Ai fini della configurabilità del reato di riduzione in schiavitù di cui all’art. 600 c.p., lo stato di soggezione penalmente rilevante deve essere continuativo e non totale, tale da realizzare uno stato di fatto nel quale l’autodeterminazione e la libertà del soggetto passivo siano annullati o, comunque, ridotti in ambiti di nessuna rilevanza rispetto allo sfruttamento che di lui è fatto, con l’effetto di ridurre la vittima a essere quasi una “cosa” di proprietà dell’agente
Suprema Corte di Cassazione
sezione V penale
sentenza 7 giugno 2016, n. 23590
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente
Dott. MORELLI Francesca – Consigliere
Dott. DE GREGORIO Eduardo – rel. Consigliere
Dott. CATENA Rossella – Consigliere
Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 101/2014 CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI, del 14/04/2015;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/01/2016 la relazione fatta dal Consigliere Dott. EDUARDO DE GREGORIO;
Udito il Procuratore Generale.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte d’Assise d’Appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado nei confronti dell’imputato, solo rideterminando la pena, per il reato di riduzione in schiavitu’, compiuto fino a (OMISSIS).
1. Avverso la decisione ha proposto ricorso la difesa dell’imputato, che ha lamentato col primo motivo l’illogicita’ della motivazione,nonche’ la mancata assunzione di prova decisiva in relazione alla richiesta di perizia medica, poiche’ da cartella clinica allegata ad una precedente istanza emergeva che l’imputato era affetto da etilismo cronico; ha evidenziato che tale condizione era stata scoperta solo dopo il giudizio di primo grado e che solo una perizia avrebbe potuto dimostrare se l’etilismo poteva aver inciso sulla capacita’ di intendere e volere al momento del fatto.
1.1 Col secondo motivo ha censurato per violazione del diritto alla prova la decisione della mancata audizione del padre della persona offesa e di un teste; il primo avrebbe potuto riferire sul rapporto tra sua figlia ed il figlio dell’imputato ed il secondo sulle circostanze che avevano portato al sequestro di un bastone, che era stato considerato come strumento con cui la minore era stata picchiata ma che la ragazza al processo non aveva riconosciuto.
1.2 Nel terzo motivo si e’ prospettata la violazione della norma di cui all’articolo 6 della Convenzione europea diritti dell’uomo, poiche’ la Corte di Napoli aveva assolto la coimputata per non aver commesso il fatto, operando una diversa valutazione della prova testimoniale senza procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
1.3 Col quarto motivo il ricorrente ha lamentato l’erronea applicazione dell’articolo 600 c.p.; la decisione impugnata aveva trascurato che dalla testimonianza della stessa persona offesa era emerso che ella era libera di andarsene quando avesse voluto; inoltre le violenze e minacce erano state ritenute comprovate da un solo certificato medico, per di piu’ di contenuto ambiguo; mancavano, quindi, le prove circa il completo asservimento del soggetto passivo delle condotte, essendo ravvisabili solo sofferenze morali e materiali; pertanto la decisione era errata nella parte in cui non aveva accolto le congiunte richieste della difesa e del PG di derubricare il delitto in quello di cui all’articolo 572 c.p..
1.4 Anche il trattamento sanzionatorio e’ stato oggetto di critica, nel quinto motivo; infatti, la Corte aveva osservato che il primo Giudice non aveva motivato circa l’aumento di pena della meta’ per l’aggravante ex articolo 600 sexies c.p. ma anziche’ annullare la sentenza aveva rideterminato la pena, omettendo a sua volta ogni adeguata spiegazione sul punto.
All’odierna udienza il PG Dr. Cedrangolo ha concluso per il rigetto e l’avv. (OMISSIS) ha insistito per l’accoglimento del ricorso, in sostituzione dell’avv. (OMISSIS).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ inammissibile.
1. Quanto al primo motivo, riguardante l’ordinanza con la quale la Corte di secondo grado ha respinto la richiesta di perizia psichiatrica sulla capacita’ di intendere e di voler al momento del fatto, per la sua tardivita’ e per l’assenza di documentazione idonea a supportarla, va osservato che la regola di diritto citata in ricorso e’ condivisibile ma non applicabile al caso concreto.
