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Anzitutto, l’asserzione del ricorrente, secondo cui si verserebbe in un caso di travisamento probatorio, non tiene conto della giurisprudenza consolidata di questa Corte secondo cui nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, puo’ essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti – con specifica deduzione – che il dato probatorio asseritamente travisato e’ stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 – dep. 20/02/2017, La Gumina e altro, Rv. 269217). Circostanza, quest’ultima, che non ricorre nel caso in esame.
7. In secondo luogo, poi, si osserva, l’affermazione secondo cui non vi sarebbe alcuna prova in atti sulla cui base si possa pervenire ad affermare che il (OMISSIS) ebbe a conferire alla (OMISSIS) il potere di agire in nome e per conto dell’imputato, ai fini della sottoscrizione della dichiarazione mod. SP 2009, e’ priva di qualsiasi supporto probatorio, in quanto smentita dalla stessa sentenza di appello, che richiama quanto gia’ accertato dal giudice di prime cure, secondo cui la (OMISSIS) (OMISSIS), nel presentare la dichiarazione mod. SP 2009 “agiva in qualita’ di rappresentante firmataria della dichiarazione stessa, agiva quindi per conto dell’attuale imputato e cioe’ del legale rappresentante della (OMISSIS) s.n.c. tenuta alla presentazione ed al successivo pagamento del debito d’imposta”. Attraverso la censura difensiva, quindi, la difesa del ricorrente si risolve nel tentativo di chiedere a questa Corte di svolgere un apprezzamento di merito, sostituendosi alla Corte d’appello ed al primo giudice, in particolare censurando non il procedimento valutativo svolto dai giudici di merito, ma chiedendo alla Corte di Cassazione di esaminare gli atti del giudizio di merito al fine di verificare se esistessero o meno quegli elementi di prova (labilmente contestati dalla difesa del ricorrente), su cui i giudici di merito hanno fondato il giudizio di responsabilita’, al fine di giungere ad affermare che “anche se la presentazione e’ stata effettuata da altri, questi agiva per conto del (OMISSIS) e per il (OMISSIS) operava”. Non puo’ certo pretendersi in quanto inibito dalla cognizione di pura legittimita’ di questa Corte, infatti, che la Cassazione esamini gli atti del processo di merito al fine di verificare se esista o meno una delega conferita alla (OMISSIS) (OMISSIS) ad agire in nome e per conto del (OMISSIS), quale legale rappresentante, che la legittimasse a sottoscrivere la dichiarazione IVA. Del resto, si osserva, e’ onere del ricorrente, che lamenti l’omessa o travisata valutazione di specifici atti processuali, provvedere alla trascrizione in ricorso dell’integrale contenuto degli atti medesimi, nei limiti di quanto gia’ dedotto, perche’ di essi e’ precluso al giudice di legittimita’ l’esame diretto, a meno che il “fumus” del vizio non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso, circostanza da escludersi nel caso di specie (v., ex multis: Sez. 1, n. 6112 del 22/01/2009 – dep. 12/02/2009, Bouyahia, Rv. 243225).
8. Infine, rileva il Collegio la manifesta infondatezza anche in diritto del motivo di ricorso, atteso che questa Corte (Sez. 3, n. 18834 del 19 aprile 2017, non massimata), ha chiarito che la responsabilita’ penale per il reato di omesso versamento dell’IVA, di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, appartiene al soggetto che ricopre la carica sociale di legale rappresentante al momento del termine ultimo per il versamento dell’imposta, ossia il termine ultimo per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo. Il soggetto in questione, infatti, e’ gravato da un generale obbligo di controllo preventivo di natura contabile sugli ultimi adempimenti fiscali: cio’ comporta una responsabilita’ quantomeno a titolo di dolo eventuale, tanto piu’ in quei casi in cui il debito fiscale non puo’ considerarsi occulto ma risulta chiaramente dalla dichiarazione sottoscritta da un terzo, come risulterebbe avvenuto nel caso di specie. Difatti su tale soggetto, in ragione della carica ricoperta, grava l’obbligazione tributaria in presenza di debito ben esposto nella stessa, anche se non risulta essere stato egli a sottoscrivere la dichiarazione, redatta da altro soggetto. Del resto, non deve essere dimenticato che la responsabilita’ per i reati previsti dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, e’ attribuita all’amministratore, individuato secondo le norme civilistiche di cui agli articoli 2380 e ss., articoli 2455 e 2475 c.c., cioe’ a coloro che rappresentano e gestiscono l’ente. Costoro, in quanto tali, sono tenuti a presentare le dichiarazioni rilevanti per l’ordinamento tributario di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 1, lettera c) ed e), adempiendo agli obblighi conseguenti, e cio’ sulla base del principio secondo cui colui che assume la carica di amministratore, si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze. Ne’ la legge prevede in maniera espressa che il sottoscrittore debba essere solo chi ha la rappresentanza legale dell’ente. La legge prevede, infatti (Decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, articolo 8, comma 5, “Regolamento recante modalita’ per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all’imposta regionale sulle attivita’ produttive e all’imposta sul valore aggiunto, ai sensi della L. 23 dicembre 1996, n. 662, articolo 3, comma 136”, che rinvia quanto alla sottoscrizione all’articolo 1, comma 4, stesso decreto), che le dichiarazioni IVA devono essere sottoscritte, a pena di nullita’, dal rappresentante legale o, in mancanza, dal soggetto che ne ha l’amministrazione, anche di fatto, o dal rappresentante negoziale, mentre se la societa’ ha la sede legale o amministrativa o l’oggetto principale dell’attivita’ all’estero, la dichiarazione puo’ essere sottoscritta da un rappresentante per i rapporti tributari in Italia.
A prescindere dalla coincidenza tra chi presenta la dichiarazione e chi la sottoscrive, in ogni caso, si osserva che la fattispecie penale tributaria individua il disvalore penale della condotta nel comportamento inadempiente all’obbligo di effettuare il versamento, attesa la struttura mista della fattispecie (commissiva, quanto alla presentazione della dichiarazione; omissiva, quanto al mancato versamento, momento che qualifica la rilevanza penale del fatto). Cio’ comporta, infatti, che la configurabilita’ del dolo normativamente richiesto per la punibilita’ dell’agente deve essere necessariamente riferita all’unica condotta penalmente rilevante, ossia al momento omissivo che incentra su di se’ l’intero disvalore della fattispecie, volta a tutelare l’interesse dell’Erario alla riscossione delle somme dovute a titolo di Iva in base alla relativa dichiarazione. Ed e’ indubbio che, a tal data (27.12) l’imputato rivestisse il ruolo di rappresentante legale dell’ente e che, nonostante fosse pienamente consapevole di dover versare l’IVA risultante dalla dichiarazione – non rileva se sottoscritta da egli o da un suo “delegato” – non ebbe a provvedere al versamento, con conseguente integrazione, anche soggettiva, del fatto-reato.
9. Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, dunque, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 2.000,00 Euro.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe
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