cassazione 9

Suprema Corte di Cassazione

sezione tributaria

sentenza 18 settembre 2015, n. 18354

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente

Dott. BIELLI Stefano – rel. Consigliere

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere

Dott. VELLA Paola – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore centrale pro tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

s.r.l. (OMISSIS), con sede a (OMISSIS), in persona dell’amministratore unico (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio del prof. avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 24/01/12 della Commissione tributaria regionale del Molise, depositata il 24/02/2012, notificata il 12/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 6 ottobre 2014 dal consigliere Dottor Stefano Bielli;

udito, per la ricorrente Agenzia delle entrate, l’avvocato dello Stato (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’avvocato (OMISSIS), che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., nella persona del sostituto Procuratore generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

RITENUTO IN FATTO

 

1- Con sentenza n. 24/01/12, depositata il 24 febbraio 2012, notificata il 12 marzo 2012, la Commissione tributaria regionale del Molise (hinc: “CTR”), decidendo sull’appello proposto dall’Agenzia delle entrate nei confronti della s.r.l. (OMISSIS) avverso la sentenza n. 64/02/2009 della Commissione tributaria provinciale di Campobasso (hinc: “CTP”), rigettava il gravame, compensando tra le parti le spese di lite per “giusti motivi”.

Il giudice di appello premetteva, in punto di fatto, che: a) l’ufficio di Termoli dell’Agenzia delle entrate aveva emesso nei confronti della suddetta s.r.l. avvisi di accertamento motivati con l’indebita deduzione da parte della societa’ (esercente l’attivita’ di trattamento igienico e confezionamento di latte alimentare) di costi ai fini dell’IVA ed all’IRAP del 2002 (euro 2.875.963,00) e del 2003 (euro 3.087.193,00) sostenuti per l’attivita’ di consegna dei prodotti caseari tramite soggetti qualificati formalmente come agenti aventi l’incarico di distribuire, promuovere e vendere i prodotti forniti dalla societa’, ma senza che ricorressero i presupposti del contratto di agenzia; b) la s.r.l. aveva impugnato gli avvisi davanti alla CTP deducendo sia la carenza di motivazione, sia l’effettiva sussistenza dei contratti di agenzia, sia (in via subordinata) la detraibilita’ dei costi delle operazioni fatturate ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 21, non essendo intervenute variazioni ai sensi dell’articolo 26 dello stesso Decreto del Presidente della Repubblica; d) l’Agenzia delle entrate, nelle sue controdeduzioni, aveva sottolineato il difetto, nella specie, dei requisiti propri del contratto di agenzia (autonomia, stabilita’, assunzione del rischio d’impresa, mancanza di rendiconto) ed aveva ricondotto i rapporti in esame nell’ambito del lavoro subordinato, anche perche’ gli automezzi utilizzati dagli “agenti” erano beni strumentali di proprieta’ della societa’, assegnati loro in comodato d’uso, e che era la stessa societa’ a provvedere alla compilazione materiale delle fatture nonche’ alla contabilizzazione mensile nel libro giornale delle fatture emesse dagli “agenti”; c) la sentenza con cui la CTP aveva stato accolto il ricorso della contribuente, era stata appellata dall’Agenzia delle entrate, la quale si era riportata alle argomentazioni gia’ svolte.

In punto di diritto, la CTR, nel rigettare l’appello, affermava che: a) i rapporti tra la societa’ e coloro che aveva incaricato della commercializzazione dei suoi prodotti lattiero-caseari andavano ricondotti a rapporti non di lavoro subordinato ai sensi dell’articolo 2094 c.c. (come invece ritenuto dall’ufficio tributario), ma di agenzia ai sensi dell’articolo 1742 c.c.; b) la collaborazione di tali agenti di commercio (nella specie iscritti all’ENASARCO) si concretava, infatti, nella costituzione di magazzini per la raccolta ed il successivo smistamento dei prodotti, con automezzi di proprieta’ della societa’ e concessi in comodato, le cui spese di ordinaria manutenzione, bollo ed assicurazione erano a carico degli agenti stessi, i quali – con rapporto dotato di stabilita’, senza rendiconto ed in autonomia organizzativa (salvo limitate istruzioni generali di massima riservate alla preponente, con esclusione comunque della soggezione degli agenti a qualsiasi potere direttivo) – avevano l’obbligo di visitare quotidianamente le zone assegnate consegnando i prodotti senza avvalersi di collaboratori e di provvedere alla nomina di un sostituto in caso di necessita’, assumendosi il rischio economico e giuridico della mancata stipula dei contratti di vendita dei prodotti, a fronte dell’impegno della societa’ di provvedere alla compilazione delle fatture emesse da tali agenti (contabilizzate periodicamente nel libro giornale della societa’ stessa al mero fine di fornire all’agente un rendiconto dell’attivita’ da lui svolta) e di corrispondere loro una retribuzione non fissa, ma variabile in relazione agli incrementi delle vendite, sia pure con un minimo mensile garantito di provvigioni (pari a euro 1.800,00), oltre incentivi previsti in percentuale sulle vendite stipulate; c) tali elementi (coerenti anche con la disciplina della Direttiva CEE n. 1653/1986 in tema di agenzia) evidenziavano la sussistenza dei contratti di agenzia indicati dalla contribuente, con conseguente detraibilita’ dell’IVA sulle provvigioni versate dalla preponente (regolarmente contabilizzate) nonche’ dei relativi costi ai fini IRAP.

