Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione tributaria

sentenza 18 dicembre 2015, n. 25485

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente

Dott. BOTTA Raffaele – rel. Consigliere

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere

Dott. MELONI Marina – Consigliere

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) s.r.l. (gia’ (OMISSIS) s.a.s.), in persona del legale rappresentante pro tempore, (OMISSIS) e (OMISSIS), tutti elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso l’avv. (OMISSIS) che li rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e la difende per legge;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania (Napoli), Sezione 29, n. 54/29/12 del 7 febbraio 2012, depositata il 24 febbraio 2012, non notificata;

Udita la relazione svolta nella Pubblica Udienza del 20 novembre 2015 dal Relatore Cons. Raffaele Botta;

Udito l’avv. (OMISSIS) per i ricorrenti e l’avv. (OMISSIS) per l’Avvocatura Generale dello Stato;

Udito il P.M., nella persona del sostituto Procuratore Generale Dott. FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia concerne l’impugnazione dell’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio provvedeva a rettificare i ricavi della societa’ (OMISSIS) s.a.s. sulla base degli studi di settore, con i conseguenti provvedimenti anche sul piano delle sanzioni da irrogare, accertando altresi’ un maggior reddito d’impresa da imputare per trasparenza ai soci della societa’.

Societa’ e soci deducevano la carenza dei presupposti di legge per l’applicazione del metodo d’accertamento, negando l’esistenza della “grave incongruenza” richiesta dalla legge, e contestavano il difetto di motivazione con riferimento all’applicata percentuale di ricarico dell’1,70%: in particolare evidenziavano che l’amministrazione non aveva attivato il contraddittorio che avrebbe permesso ai ricorrenti di svolgere le richiamate contestazioni nel corso di formazione del procedimento accertativo. La societa’ spiegava anche che la ragione dei minori ricavi emergenti dall’attivita’ era da individuare nell’avvenuto decesso del titolare – (OMISSIS) – i cui giovani figli non erano stati in grado di emulare i successi commerciali registrati in precedenza, subendo, nello stesso periodo, l’aumentata concorrenza di prodotti asiatici immessi sul mercato a prezzi bassissimi.

La Commissione adita, in parziale accoglimento delle censure argomentate dai contribuenti, rideterminava i ricavi applicando un indice di ricarico dell’1,35%, ritenuto piu’ aderente alla realta’ aziendale, senza, tuttavia, prendere in considerazione l’eccezione di mancato avvio del contraddittorio e di altri rilievi sviluppati dai ricorrenti. L’appello di quest’ultimi era rigettato con la sentenza in epigrafe, avverso la quale essi propongono ricorso per cassazione con cinque motivi. L’amministrazione resiste con controricorso.

MOTIVAZIONE

Con il primo ed il terzo motivo di ricorso, i contribuenti lamentano il fatto che la sentenza impugnata abbia considerato “irrilevante” che l’amministrazione avesse omesso l’invito al contraddittorio endoprocedimentale per l’applicazione dell’accertamento per standard.

Le censure sono fondate. La sentenza impugnata afferma con chiarezza che “la materia sottoposta all’attenzione (della) Commissione concerne gli studi di settore”, senza che tale riconosciuta natura dell’accertamento sia dall’Ufficio contestata.

Orbene le Sezioni Unite di questa Corte, con riferimento agli accertamenti mediante gli studi di settore, hanno stabilito: “La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravita’, precisione e concordanza non e’ ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in se’ considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditivita’ – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullita’ dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o la specifica realta’ dell’attivita’ economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non puo’ esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilita’ in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilita’ dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilita’ degli standard al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non e’ vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della piu’ ampia facolta’, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, pero’, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio puo’ motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standard, dando conto dell’impossibilita’ di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice puo’ valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito” (Cass. S.U. n. 26635 del 2009).

Nel caso di specie il giudice avrebbe dovuto accertare se l’Ufficio aveva invitato il contribuente al contraddittorio nella fase procedimentale, stante che si tratta di un passaggio obbligatorio, tanto piu’ rilevante perche’ nel caso di specie il contribuente non ha lamentato la mera mancanza formale dell’invito al contraddittorio endoprocedimentale, ma ha anche sollevato questioni attinenti al merito dell’accertamento, evidenziando quello che egli avrebbe potuto opporre all’azione accertatrice dell’amministrazione, in particolare con riferimento alla “specifica realta’ dell’attivita’ economica nel periodo di tempo in esame”. Sicche’ il diritto al contraddittorio endoprocedimentale sarebbe stato “giustificato” anche nella prospettiva esegetica recentemente indicata dalla Corte di Giustizia con la sentenza Kamino (sentenza del 3 luglio 2014 in cause riunite C-129/13 e C-130/13, Kamino International Logistics BV e Datema Hellmann Wortdwide Logistics BV, punti 80-82).

L’accoglimento di tali censure e’ assorbente rispetto ai restanti motivi di ricorso e la sentenza deve essere cassata con rinvio della causa ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania, che provvedera’ anche in ordine alle spese della presente fase del giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso, assorbiti i restanti. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *