fallimento

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Sentenza 29 gennaio 2013, n. 4333

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza impugnata veniva confermata la sentenza del Tribunale di Milano dell’11/12/2002, con la quale D.R. veniva condannata alla pena di anni due di reclusione per il reato di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 216 commesso quale amministratore unico fino al luglio del 2009 e poi liquidatore della Emme Esse Due s.r.l., dichiarata fallita in (OMISSIS), in concorso con gli amministratori di fatto I.M. e I.F., tenendo le scritture contabili in modo da impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società e distraendo merci vendute nel 1999 con operazioni non contabilizzate.

2. L’imputata ricorrente deduce i seguenti motivi.

2.1. Violazione di legge e difetto di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità per il reato di bancarotta patrimoniale. Posto che la condotta distrattiva veniva individuata in concreto nel trasferimento delle merci presenti nel magazzino della fallita in favore della Mobili d’Arte s.r.l., gestita dai coimputati, la ricorrente lamenta illogicità della motivazione in ordine alla consapevolezza della distrazione delle merci in quanto fondata sul dato irrilevante della conoscenza dello stato di insolvenza della società, non incompatibile con la convinzione dell’imputata che l’acquisto del magazzino sarebbe stato pagato dagli I. con denaro liquido necessario per far fronte ai debiti della fallita.

2.2. Violazione di legge e difetto di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità per il reato di bancarotta documentale. La ricorrente osserva che l’incapacità dell’imputata di occuparsi della gestione contabile, dopo che il professionista a ciò addetto aveva lasciato l’incarico, e la collaborazione successivamente offerta dalla stessa al curatore nella ricostruzione dei movimenti contabili dell’ultimo semestre, contrastano con la ravvisabilità del dolo specifico di impedire la ricostruzione del patrimonio sociale, e rendono al più configurabile un dolo eventuale incompatibile con la fattispecie incriminatrice.

Motivi della decisione

1. Il motivo di ricorso relativo all’affermazione di responsabilità dell’imputata per il reato di bancarotta patrimoniale è infondato.

La sentenza impugnata era congruamente motivata sul carattere preordinato della distrazione realizzata dagli amministratori di fatto della fallita, laddove gli stessi, nel maggio del 1999 e quindi solo un mese prima della messa in liquidazione della società fallita, costituivano la Mobili d’Arte s.r.l., avente lo stesso oggetto sociale, alla quale trasferivano i beni di cui all’imputazione; nonchè sulla piena conoscenza di tali circostanze in capo all’imputata, la quale era proprietaria di alcune quote della fallita, era presente nel punto vendita della stessa ed ammetteva comunque di sapere della costituzione della nuova società e della cessione dei beni alla stessa. Del tutto coerenti erano pertanto le conclusioni della Corte territoriale sulla consapevolezza, da parte dell’imputata, della mancata corresponsione del prezzo dei beni, sull’inerzia della stessa nella riscossione della somma e sulla valenza che tali elementi assumevano, alla luce della funzione di responsabile legale della fallita assunta dalla D., in termini di configurabilità del concorso della predetta nel reato. Il che implica un altrettanto coerente giudizio di inattendibilità della versione difensiva sulla convinzione dell’imputata che l’acquisto dei beni sarebbe stato pagato dagli I..

2. Infondato è altresì il motivo di ricorso relativo all’affermazione di responsabilità dell’imputata per il reato di bancarotta documentale.

L’elemento psicologico del reato di bancarotta fraudolenta documentale, nella fattispecie contestata nel caso di specie, assume, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, natura di dolo generico. Esso pertanto non richiede necessariamente una finalizzazione della condotta all’intenzione di rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari della fallita; è viceversa sufficiente che l’autore del reato agisca con la consapevolezza che una determinata tenuta della contabilità possa condurre a siffatte conseguenze (Sez. 5, n. 21872 del 25/03/2010, Laudiero, Rv. 247444). Ed in questa prospettiva è evidente come non vi siano ragioni di incompatibilità del dolo eventuale con la struttura della fattispecie (Sez. 5, n.38712 del 19/06/2008, Prandelli, Rv. 242022).

Nessun contrasto è ravvisabile, rispetto a questo orientamento, nella pronuncia oggi citata dal difensore della ricorrente (Sez. 5, n. 25093 del 03/05/2012, Scornavacca), la quale al contrario conferma la ricostruzione del dolo tipico della fattispecie in esame nei termini, pienamente conformi alla figura del dolo generico, della consapevolezza che determinate modalità di tenuta della contabilità siano produttive di impossibilità di ricostruire l’andamento gestionale; precisando, ma è conclusione già propria del costante orientamento in precedenza riportato, che tale consapevolezza non si risolve in quella della mera irregolarità delle registrazioni contabili.

Neppure è dato ravvisare, in questa lettura della configurazione dell’elemento psicologico della fattispecie in esame, l’irragionevole disparità di disciplina lamentata oggi dal difensore rispetto alla previsione del dolo specifico di ingiusto profitto o di lesione delle ragioni dei creditori viceversa prevista dalla norma incriminatrice per la fattispecie della bancarotta fraudolenta documentale per distruzione o occultamento della contabilità. La consapevole tenuta della contabilità in modo da impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della fallita implica invero consapevolezza, altresì, del pregiudizio che da tale condotta non può che derivare per le possibilità di verifica sul corretto mantenimento della garanzia per i creditori (Sez. 5, n. 1137 del 17/12/2008 (13/01/2009), Vianello, Rv.242550), così connotando il fatto della dimensione di offensività verso gli interessi tutelati dalla norma incriminatrice; offensività che viceversa nelle condotte soppressive della contabilità è data dal dolo specifico, potendo essere dette condotte realizzate con modalità ed a fini diversi.

Ciò posto, la sentenza impugnata era correttamente motivata in questa cornice giuridica, nel momento in cui vi si individuava la condotta penalmente rilevante nella mancata annotazione di fatture di vendita, che rendeva immediatamente percepibile come in tal modo si realizzasse la sottrazione di un supporto documentale indispensabile per la ricostruzione delle operazioni commerciali e delle disponibilità patrimoniali della società, e non una mera irregolarità contabile. Ed anzi, l’ulteriore riferimento della Corte territoriale alla contestualità di tale omissione con lo svuotamento del magazzino della fallita, ed alla conseguente strumentalità della disfunzione contabile rispetto all’occultamento di quest’ultima operazione, arricchisce la motivazione di argomenti in definitiva riferibili ad un contenuto doloso ulteriore rispetto a quello che, per quanto detto, è sufficiente ad integrare il reato contestato.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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