2.- Avverso la sentenza di appello, l’Agenzia delle entrate – dichiarando un valore di euro 1.674.801,00 e precisando che gli avvisi di accertamento relativi al 2002 erano diretti al recupero di euro 575.192,00 a titolo di IVA e di euro 122.228,00 a titolo di IRAP, mentre quelli relativi al 2003 erano diretti al recupero di euro 617.438,00 a titolo di IVA e di euro 131.206,00 a titolo di IRAP – propone ricorso per cassazione, notificato il 4-8 maggio 2012 ed affidato a due motivi tra loro connessi.

3.- La s.r.l. (OMISSIS) resiste con controricorso, notificato il 13-15 giugno 2012, illustrato da successiva memoria.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

 

1.- Con il primo ed il secondo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia, rispettivamente: a) la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 37-bis, dell’articolo 53 Cost., del principio antielusivo e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 62, comma 1; b) l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 62, comma 1.

Trattando cumulativamente i due motivi, l’Agenzia delle entrate sostiene che, in base alle motivazioni dell’avviso di accertamento e delle difese dell’ufficio tributario (in particolare dell’appello) il ricorso della contribuente allo strumento del contratto di agenzia per la distribuzione dei suoi prodotti costituisce un escamotage per lucrare indebiti risparmi fiscali, tanto piu’ che la societa’ non e’ stata in grado di fornire una giustificazione economica dell’operazione diversa dalla mera aspettativa del risparmio fiscale. La CTR, pertanto, anche a ritenere non simulati i contratti d’agenzia, avrebbe dovuto ritenerli inopponibili all’amministrazione finanziaria, in applicazione del principio antielusivo desumibile dalle norme sopra evocate e riconosciuto dalla giurisprudenza comunitaria in materia di tributi armonizzati: e cio’ perche’, pur essendo l’oggetto del processo tributario limitato dalle ragioni poste a fondamento dell’atto di accertamento, e’ acquisito al giudizio il tema relativo all’esistenza, validita’ ed opponibilita’ all’amministrazione finanziaria del negozio allegato dal contribuente a fondamento dei costi e crediti fatti valere, con conseguente onere del contribuente medesimo di provare i presupposti di fatto per l’applicazione delle norme da cui discendono detti costi e crediti e con conseguente rilevabilita’ d’ufficio delle eventuali cause di invalidita’ o di inopponibilita’ del negozio stesso (viene citata Cass., sezioni unite, n. 30057 del 2008).

1.2.- I motivi (da esaminare congiuntamente, data la loro connessione) sono inammissibili.