In proposito, nell’esegesi della disposizione dell’articolo 601 c.p.p., questa Corte ha piu’ volte chiarito sia i concetti di riassunzione di prove gia’ acquisite al dibattimento e di assunzione di prove nuove, sia gli strumenti processuali tramite i quali proporre la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale. Cosi’ Sez. 3, Sentenza n. 230 del 09/11/2006 Ud. (dep. 10/01/2007) Rv. 235809 ha insegnato che la rinnovazione del dibattimento in appello e’ sostanzialmente uno strumento finalizzato all’integrazione totale o parziale del quadro probatorio del giudizio di primo grado e, quindi, all’acquisizione di materiale nuovo e diversificato. Si tratta di un istituto eccezionale, dovendo presumersi la completezza dell’istruzione dibattimentale di primo grado (cfr. per tutte Cass. Sez. 3, 20 giugno 2003, Castellano). Il legislatore, con l’articolo 603 c.p.p., comma 1, ha disposto che la parte, con l’atto d’appello o con i motivi presentati a norma dell’articolo 585 c.p.p., comma 4, puo’ chiedere la riassunzione di prove gia’ acquisite nel dibattimento di primo grado o l’assunzione di nuove prove, intese queste ultime come prove gia’ note alle parti nel giudizio di primo grado ma non acquisite in quella sede (Cass. 17 dicembre 1999, Lavista).
La rinnovazione e’ disposta solo se il giudice ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti e la sua valutazione discrezionale non e’ sindacabile in Cassazione se logicamente e congruamente motivata (Cass. 3 marzo 1998, Masone).
1.1 Nella fattispecie concreta dal testo della sentenza e dallo stesso ricorso si ricava che l’istanza fu proposta oltre i termini previsti dall’articolo 585 c.p.p., anche in riferimento ai motivi nuovi di cui al comma 4 e, quindi, fu tardiva. Inoltre la documentazione medica richiamata a supporto della perizia risale ad Aprile 2013 mentre la sentenza di primo grado fu emanata dopo un anno, Aprile 2014; si trattava, dunque, di documentazione di cui la difesa poteva disporre fin dal primo grado del processo e che non si occupo’ di produrre in tale giudizio, ne’ dedusse motivi di appello sul punto, ne’ allego’ la relativa documentazione nei termini all’interno dei quali era suo onere provvedervi. La decisione della Corte risulta congruamente e correttamente motivata sia riguardo alla tardivita’ dell’istanza, sia riguardo alla mancata allegazione di atti a supporto, affermazione che il ricorso non ha specificamente contestato, facendo solo riferimento ad una precedente istanza finalizzata ad altri scopi difensivi.
2. Quanto al secondo motivo inerente la mancata audizione di quattro testi, deve constatarsi che la motivazione ha ben chiarito le ragioni processuali per le quali gli stessi non erano stati ammessi o per la tardivita’, o per la genericita’ dei temi di prova, non precisati, o per la loro irrilevanza, con riferimento al padre della minore.
Su quest’ultimo aspetto va puntualizzato che la sentenza ha giustificato l’irrilevanza del teste, osservando che eventuali frequentazioni tra questi e la figlia non avrebbero potuto influire sulla configurabilita’ del delitto, meglio esplicando detta conclusione anche nella parte della sentenza dedicata – pag. 13 – alle ragioni di fatto e diritto pertinenti alla qualificazione giuridica del fatto nel caso concreto. Tale motivazione appare logica ed adeguata a spiegare la scelta adottata dal Giudice di merito ed e’, pertanto, insindacabile in questa fase.
3. Riguardo al terzo motivo deve rilevarsene la genericita’, al limite dell’incomprensibilita’, oltre che la mancanza di interesse del ricorrente, visto che il motivo non ha precisato le eventuali ragioni per le quali la nuova audizione della persona offesa avrebbe potuto eventualmente incidere sulla sua posizione, rappresentando, anzi, l’insinuarsi di un fondato dubbio circa l’attendibilita’ della persona offesa in merito al coinvolgimento della coimputata.
