto di intervento, assumevano connotati obiettivamente denigratori delle persone bersaglio della riprensione. Così, quanto al W. , mentre ha ritenuto che costituissero legittima estrinsecazione del diritto di critica gli aspri giudizi formulati sul conto del magistrato in ordine alla pretesa ignoranza palesata nel capo della normativa sugli espropri, in riferimento all’esercizio della funzione<< .. con minore destrezza e capacità di un qualunque neofita uditore giudiziario’ ed alla ‘negligenza in diritto amministrativo ed anche civile’, ha, invece, reputato che travalicassero i limiti della continenza le espressioni con le quali la persona stessa del magistrato veniva tacciata di improntare il proprio agire funzionale a leggerezza, superficialità e vanità, laddove veniva definito: “Magistrato di assalto’, capace di ‘soffiare sul fuoco dell’arbitrio e dell’illegalità’ e di arrogarsi ‘un potere che non gli spetta’. Mentre, quanto allo S. ed al D.L. , ha stimato che fossero oggettivamente sproporzionate rispetto al concetto da rendere le espressioni ‘Scrocconi e faccendieri’, di per sé alludenti a persone animate da intenti loschi e biecamente speculativi, e che, in tal modo, si traducessero in un gratuito attacco alle loro persone.

Ne deriva che in nessun modo è censurabile la puntuale motivazione resa dal Collegio di appello in punto di valutazione della concreta portata offensiva delle espressioni ritenute lesive della reputazione delle parti civili; men che meno per il dedotto vizio di travisamento della prova, che, a mente dell’autorevole insegnamento di questa Corte, sussiste esclusivamente allorché il giudice del merito abbia fondato il proprio convincimento su di una prova inesistente ovvero su di un risultato probatorio incontestabilmente diverso da quello reale, perché attinente ad un oggetto definito ovvero alla proposizione di un dato storico semplice e non opinabile: vizio che, dunque, non attinge l’interpretazione del risultato della prova, insindacabile se non manifestamente illogica ancorché astrattamente suscettibile di condurre a risultati diversi (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997 – dep. 02/07/1997, Dessimone e altri, Rv. 207945).

Nondimeno, vertendosi, nel caso scrutinato, in ipotesi di riforma da parte del giudice di appello di una decisione assolutoria emessa in primo grado, il secondo giudice, con la rigorosa e penetrante analisi critica cui ha sottoposto le questioni decisive sottopostegli, che ha accompagnato con una completa e convincente motivazione, si è attenuto all’obbligo, che in siffatta evenienza gli incombeva, di dimostrare specificamente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, dando ragione delle diverse scelte compiute in ordine alla valutazione delle prove mediante il riferimento a dati fattuali determinati idonei a sostenere il convincimento opposto rispetto a quello espresso dal Tribunale (Sez. 5, n. 35762 del 05/05/2008 – dep. 18/09/2008, P.G. in proc. Aleksi e altri, Rv. 24116901).

Sicché la doglianza di parte ricorrente, nei termini in cui è stata formulata, mira ad ottenere da questa Corte una non consentita ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, mediante la prospettazione di una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali, e come tale va respinta. 2. Illustrato il registro cui si è attenuta la Corte territoriale nella ricostruzione e nella valutazione del compendio delle prove, stima il Collegio infondato anche il motivo di gravame agitato dal ricorrente relativo alla mancata applicazione da parte del giudice di appello della scriminante di cui all’art. 51 cod.pen., riconducibile all’esercizio del diritto di critica nei confronti dell’operato delle parti civili nell’ambito della vicenda giudiziaria ‘(omissis) ‘.

Il diritto di critica, quale espressione della libertà di manifestazione del proprio pensiero, garantita dall’art. 21 Cost., così come dall’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, si traduce, in effetti, nell’espressione di un giudizio o di un’opinione personale dell’autore, e, come ricordato dallo stesso giudice della sentenza impugnata, l’accertamento della scriminante che ha ad oggetto il suo esercizio richiede la verifica della sussistenza dei tre requisiti elaborati dalla giurisprudenza di legittimità: la verità, l’interesse pubblico del fatto cui si riferisce la propalazione e la continenza (Sez. 1, n. 36045 del 13/06/2014 – dep. 20/08/2014, P.M. in proc. Surano, Rv. 26112201; Sez. 5, n. 30877 del 07/07/2006 dep. 19/09/2006, Nanetti, Rv. 235222; Sez. 5, n. 9373 del 30/11/2005 – dep. 17/03/2006, Sorbo ed altro, Rv. 23388701); e, proprio con riferimento all’ultimo di tali requisiti, nel caso scrutinato non è invocabile la scriminante di cui all’art. 51 cod. pen..