Occorre rilevare preliminarmente che, in base agli atti, l’amministrazione finanziaria si e’ limitata a dedurre, nelle fasi di merito, il difetto dei requisiti propri del contratto di agenzia (autonomia, stabilita’, assunzione del rischio d’impresa, mancanza di rendiconto) ed a ricondurre i rapporti tra la contribuente ed suoi “agenti” nell’ambito del lavoro subordinato, sul rilievo che gli automezzi utilizzati dagli “agenti” erano beni strumentali di proprieta’ della societa’, assegnati in comodato d’uso, e che era la stessa societa’ a provvedere alla compilazione materiale delle fatture nonche’ alla contabilizzazione mensile nel libro giornale delle fatture emesse dagli “agenti”. Con il ricorso per cassazione, l’Agenzia muta radicalmente la propria linea difensiva assumendo che i contratti, sono effettivamente di agenzia (e, quindi, non simulati), ma rientrano comunque in una condotta di elusione fiscale rilevabile d’ufficio dal giudice (anche di cassazione) e quindi, a fortiori, eccepibile dalla parte. La rilevabilita’ d’ufficio dell’abuso fiscale del diritto e’ riconosciuta sia dalla giurisprudenza Eurounitaria per i tributi armonizzati (a partire da CGCE 21 febbraio 2006, in causa C- 255/02, Halifax; vedi anche 21 febbraio 2008, in causa C-425/06, Part Service s.r.l. in liquidazione.; 22 maggio 2008, in causa C-162/07, Ampliscientifica ed Amplifin), sia dalla giurisprudenza di questa Corte per i tributi non armonizzati (soprattutto a partire da Cass., sezioni unite, n. 30057 e n. 30058 del 2008; n. 19324 e n. 21390 del 2012; n. 17965 del 2013).

Tuttavia tale rilevabilita’ non deve indurre a cadere nell’equivoco (in cui sembra incorrere la ricorrente) di ritenere non necessaria la dettagliata indicazione degli elementi fattuali integranti la fattispecie di abuso e gia’ risultanti dagli atti.

Nella specie, la ricorrente: a) non indica (incorrendo in difetto di autosufficienza) i passi salienti degli atti da cui risultano sia la fattispecie elusiva sia le norme eluse, con l’individuazione del vantaggio fiscale ottenuto; b) ai fini dell’IRAP, inoltre, non precisa (incorrendo in genericita’ di censura) quale operazione sia stata utilizzata dalla contribuente tra quelle indicate dal comma 3 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 37-bis come “condizione” per l’applicazione della norma antielusiva di cui ai primi due commi; c) deduce a suo favore la mancata specifica allegazione da parte della contribuente di valide ragioni economiche giustificative della sua condotta (senza considerare che non risultano essere stati richiesti previamente alla contribuente chiarimenti al riguardo, diversi dalla mera richiesta di chiarimenti sulla effettivita’ dei contratti di agenzia); d) sembra muovere dall’implicito e non corretto assunto (che, pure, trova qualche aggancio nella giurisprudenza di questa Corte) secondo cui il generale divieto antiabuso in materia di imposte non armonizzate – in quanto derivato “direttamente” dall’articolo 53 Cost. – non e’ limitato al caso dell’utilizzazione delle operazioni indicate dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 37-bis, comma 3 (assunto erroneo, perche’ renderebbe assurdamente incostituzionale qualsiasi disciplina, anche meramente procedurale, limitativa del divieto e perche’ porrebbe nel nulla la lettera del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 37-bis, che ha invece espressamente previsto, quale “condizione” per l’inopponibilita’ all’amministrazione finanziaria degli effetti dell’elusione fiscale, l’utilizzazione di una o piu’ tra le operazioni elencate nel comma 3 dello stesso articolo); e) postula un inesistente onere probatorio a carico del contribuente sul solo presupposto dell’allegazione da parte dell’amministrazione finanziaria della esistenza di una elusione fiscale (ignorando che, quantomeno per le imposte non armonizzate, l’onere probatorio e’ ripartito tra le parti dal citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 37-bis, il quale prevede anche una precisa scansione procedurale, del tutto trascurata dalla ricorrente); f) e’ diretta ad ottenere una inammissibile nuova valutazione complessiva degli elementi probatori di causa, oltretutto senza procedere ad una selezione di essi, lasciando arbitra questa Corte di selezionarli e vagliarli in punto di fatto, invadendo la sfera riservata al giudice di merito; g) in tema di IVA, inoltre, da per scontata una artificiosita’ della costruzione giuridica posta in essere essenzialmente al fine di ottenere un vantaggio fiscale cosiddetto “asistematico” (cioe’ “indebito”, perche’ contrastante con la ratio della normativa fiscale) non risultante in modo evidente dagli atti; h) confonde tra illegittimo abuso fiscale e legittima pianificazione fiscale (in se’ il risparmio fiscale non e’ affatto illegittimo).

2 – Le spese processuali del presente giudizio di cassazione seguono la soccombenza della ricorrente.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibili i motivi di ricorso; condanna la ricorrente Agenzia delle entrate a rimborsare alla controricorrente s.r.l. (OMISSIS) le spese di lite, che si liquidano in complessivi euro 10.500,00 (di cui euro 10.000,00 per compensi), oltre accessori di legge.

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