Corte di Cassazione, sezione terza civile, sentenza 13 marzo 2018, n. 6015. Nelle obbligazioni di durata assistite da clausola penale, il divieto di cumulo tra la prestazione principale e la penale, previsto dall’articolo 1383 c.c., puo’ riguardare le sole prestazioni gia’ maturate e rimaste inadempiute.

Nelle obbligazioni di durata assistite da clausola penale, il divieto di cumulo tra la prestazione principale e la penale, previsto dall’articolo 1383 c.c., puo’ riguardare le sole prestazioni gia’ maturate e rimaste inadempiute. Per queste, il locatore deve optare se richiedere l’integrale pagamento della prestazione principale o se chiedere in luogo di esso, il pagamento della penale se prevista (e salva la risarcibilita’ del maggior danno, se pattuita).
In relazione invece alle prestazioni ancora non maturate, per le quali permane l’obbligo dell’adempimento, o comunque di pagare un corrispettivo pari al canone di locazione finche’ si continua a fruire della medesima contro prestazione, il divieto di cumulo non opera perche’, in caso contrario sarebbe consentito al debitore sottrarsi alla propria obbligazione attraverso il proprio inadempimento

 

Sentenza 13 marzo 2018, n. 6015
Data udienza 14 novembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 6049-2016 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), considerati domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 1356/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 24/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/11/2017 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
I FATTI DI CAUSA
Nel 2004, (OMISSIS), in proprio e quale mandatario di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), concedeva in locazione ad uso abitativo un immobile in (OMISSIS) a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS).
Nel 2012 i locatori intimavano lo sfratto per morosita’ ai conduttori, avvalendosi della clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto e chiedendo contestualmente l’emissione nei loro confronti di un decreto ingiuntivo per le rate di canone gia’ scadute e a scadere fino al rilascio dell’immobile.
Nel corso del giudizio gli attori chiedevano, previo mutamento del rito, l’accoglimento della propria domanda di risoluzione di diritto del contratto di locazione facendo valere la clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto stesso, ed in subordine chiedevano la risoluzione per inadempimento del contratto; chiedevano anche la condanna dei convenuti al pagamento dei canoni e dell’indennita’ di occupazione dovuti fino alla data di riconsegna dell’immobile.
I convenuti eccepivano che dovesse essere portato in compensazione l’importo del deposito cauzionale, che era stato trattenuto dagli attori, ed altre somme per oneri condominiali corrisposti e non dovuti; gli attori controeccepivano che il deposito era stato da loro incamerato a titolo di penale per i danni, come previsto dalla clausola n. 11 del contratto di locazione.
Il Tribunale, all’esito del giudizio di primo grado, dichiarava il contratto risolto di diritto, accertava a quanto ammontasse il debito dei conduttori fino al rilascio dell’immobile, accertava il diritto dei conduttori alla restituzione del deposito cauzionale e, operata la compensazione tra le rispettive poste, li condannava al versamento del residuo debito in favore degli attori-locatori. In particolare, il tribunale, accertato l’inadempimento dei conduttori, affermava che fosse loro dovuta la restituzione del deposito cauzionale, in considerazione del rilascio dell’immobile avvenuto nel corso del giudizio e della previsione dell’articolo 1383 c.c., escludente la possibilita’ di cumulo tra la prestazione principale prevista dal contratto da parte dei locatori e quella diretta ad ottenere il pagamento della penale prevista per l’inadempimento.
I locatori proponevano appello, in relazione al punto della decisione in cui non era stato riconosciuto loro il diritto a trattenere la somma pattuita a titolo di penale per i danni, predeterminata nell’articolo 11 del contratto in misura pari al deposito cauzionale.
L’appello e’ stato rigettato. La Corte d’Appello di Firenze, con la sentenza n. 1356/2015 qui impugnata, afferma che i locatori hanno avanzato una duplice richiesta: da un lato, volta ad ottenere la risoluzione di diritto azionando anche la clausola penale, prevista, come la risoluzione di diritto, nell’articolo 11 del contratto; poi anche il pagamento dei canoni scaduti e a scadere, incorrendo nel divieto di cui all’articolo 1383 c.c.. Afferma che gli appellanti avrebbero potuto richiedere la penale per il danno da ritardo nel rilascio, che costituisce una diversa ipotesi di inadempimento rispetto all’inadempimento nel pagamento della prestazione principale, a sua volta disciplinata da una clausola separata del contratto, la n. 15, ma in mancanza di una indicazione in tal senso, trattandosi di due previsioni autonome, non potevano pretendere di trattenere la penale pattuita in caso di inadempimento per la diversa ipotesi del danno da ritardo.
Propongono ricorso per cassazione articolato in due motivi i signori (OMISSIS). Gli intimati non hanno svolto attivita’ difensiva in questa sede.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli articoli 1383 e 1453 c.c. in relazione all’articolo 360 c.c., comma 1, n. 3.
