Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 1 marzo 2018, n. 9365. L’adesione all’accertamento e la richiesta di rateizzazione del debito di imposta non sono sufficienti per far scattare la causa di non punibilità prevista per alcuni delitti tributari

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A fronte di tali rilievi, pienamente corretti, il ricorrente si e’ limitato a lamentare il mancato esame della propria istanza e delle doglianze formulate sul punto con i motivi d’appello, omettendo di considerare quanto correttamente esposto nella motivazione della sentenza impugnata, anche riguardo alla insussistenza dei presupposti richiesti dalla disposizione citata per poter disporre la sospensione del processo per tre mesi per pagare il debito residuo (e cioe’ che anteriormente alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione), con la conseguente inammissibilita’ della censura, a causa della sua genericita’, e anche per la sua manifesta infondatezza.

3. Il secondo e il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente, riguardando entrambi la ricostruzione della vicenda sul piano del merito, che sarebbe ad avviso del ricorrente lacunosa e congetturale, in quanto fondata sulle presunzioni di produzione di reddito da parte dell’impresa di cui l’imputato era titolare e di istituzione delle scritture contabili (di cui non sarebbe stata accertata l’effettiva esistenza), disgiunte dalla considerazione delle modeste dimensioni di tale attivita’, del regime contabile semplificato adottato, delle scarse conoscenze tecniche dell’imputato, dell’evento alluvionale che aveva colpito la Citta’ di Ancona.

Anche tali censure risultano generiche, essendo prive di autentico confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata, e volte a conseguire una non consentita rivisitazione degli accertamenti di fatto compiuti dai giudici di merito.

La Corte d’appello, in accordo con il primo giudice, ha, infatti, evidenziato con chiarezza gli elementi sulla base dei quali e’ stata tratta, in modo logico, la prova sia della istituzione delle scritture contabili poi non rinvenute (costituiti dalla emissione di fatture negli anni 2006 e 2007 da parte dell’impresa del ricorrente, per prestazioni eseguite a favore della (OMISSIS), presso la cui sede tali fatture erano poi state rinvenute); sia della produzione di reddito da parte dell’impresa del (OMISSIS) (desunta dallo svolgimento di attivita’ a favore della S.r.l. (OMISSIS) e della S.n.c. (OMISSIS) e dalla emissione di fatture nei confronti di tali soggetti); sia del dolo di evasione (ricavato, in modo logico, dalla mancata esibizione di fatture pacificamente emesse e di qualsiasi documento contabile): si tratta di motivazione idonea e immune da vizi logici, non sindacabile sul piano del merito nel giudizio di legittimita’, che il ricorrente ha criticato in modo del tutto generico, anche quanto al non meglio precisato evento alluvionale, di cui non e’ stata chiarita la rilevanza, con la conseguente inammissibilita’ delle censure formulate con il secondo e il terzo motivo, a causa della loro genericita’ e del loro contenuto non consentito nel giudizio di legittimita’.

4. Altrettanto generico risulta il quarto motivo, mediante il quale sono state lamentate la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e la misura della pena.

La Corte d’appello ha adeguatamente giustificato il diniego di dette circostanze e la misura della pena, evidenziando la mancanza di elementi di positiva considerazione al riguardo e sottolineando la negativa personalita’ dell’imputato, gravato da plurimi precedenti penali: si tratta di motivazione idonea, attraverso la quale la Corte territoriale ha dato conto in maniera sufficiente degli elementi ritenuti preponderanti tra quelli di cui all’articolo 133 cod. pen. per addivenire al diniego di dette circostanze e alla determinazione della pena, non sindacabile sul piano del merito nel giudizio di legittimita’ (cfr. Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 4, n. 23679 del 23/04/2013, Viale, Rv. 256201; Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, Dell’Anna, Rv. 227142; Sez. 6, n. 10273 del 20.5.1989, Rv 181825).

L’obbligo della motivazione non e’, infatti, disatteso quando non siano state prese in considerazione tutte le prospettazioni difensive, a condizione pero’ che in una valutazione complessiva il giudice abbia dato la prevalenza a considerazioni di maggior rilievo, disattendendo implicitamente le altre. E la motivazione, fondata sulle sole ragioni preponderanti della decisione non puo’, purche’ congrua e non contraddittoria, essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato. Essa, inoltre, puo’, come nel caso di specie, essere contenuta, implicitamente, nel giudizio di gravita’ del fatto e nella valutazione negativa della personalita’ dell’imputato, essendo compresa in tale giudizio l’indicazione delle ragioni ritenute preponderanti per escludere la riconoscibilita’ di dette attenuanti.

5. Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile, stante la genericita’ e manifesta infondatezza di tutte le censure cui e’ stato affidato.

Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue, ex articolo 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. sentenza 7 – 13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento, nonche’ del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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