2.1. Il limite immanente all’esercizio del diritto di critica è, invero, il rispetto della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire l’occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale: (Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010 – dep. 10/02/2011, P.M. in proc. Simeone e altri, Rv. 24923901): non, potendosi, ritenere cioè coperto dalla scriminate evocata l’uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona in quanto tale e che, siccome gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodano in una aggressione verbale del soggetto criticato (Sez. 5, n. 15060 del 23/02/2011 – dep. 13/04/2011, Dessì e altro, Rv. 250174; Sez. 5, n. 29730 del 04/05/2010 – dep. 28/07/2010, Andreotti, Rv. 24796601).

Tanto comporta che siano riconducibili nel perimetro fenomenologico dell’anzidetto diritto anche giudizi aspri sull’operato del destinatario delle espressioni, sempre che siano riferibili alle circostanze in cui l’operato medesimo si è dispiegato, ma non gli argumenta ad hominem: il che è a dire che la situazione fattuale rispetto alla quale si polemizza non può costituire lo spunto per trascendere in attacchi a qualità o modi di essere della persona assumendo le connotazioni di una valutazione di discredito in termini generali della persona criticata (Sez. 5, n. 15060/2011, Dessì e altro, Rv. 25017401, cit.).

2.2. Sulla base dei principi enunciati, correttamente la Corte territoriale ha evidenziato come la definizione di S. e D.L. come ‘Scrocconi e faccendieri” e di W. come: ‘Magistrato di assalto’, capace di ‘soffiare sul fuoco dell’arbitrio e dell’illegalità’ e di arrogarsi ‘un potere che non gli spetta’ abbia costituito l’espressione non di un mero giudizio critico negativo sul loro operato in rapporto alla vicenda “(omissis) ”, ma di una stigmatizzazione di loro qualità personali socialmente riprovate, che ha determinato la lesione della loro reputazione. Pur considerando, quindi, il contesto acceso ed acrimonioso nel quale si sono inserite le espressioni censurate, esse superano senz’altro il limite della continenza del diritto di critica, presentandosi come gratuitamente vulneranti la dignità delle persone che ne sono state destinatarie.

2.3. Deve oltretutto affermarsi, con peculiare riguardo alle espressioni riferite al magistrato W.H.J. , che, secondo la linea interpretativa di questa Corte, l’esercizio del diritto di critica giudiziaria che si appunti sull’operato di un magistrato dell’Ufficio del Pubblico Ministero non può consistere nella gratuita attribuzione di malafede, risolvendosi, altrimenti, in una lesione della reputazione professionale e della intangibilità della sfera di onorabilità del magistrato medesimo (Sez. 5, n. 28661 del 09/06/2004 – dep. 30/06/2004, Sinn ed altro, Rv. 22931201): esula, infatti, dalla scriminante del diritto di critica, in quanto si risolve in un attacco morale alla persona, l’accusa, rivolta a chi conduce le indagini, di asservimento della funzione giudiziaria ad interessi personali – ancorché di ‘vanità’ – o di strumentalizzazione della stessa per finalità estranee a quelle proprie, in ragione dei doveri istituzionali, all’operato del pubblico ministero. (Sez. F, n. 29453 del 08/08/2006 – dep. 30/08/2006, Sgarbi, Rv. 23506901; Sez. 5, n. 10135 del 18/02/2002 – dep. 12/03/2002, Gutierres, Rv. 22168401). Ciò risulta del tutto conforme anche a quanto affermato dalla Corte EDU che, con la sentenza del 02/11/2006, Kobenter e Standard c/ Austria, ha affermato – in un caso di diffamazione a mezzo stampa – la necessità che in una società democratica il pubblico sia informato del funzionamento del sistema giudiziario, al fine di verificare se i giudici assolvano le loro alte responsabilità in modo conforme alle finalità per le quali sono stati investiti; tuttavia l’apparato giudiziario deve essere tutelato da attacchi distruttivi essenzialmente infondati, che minano la fiducia del pubblico nella giustizia, soprattutto in considerazione del fatto che i giudici chiamati in causa hanno un dovere di discrezione che impedisce loro di poter replicare alle accuse subite (Sez. 5, n. 41671 del 07/07/2016 – dep. 04/10/2016, Menzione, Rv. 26804301).

Nella specie il giudice di merito, uniformandosi a questi principi di diritto, ha saputo discernere le espressioni, pur aspre e colorite, inerenti a giudizi formulati sull’operato del magistrato, costituenti come tali legittima estrinsecazione del diritto di critica, da quelle che, esulando dal perimetro dell’oggetto della polemica, trasmodavano in un inutile attacco alla persona stessa di W. .

Il ricorso, pertanto, va respinto ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento al pagamento delle spese processuali.

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