Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 14 dicembre 2016, n. 25683

Illegittima la pronuncia della Ctr su un unico avviso di accertamento emesso nei confronti di una società di capitali, in contenzioso su impugnazione di avviso di accertamento emesso in capo al socio, e quindi su questioni non facenti parte del processo

Suprema Corte di Cassazione

sezione tributaria

sentenza 14 dicembre 2016, n. 25683

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere

Dott. ACETO Aldo – Consigliere

Dott. LA TORRE Maria Enza – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:sul ricorso 568-2011 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) con studio in (OMISSIS) (avviso postale ex articolo 135) giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 116/2009 della COMM. TRIB. REG. delle MARCHE depositata il 27/10/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/11/2016 dal Consigliere Dott. LA TORRE MARIA ENZA;

udito per il controricorrente l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO FEDERICO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

(OMISSIS), socio unico della s.r.l. (OMISSIS), svolgente attivita’ di costruzioni edili, ricorre per la cassazione della sentenza della C.T.R. delle Marche, n. 116/9/09 dep. 27.10.2009, che ha rigettato l’appello del contribuente. Il contenzioso ha origine dalla impugnazione da parte del contribuente dell’avviso di accertamento col quale l’Agenzia delle entrate, a seguito di verifica fiscale alla societa’ (OMISSIS) (e sulla base di accertamento in corso di notifica a questa), ha recuperato a tassazione una maggiore imposta Irpef per l’anno 2003 (quale reddito di capitale non dichiarato, ex articolo 41 T.U.I.R.), a fronte della riscontrata evasione d’imposta per mezzo di sottofatturazione delle operazioni di compravendita di unita’ immobiliari.

In particolare la CTR, confermando la decisione di primo grado, ha escluso (con riferimento all’unica doglianza dedotta contro la sentenza appellata), che la decisione gravata fosse fondata su una presunzione di secondo grado, utilizzata per affermare l’esistenza di utili extra bilancio in capo al contribuente “trattandosi di unico procedimento logico deduttivo con vari passaggi logici intermedi” ciascuno dei quali “non costituisce un’autonoma presunzione ma parte di un unico processo”.

L’Agenzia delle entrate si costituisce con controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Col primo motivo del ricorso il (OMISSIS) denunzia violazione dell’articolo 112 c.p.c., per travisamento della causa petendi e difetto di motivazione (ex articolo 360 c.p.c., n. 3 e n. 5 e del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 36), per avere la CTR pronunciato in relazione ad avviso di accertamento emesso nei confronti di una societa’ di capitali, in contenzioso su impugnazione di avviso di accertamento emesso in capo al socio, e quindi su questioni non facenti parte del processo.

2. Col secondo motivo si deduce omessa motivazione (ex articolo 360 c.p.c., n. 5) sulla inapplicabilita’ della presunzione di distribuzione dei maggiori utili extra bilancio, avendo lo stesso Ufficio affermato – nel processo verbale di constatazione redatto nei confronti della societa’ – che le somme riscosse in nero erano nate destinate all’acquisto in nero di beni e servizi.

3. Col terzo motivo si lamenta violazione di legge (articolo 2697 c.c.) e omessa motivazione (ex articolo 360 c.p.c., n. 3 e n. 5), sull’inosservanza dei principi sull’onere della prova, per avere l’Amministrazione accertato un reddito di partecipazione in capo al socio prima della notifica dell’avviso di accertamento in capo alla societa’.

4. I rilievi fondati sugli aspetti procedurali contestati con i superiori motivi del ricorso (accertamento in capo alla societa’ e notifica dell’accertamento al socio e quindi contemporaneo ad esso), a parte la loro genericita’, sono infondati, stante l’indipendenza dei procedimenti relativi alla societa’ di capitali (nella specie s.r.l.) e al socio (unico, con quota del 100%), operando, in tal caso, la presunzione di attribuzione “pro quota”, nel corso dello stesso esercizio annuale, degli utili extra bilancio prodotti (fondata sul disposto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 1).