4. Prima di esaminare le doglianze esposte nel quarto motivo, inerenti piu’ propriamente il “merito” della decisione impugnata, deve ricordarsi che la sentenza ha confermato l’attendibilita’ della ragazzina persona offesa e delle sue dichiarazioni, sulle sue miserrime condizioni di vita; da queste era emerso che, dopo essere stata venduta da suo padre all’imputato come moglie per il figlio, era stata costretta ad andare ad elemosinare ogni giorno, senza poter rientrare a casa se non dopo aver racimolato almeno 30 Euro, e, in caso contrario, era picchiata con pugni, con la cinta e con bastoni anche nel periodo in cui era incinta, essendo perdurata tale situazione per circa una anno.
4.1 Nel rendere il giudizio di affidabilita’ la sentenza aveva rilevato, tra l’altro, che la minore non aveva inteso rappresentare una situazione di vita peggiore del vero e che le sue dichiarazioni erano state riscontrate da quelle di una teste che l’aveva piu’ volte vista mendicare, da annotazioni della Polizia Giudiziaria sulla sua condizione di mendicante e dalle dichiarazioni di uno dei Carabinieri intervenuti, che ne aveva sottolineato lo stato di paura e prostrazione in cui l’aveva piu’ volte trovata. La sentenza impugnata ha, inoltre, valutato incongrue ed inattendibili le deposizioni dei testi a difesa per la loro genericita’ e contraddittorieta’, come riportato da pagina 9 a pagina 10 del testo.
4.2 Appare a questo punto necessario richiamare i chiari principi elaborati da questa Corte sul delitto di riduzione o mantenimento in schiavitu’ o servitu’, del resto gia’ citati in modo appropriato nella decisione gravata, riguardo ai punti di maggior rilevo nel caso di specie. In proposito va ricordato che, in genere, la giurisprudenza ha affermato che ai fini della configurabilita’ del delitto lo stato di soggezione penalmente rilevante deve essere continuativo e non totale, tuttavia tale da realizzare uno stato di fatto nel quale l’autodeterminazione e la liberta’ del soggetto passivo siano annullati o comunque ridotti in ambiti di nessuna rilevanza rispetto allo sfruttamento che di lui e’ fatto, con l’effetto di ridurre la vittima ad essere quasi una cosa in proprieta’ del soggetto passivo. Cass. sez. 5, 10.2.2011. In particolare con riguardo ai temi specifici del ricorso, come il grado di menomazione della liberta’ del soggetto passivo, Sez. 5, Sentenza n. 49594 del 14/10/2014 Ud. (dep. 27/11/2014) Rv. 261345 ha chiarito: “Ai fini della configurabilita’ dello stato di soggezione, rilevante per l’integrazione del reato di riduzione in schiavitu’, e’ necessario, una significativa compromissione della capacita’ di autodeterminazione della persona offesa, anche indipendentemente da una totale privazione della liberta’ personale. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello, in conferma di quello di primo grado, ha affermato la responsabilita’, in ordine al reato di cui all’articolo 600 c.p., dell’imputato, il quale aveva acquistato ragazze, nel loro paese di origine, destinandole alla prostituzione, con la falsa promessa che si sarebbero riscattate con i proventi di quell’attivita’ ed esercitando sulle stesse un sostanziale diritto di proprieta’, tenuto conto che le vittime, pur dotate di cellulari, erano sorvegliate telefonicamente, non conoscevano la lingua italiana ed erano state private dei documenti). Inoltre sul confine tra le fattispecie delittuose di cui all’articolo 572 c.p. e articolo 600 c.p., pure invocato in ricorso con la richiesta di derubricazione del secondo, va rammentato che Sez. 5, Sentenza n. 44017 del 08/04/2014 Ud. (dep. 22/10/2014) Rv. 262098 ha precisato “Le condotte costitutive della fattispecie di riduzione o mantenimento in schiavitu’ o servitu’ di figli minori, hanno tra loro in comune lo stato di sfruttamento del soggetto passivo ed implicano per loro natura il suo maltrattamento, a prescindere dalla percezione che questi abbia della sua situazione, sicche’ la sussistenza di questo reato per il principio di consunzione, esclude la configurabilita’ di quello di maltrattamenti in famiglia, che, invece, puo’ ritenersi integrato solo se non vi e’ una condizione di integrale asservimento ed esclusiva utilizzazione del minore a fini di sfruttamento economico e sempre che la condotta illecita e’ continuativa cagioni al minore sofferenze morali e materiali. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza con la quale era stato ricondotta all’articolo 600 c.p. la condotta degli imputati che avevano obbligato i figli a rubare con modalita’ sistematica e diuturna, sotto la minaccia di botte e maltrattamenti di varia natura).
