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3.1. – Il primo motivo di doglianza – con cui si lamenta la tardiva notificazione del decreto di citazione all’imputato – e’ inammissibile per genericita’. La difesa non richiama puntualmente l’atto di citazione, ne’ la sua notificazione, ne’ le relative date; non chiarisce, percio’, le ragioni della lamentata tardivita’. E non deduce neanche di avere proposto la relativa eccezione all’udienza di fronte alla Corte d’appello; con la conseguenza che l’eventuale nullita’ risulterebbe comunque sanata, in applicazione il principio secondo cui la violazione del termine a comparire di venti giorni stabilita dall’articolo 601 c.p.p., comma 3, non risolvendosi in una omessa citazione dell’imputato, costituisce una nullita’ a regime intermedio che risulta sanata nel caso in cui non sia eccepita entro i termini previsti dall’articolo 180, richiamato dall’articolo 182 c.p.p. (ex multis, Sez. 5, n. 39221 del 30/06/2015, Rv. 264721).
3.2. – Il secondo motivo di ricorso – relativo alla mancanza dell’elemento soggettivo del reato – e’ manifestamente infondato, a fronte dei noti e consolidati orientamenti di legittimita’ sul punto.
Correttamente, la sentenza impugnata ritiene sussistente l’elemento psicologico del reato, dal momento che l’imputato, con l’accettazione della carica di amministratore, ha avuto contezza delle obbligazioni, anche tributarie, da adempiere e della situazione economica complessiva della societa’. Come piu’ volte ribadito da questa Corte, ai fini della configurazione dell’elemento psicologico del reato previsto dal Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10 ter, basta il dolo generico, con la conseguenza che, per la commissione del reato, e’ sufficiente la coscienza e volonta’ di non versare all’Erario l’imposta sul valore aggiunto legalmente dovuta (Sez. 3, n. 3098 del 05/11/2015, dep. 25/01/2016, Rv. 265939; Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 25/02/2015, Rv. 263127). Risponde del medesimo reato, inoltre, quanto meno a titolo di dolo eventuale, anche il soggetto che, subentrando nella carica di amministratore di una societa’ di capitali dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, omette di versare all’erario le somme dovute, senza aver esperito i controlli contabili sugli ultimi adempimenti fiscali. L’assunzione della carica di amministratore comporta, infatti, per comune esperienza, una minima verifica della contabilita’, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni dei redditi, per cui, qualora cio’ non accada, e’ evidente che sceglie di assumere la carica si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze (ex multis, Sez. 3, n. 34927 del 24/06/2015, Rv. 264882; Sez. 3, n. 30492 del 23/06/2015, Rv. 264395). Ne’ la difesa ha operato puntuali richiami a risultanze istruttorie, pretermesse o scorrettamente valutate dai giudici di merito, dalle quali possano emergere elementi di segno contrario.
3.3. – Anche il terzo motivo di doglianza e’ manifestamente infondato. La difesa non prende in considerazione le plurime e conformi decisioni di questa Corte, le quali hanno statuito che, con riguardo ai reati tributari considerati dalla L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, la confisca per equivalente puo’ essere disposta non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato, posto che l’integrale rinvio alle disposizioni di cui all’articolo 322 ter c.p., contenuto nell’articolo 1, comma 143, richiamato, consente di affermare che, con riferimento a detti reati, trova applicazione non solo il primo ma anche il secondo comma della norma codicistica (ex plurimis, Sez. 3, n. 23108 del 23/04/2013, Rv. 255446; Sez. 3, n. 35807 del 07/07/2010, Rv. 248618; Sez.3, n. 25890 del 26/05/2010, Rv. 248058). Ne’, proprio in ragione del rinvio all’articolo 322 ter nella sua integralita’, puo’ lamentarsi che l’interpretazione in questione sarebbe di natura estensiva e, dunque, non consentita. A diverse conclusioni non puo’ condurre neppure la modifica dell’articolo 322 ter, comma 1, introdotta dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, articolo 1, comma 75, lettera o), per effetto della quale la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilita’ e’ consentita, per i delitti previsti dall’articolo 314 all’articolo 320 c.p., per un valore corrispondente non piu’ solo al prezzo del reato ma anche al profitto di esso. Tale modifica e’ stata infatti introdotta proprio per consentire l’operativita’ del sequestro per equivalente del profitto in relazione a quelle ipotesi per le quali l’esclusivo riferimento al prezzo non consentiva di estendere al di la’ di esso l’oggetto della misura reale, in tal modo essendosi adeguato il sistema interno alle indicazioni in tema di confisca di valore desumibili da una serie di fonti internazionali ed Europee tra cui le decisione quadro 2005/212/GAI del 24 febbraio 2005 del Consiglio dell’Unione Europea, che all’articolo 2 impone agli Stati Membri di adottare “le misure necessarie per poter procedere alla confisca totale o parziale di strumenti o proventi di reati punibili con una pena della liberta’ superiore ad un anno o di beni il cui valore corrisponda a tali proventi”. Dunque, tale modifica e’ volta a sanzionare compiutamente, attraverso lo strumento della confisca per equivalente, le condotte illecite volte a procurare all’agente illeciti profitti, senza irragionevoli distinzioni fondate sulla diversa tipologia dei reati posti in essere. E il quadro appena delineato trova conferma nell’attuale regime dell’istituto, contenuto nel Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12-bis, comma 1, inserito dal Decreto Legislativo 24 settembre 2015, n. 158, articolo 10, comma 1, perche’ tale disposizione, in continuita’ con la disciplina precedente, prevede che, “Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 c.p.p. per uno dei delitti previsti dal presente decreto, e’ sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non e’ possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilita’, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto”.
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