4.1. L’indipendenza dei due procedimenti conserva al socio la facolta’ di contestare non solo la presunzione di distribuzione di maggiori utili, ma anche la validita’ dell’accertamento, a carico della societa’, in ordine a ricavi non contabilizzati (Cass. n. 19013 del 27/09/2016). L’accertamento a carico della societa’, in ordii ai ricavi non contabilizzati, costituisce infatti soltanto il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi, restando salva per il socio (il quale abbia separatamente impugnato l’accertamento a lui notificato, relativo al reddito da partecipazione, senza avere preso parte al processo instaurato dalla societa’ al fine di impugnazione dell’accertamento IRPEG), la facolta’ di contestare oltre la presunzione di distribuzione dei maggiori utili sociali – anche la ricorrenza di tale presupposto (cfr. Cass. n. 19606 del 2006; Cass. n. 21356 del 2009; Cass. n. 17966/2013, secondo le quali la decisione presa per l’accertamento del maggior reddito della societa’ di capitali non puo’ svolgere alcuna efficacia di giudicato nei confronti del socio; il principio e’ stato confermato anche in tema di condono tombale della societa’, i cui effetti “preclusivi” non si estendono ai soci da Cass. n. 386 del 13/01/2016).

4.2. Peraltro l’accertamento emesso nei confronti della societa’ per l’anno di riferimento (2003) e’ stato definito con sentenza di questa Corte (n. 17448/2012), che ha rigettato il ricorso proposto della (OMISSIS) srl..

4.3. Quanto alla presunzione di attribuzione al socio degli utili extracontabili accertati, essa e’ legittima, stante la mancanza di prova contraria del contribuente (Cass. n. 24572 del 2014; n. 8954 del 2013; n. 5076 del 2011; n. 9519 del 2009; Cass. n. 18640/2008), come congruamente motivato dalla CTR, che ha dettagliatamente esaminato e confermato i passaggi logici deduttivi dell’accertamento. Quanto alla prova per presunzioni, l’Amministrazione finanziaria, puo’ ottemperare al suo onere probatorio anche sulla base di presunzioni semplici, purche’ gravi, precise e concordanti. Ne’ incorre nel divieto della doppia presunzione (presumptio de presumpto), il quale attiene esclusivamente alla correlazione tra una presunzione semplice con altra presunzione semplice, e non puo’ quindi ritenersi violato nel caso in cui da un fatto noto si risalga ad un fatto ignorato, che a sua volta costituisce la base di una presunzione legale – rimanendo a carico del contribuente l’onere di superare la presunzione (Cass. n. 245 del 2014). In mancanza dunque di prova contraria da parte del contribuente, va confermato l’accertamento in base alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 15824 del 2016; n. 25271 del 2014; n. 9519 del 2009), che ha ritenuto legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poiche’ il fatto noto non e’ costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della societa’, ma dalla ristrettezza della base sociale che, in tal caso, caratterizza la gestione sociale. E’ appena il caso poi di soggiungere che, trattandosi di unico socio di srl, non sussistono i limiti di operativita’ della presunzione. Tali limiti, come individuati dalla giurisprudenza, ricorrono in due casi: a) quando la ristretta base sociale – cioe’ il fatto noto alla base della presunzione – abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio; b) quando sussista un valido accertamento a carico della societa’ sui ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi (accertamento che, come detto, e’ stato deciso con sentenza definitiva).

5. Col quarto motivo si deduce error in procedendo, per avere l’Ufficio alterato il sistema di accertamento, notificando un maggior reddito contemporaneamente al socio e alla societa’, cosi’ violando anche il divieto di doppia imposizione (Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 67).

6. Anche questa censura e’ da respingere. In tema di accertamento delle imposte sui redditi, infatti, l’operativita’ del divieto di doppia imposizione, previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 67, postula la reiterata applicazione della medesima imposta in dipendenza dello stesso presupposto. Tale condizione non si verifica in caso di duplicita’ meramente economica di prelievo sullo stesso reddito, quale quella che si realizza, in caso di partecipazione al capitale di una societa’, con la tassazione del reddito sia ai fini dell’IRPEG, quale utile della societa’, sia ai fini dell’IRPEF, quale provento del socio, attesa la diversita’ dei requisiti posti a base delle due diverse imposizioni (cfr. Cass. n. 19687 del 2011; n. 8351 del 2002).

7. Conclusivamente il ricorso va rigettato.

8. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 3.800,00 oltre spese prenotate a debito

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