4.3 Vale la pena sottolineare che la condizione di integrale asservimento, necessaria per l’integrazione del delitto di riduzione in schiavitu’, non e’ incompatibile con una certa liberta’ di movimento, che potrebbe, anzi, essere funzionale alla sua realizzazione – come nel caso in esame quanto all’attivita’ di accattonaggio – ed e’ concetto diverso dalla totale privazione della liberta’ personale, che, invece, ad esso non risulta essenziale, essendo elemento tipico del delitto di sequestro di persona di cui all’articolo 605 c.p..
4.4 I principi di cui sopra sono stati correttamente riportati dalla sentenza alle peculiarita’ del caso concreto con specifico riguardo alla non decisivita’, ai fini dell’integrazione del delitto, di una completa privazione della liberta’ personale, al ricorrere di specifiche condotte violente da parte dell’imputato, alla continuativa pratica di accattonaggio cui era costretta la persona offesa, alla evidente condizione di inferiorita’ fisica e psichica, essendo la stessa all’epoca dei fatti tredicenne e per di piu’ incinta. Correttamente argomentata, alla luce del precedente giurisprudenziale citato prima, appare la sentenza anche sul punto dell’assorbimento del delitto di cui all’articolo 572 c.p. in quello piu’ grave di cui all’articolo 600 c.p., avendo evidenziato congruamente lo stato di pieno e continuativo assoggettamento della minore e la sua completa utilizzazione a fini di sfruttamento economico, con i patimenti morali e materiali alla stessa cagionati.
4.5 A fronte dell’adeguatezza della motivazione sulla presenza di ogni elemento in fatto ed in diritto della fattispecie oggetto del processo, le critiche mosse in ricorso circa la dedotta liberta’ di movimento della persona offesa, che sarebbe emersa dalla sua stessa deposizione, circa l’equivocita’ della prova sulle violenze e minacce, comprovate da un solo certificato medico di contenuto ambiguo e sulla mancanza del completo asservimento del soggetto passivo delle condotte, sono in parte generiche e non intaccano la solidita’ della struttura argomentativa della sentenza, ed in parte implicano una rivalutazione del merito della decisione, inconcepibile come noto – in questa fase.
5. Il quinto motivo riguarda il trattamento sanzionatorio ed, allo scopo di rispondervi, occorre anticipare che il capo di imputazione impropriamente si riferisce all’articolo 600 c.p., commi 1, 2 e 3.
Deve, altresi’, operarsi una breve ricognizione del quadro normativo sanzionatorio risultante dalla L. n. 108 del 2010, di ratifica della Convenzione di Varsavia sulla tratta di esseri umani, e dalla successiva L. 1 Ottobre 2012, n. 172, che hanno introdotto modifiche di rilievo nella determinazione delle sanzioni per i delitti contro la personalita’ individuale, inasprendone il regime con la previsione di una pluralita’ di aggravanti, inserite con il nuovo articolo 602 ter c.p., intitolato aggravanti speciali, e con sue successive modifiche.
