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2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta poi, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, che i giudici del gravame hanno interpretato le clausole del contratto di servicing in violazione delle norme di ermeneutica contrattuale, nonche’ del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, articolo 75, comma 5, nel testo vigente ratione temporis.
Sostiene che, in base alle clausole contenute nell’articolo 15 del contratto, si delinea un regolamento negoziale in virtu’ del quale, in deroga alle previsioni di cui all’articolo 1720 c.c., le spese e gli oneri effettivamente sostenuti nell’esercizio dell’attivita’ di servicing, che non trovano copertura nel rimborso forfettario previsto dal primo e dal terzo paragrafo dalla detta disposizione contrattuale (0,1% degli incassi realizzati nell’arco temporale di riferimento, subordinatamente all’esistenza di fondi disponibili nel rispetto dell’ordine di priorita’ dei pagamenti fissati da apposito regolamento, oltre eventuale integrazione a forfait, condizionata all’esistenza di fondi disponibili e all’avvenuto rimborso in linea capitale dei titoli di classe A emessi dalla cessionaria a fronte dell’acquisto dei crediti) sono destinate a rimanere a carico della banca cedente, non potendosi configurare per esse un diritto pieno e incondizionato all’integrale rifusione, ma piuttosto una mera aspettativa. Rileva che cio’ si spiega in relazione al particolare oggetto dell’operazione di cartolarizzazione, rappresentato da crediti in sofferenza, tale per cui la rifusione delle spese relative all’attivita’ gestoria, per una maggiore tutela della societa’ veicolo, si connota di un fortissimo elemento di aleatorieta’, tanto da perdere, sul piano sostanziale, la qualifica di rimborso spese e assumere le vesti di un’ulteriore forma di remunerazione subordinata al buon esito dell’attivita’ di recupero del credito. Rimarca che l’impostazione contabile conseguente alla ricostruzione accolta dal giudice a quo comporterebbe l’iscrizione nell’attivo del bilancio della Banca di una posta creditoria nei confronti della cessionaria, a fronte delle spese sostenute per l’attivita’ di servicing, il che configurerebbe una violazione del principio sancito dall’articolo 2423 c.c., comma 2, in forza del quale il bilancio deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della societa’ e il risultato economico dell’esercizio. Soggiunge che, se la volonta’ delle parti fosse stata quella di applicare la disciplina codicistica del mandato, sarebbe stato sufficiente richiamare la norma dell’articolo 1720 c.c., con l’aggiunta di un semplice richiamo all’ordine di priorita’ dei pagamenti sancito dall’accordo tra i creditori, senza alcuna necessita’ di introdurre regole ad hoc per stabilire precipui limiti e condizioni al riconoscimento del diritto ad ottenere il reintegro delle spese e degli oneri sostenuti.
La censura e’ infondata.
E’ noto che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di legittimita’, l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attivita’ riservata al giudice di merito, ed e’ censurabile in sede di legittimita’ soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioe’ tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione.
Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non e’ peraltro sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma e’ necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne e’ discostato.
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