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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE V

SENTENZA 15 febbraio 2013, n.7536

Ritenuto in fatto

 

1. Con ordinanza del 2-11-2011 il Tribunale di Bologna disponeva la trasmissione degli atti a questa corte, previa qualificazione come ricorso dell’appello proposto dal locale PG avverso la sentenza in data 12-11-2009, con la quale il Giudice di pace di Bologna aveva assolto N..F. dal reato di lesioni personali in danno di E..C. , con la formula perché il fatto non costituisce reato ritenuta la scriminante della legittima difesa.

2. Il fatto avveniva nel corso di una partita di calcio tra due squadre delle quali facevano rispettivamente parte l’imputata e la p.o., a seguito di alcuni falli commessi da quest’ultima sulla prima, all’ultimo dei quali, sul finire della partita, l’imputata reagiva dando uno schiaffo all’avversaria procurandole così una ferita lacero contusa al labbro superiore che richiedeva sei punti di sutura.

3. Il PG lamentava erronea valutazione del fatto e violazione dell’art. 52 cod. pen. in quanto, secondo la giurisprudenza di questa corte, il fatto lesivo è scriminato se commesso durante una tipica azione di gioco, mentre nella specie il colpo inferto alla p.o. aveva avuto tipiche finalità ritorsive, nulla dimostrando che l’imputata si rappresentasse la probabilità, o anche solo l’eventualità, che l’avversaria intendesse ulteriormente colpirla o spintonarla.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è fondato.

1.1 Il Giudice di pace ha dato puntualmente conto degli esiti della elaborazione giurisprudenziale di questa corte in tema di lesioni personali occorse nell’ambito di competizioni sportive che implichino l’uso della forza fisica e il contrasto anche duro tra avversari, ma non ne ha tratto le dovute conseguenze.

Ha infatti, sia pure sinteticamente, ricordato come, in tal caso, l’area del c.d. rischio consentito – integrante causa di giustificazione non codificata, elaborata in considerazione dell’interesse primario che l’ordinamento riconnette alla pratica dello sport- è delimitata dal rispetto delle regole tecniche del gioco, la violazione delle quali va valutata, in concreto, con riferimento all’elemento psicologico dell’agente, il cui comportamento – nel travalicamento di quelle regole – può integrare tanto la colposa, involontaria evoluzione dell’azione fisica legittimamente esplicata, quanto la consapevole e dolosa intenzione di ledere l’avversario approfittando della circostanza del gioco (Cass. 19473/2005).

1.2 Su queste ineccepibili premesse, il primo giudice è però pervenuto al riconoscimento della sussistenza dell’esimente della legittima difesa, ritenendo in fatto provato che la F. , durante la partita, avesse subito comportamenti scorretti da parte della C. ai quali aveva reagito soltanto quando era stata spintonata ormai al termine della partita che si stava concludendo a vantaggio della sua squadra.

1.3 Tale ricostruzione in fatto si pone però in contrasto con l’affermazione di quella causa di giustificazione, essendo invece compatibile con l’assunto del PG ricorrente secondo cui il violento colpo inferto alla p.o. aveva avuto tipiche finalità ritorsive, essendo la competizione ormai terminata e nulla autorizzando la tesi che l’imputata si rappresentasse la probabilità, o anche solo l’eventualità, che l’avversaria intendesse ulteriormente colpirla o spintonarla. Non a caso la diversa conclusione del giudice di pace, secondo cui la F. aveva ‘reagito per difendere la propria incolumità fisica, in un momento di particolare tensione, di fronte agli atti di violenza subiti durante la partita di calcio e concretizzatisi da ultimo nella spinta ricevuta dalla persona offesa”, è immotivata, alla luce della situazione in fatto descritta (partita terminata), sotto il profilo dell’esigenza di difesa dal pericolo attuale di un’offesa ingiusta, essendo piuttosto in linea con il richiamo alla provocazione, ravvisata, in altra parte della sentenza, nella condotta tenuta dalla C. durante la competizione. Spunto che, rimasto privo di conseguenze sulla decisione, non è idoneo a sostenere la conclusione della legittima difesa, essendo invece eventualmente atto a determinare il riconoscimento della relativa attenuante.

2. Risultando quindi configurati i vizi dedotti nel ricorso della pubblica accusa, la sentenza merita annullamento con rinvio per nuovo esame al giudice a quo, il quale si uniformerà ai rilievi di cui sopra.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Giudice di pace di Bologna per nuovo esame.

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