5.1 L’aggravante speciale di cui all’articolo 600 c.p., comma 3 – indicata in imputazione – infatti, e’ stata abrogata dalla L. n. 108 del 2010, articolo 3, comma 1, lettera a) – di ratifica della Convenzione di Varsavia – che nel contempo, con l’articolo 3, comma 1, lettera d), ha immesso nell’impianto codicistico il nuovo articolo 602 ter c.p., che ha stabilito piu’ aggravanti speciali anche per gli articoli 600, 601, e 602 c.p.; tra queste l’aumento di pena da un terzo alla meta’ se la persona offesa da tali delitti e’ minore degli anni diciotto.
La disposizione di cui all’articolo 602 ter c.p. e’ stata, a sua, volta integrata – come innanzi accennato – tramite la successiva L. 1 Ottobre 2012, che all’articolo 4, comma 1, lettera o), alle aggravanti gia’ contemplate ha, tra l’altro, aggiunto – per quanto di interesse nel caso di riferimento – quella del comma 5 del medesimo articolo 602 ter c.p., per i delitti puniti dagli articoli 600, 601 e 602 c.p., prevedendo l’aumento di pena dalla meta’ ai due terzi se il fatto di cui alle predette incriminazioni e’ compiuto in danno di minore di anni sedici.
5.2 Applicando il predetto nuovo sistema sanzionatorio al caso concreto, occorre rilevare che la Corte napoletana ha impropriamente fatto riferimento alle aggravanti ex articolo 600 sexies c.p., all’epoca gia’ abrogato dalla medesima L. n. 172 del 2012, articolo 4, comma 1, lettera i). In ogni caso ha ritenuto che l’aggravante contestata all’imputato fosse quella di aver compiuto il fatto ai danni di un minore di anni 14, come prevista dall’articolo 600 sexies c.p., comma 1.
Diversamente da quanto deliberato dalla sentenza gravata, poiche’ i fatti descritti nell’imputazione si sono verificati fino al (OMISSIS), essi dovevano essere valutati, quanto al trattamento sanzionatorio, essendovi piena continuita’ tra la precedente e la nuova normativa, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 600 c.p. e articolo 602 ter c.p., comma 5, introdotto con L. n. 172 del 2012 – senza tenere presente l’ormai abrogato articolo 600 sexies c.p., comma 1.
In particolare, essendo nella specie la persona offesa una ragazza infrasedicenne, doveva essere applicata la specifica aggravante prevista dall’articolo 602 ter c.p., comma 5 per delitti compiuti ai danni di minori di sedici anni.
5.3 Tuttavia va osservato – in assenza di censure riguardanti la pena base del delitto – che la sentenza ha applicato in concreto un aumento di pena della meta’, in ragione della disposizione ex articolo 600 sexies c.p., comma 1, che indicava un accrescimento della pena da un terzo alla meta’ in caso di persona offesa minore di anni 14.
Detto incremento risulta legittimo in base al nuovo testo dell’articolo 602 ter c.p., comma 5, che per continuita’ normativa va applicato nella fattispecie, che implica un aumento della pena a partire dalla meta’ fino ai due terzi, per i fatti perpetrati ai danni di minori di anni sedici.
5.4 Puo’ concludersi che la motivazione sul punto del trattamento sanzionatorio ha esplicitato in maniera chiara il suo percorso logico – argomentativo sia quanto all’aggravante ritenuta, facendo riferimento al dato positivo dell’indicazione nel capo di imputazione dell’aggravante del fatto realizzato ai danni di persona infraquattordicenne, sia quanto al conseguente calcolo della pena.
Tale ultimo passaggio della decisione – contrariamente a quanto sostenuto in ricorso e per i motivi finora esposti – pur nell’imperfezione del descritto meccanismo della determinazione della sanzione, risulta non illegale, in quanto rientrante nei limiti edittali dell’aggravante speciale ritenuta dalla sentenza.
Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso va dichiarato inammissibile. A norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in materia di protezione dei dati personali va disposto l’oscuramento delle generalita’ e degli altri dati identificativi degli interessati.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Dispone l’oscuramento delle generalita’ e degli altri dati identificativi degli interessati, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.
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