Riportano la clausola n. 11 del contratto, richiamata anche espressamente nella sentenza d’appello, in cui si prevede che: “La violazione (anche disgiuntamente) da parte dei conduttori anche di un solo patto in tema di: uso dell’ immobile e divieto di sublocazione, comodato o cessione (clausola n. 2), pagamento canone e suoi adeguamenti (clausola n. 3), divieto di esecuzione di opere non autorizzate (clausola n.8), divieto di tenere animali, introdurre veicoli, occupare parti comuni od esterne dell’edificio, produrre rumori od esalazioni fastidiosi, svolgere attivita’ contro la morale (clausola n. 10), sara’ causa di risoluzione di diritto del contratto a norma dell’articolo 1456 c.c. e della perdita del deposito cauzionale e dei relativi interessi a titolo di penale per il danno di cui all’articolo 1453 c.c., salva la risarcibilita’ del danno ulteriore”.
Criticano la sentenza impugnata laddove ha ritenuto che essi avessero chiesto congiuntamente e illegittimamente la risoluzione di diritto, la condanna al pagamento dei canoni scaduti e dei canoni a scadere (o indennita’ di occupazione), ed anche la corresponsione della penale, pattuita quale determinazione preventiva e forfettaria del danno in misura pari al deposito cauzionale, in violazione del divieto dettato dall’articolo 1383 c.c. (rubricato Divieto di cumulo: creditore non puo’ domandare insieme la prestazione principale e la penale se questa non e’ stata stipulata per il semplice ritardo).
Sostengono che la corte d’appello sarebbe incorsa in violazione di diritto non avendo essi agito in giudizio per ottenere la prestazione principale, ovvero per chiedere l’adempimento del contratto, bensi’ la risoluzione del contratto per inadempimento dei conduttori e, oltre alla risoluzione, anche il pagamento di quelle somme che, ex articolo 1591 c.c., i conduttori erano comunque tenuti a pagare sino al rilascio. In questa fattispecie, assumono che essi legittimamente avrebbero potuto incamerare la penale prevista anche quale liquidazione preventiva e forfettaria del danno da inadempimento.
Cio’ premesso in generale in ordine alla distinzione tra azione di risoluzione e azione di adempimento ai fini del cumulo, introducono un ulteriore distinguo.
Affermano cioe’ che, anche qualora non si volesse condividere la loro premessa, in ogni caso, occorrerebbe tenere distinte le somme richieste dai locatori per il periodo precedente alla risoluzione del contratto, a titolo di canoni di locazione, da quelle richieste, e dovute dai conduttori per il periodo successivo alla risoluzione del contratto nel quale hanno continuato ad occupare l’immobile: quelle somme, nella ricostruzione dei ricorrenti, non sono in ogni caso piu’ canoni, e quindi non coincidono con la prestazione principale, ma costituiscono una indennita’ di occupazione, seppur in misura pari all’ammontare del canone, ex articolo 1591 c.c. Sostengono quindi che si tratti di due prestazioni diverse con cause diverse, l’una avente natura di corrispettivo per il godimento, l’altra di indennizzo per il mancato rilascio a seguito di risoluzione contrattuale. Per cui, il ragionamento della corte d’appello, volto ad escludere la cumulabilita’ tra prestazione principale (canoni) e penale, in ogni caso non sarebbe corretto in relazione alle somme dovute per la occupazione proseguita dopo la risoluzione, non aventi natura di canoni di locazione, e non essendo le stesse riconducibili alla nozione di prestazione principale.
Aggiungono poi che la corte d’appello sarebbe incorsa anche nella violazione dell’articolo 1453 c.c., in quanto il danno da inadempimento non e’ soltanto quello pari alla mancata corresponsione dei canoni, ma puo’ avere anche altre componenti, quali il pregiudizio per non aver potuto disporre delle somme dovute al momento previsto.
Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’articolo 1591 c.c., in relazione all’articolo 360 c.c., comma 1, n. 3.
Tornano a criticare l’equiparazione fatta dalla sentenza impugnata tra la natura delle somme richieste per le mensilita’ non ancora maturate (che i locatori qualificano indennita’ di occupazione) e quelle richieste a titolo di canoni di locazione.
Sostengono che la corte territoriale erroneamente le accomunerebbe, qualificandole tutte come corrispettivo, mentre la natura delle somme dovute per i canoni a scadere sarebbe risarcitoria, perche’ gli stessi integrerebbero i danni da mora per la ritardata consegna dell’immobile (nella misura minima, predeterminata dall’articolo 1591 c.c. come pari al canone pregresso), e in particolare attribuiscono ad esse la funzione riparatoria del danno non da inadempimento ma da ritardo nella riconsegna dell’immobile. Quindi lo ricostruiscono come danno derivante non dalla violazione dell’obbligazione principale,ma dalla violazione dell’obbligazione restitutoria, costituente pur sempre di una ipotesi di responsabilita’ contrattuale, soggetta al termine di prescrizione di dieci anni.
Concludono lamentando la violazione di legge da parte della corte d’appello, laddove equipara il canone di locazione alla indennita’ di occupazione.
I due motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi. La questione, che pongono infatti concerne l’interpretazione da dare all’articolo 1383 c.c., che vieta il cumulo tra prestazione principale e clausola penale, la cui interpretazione pone problemi piu’ complessi laddove l’obbligazione non si esaurisca con il compimento di un singolo atto ma esista un rapporto di durata, a prestazioni continuate o periodiche come nella locazione, e quindi laddove si ponga il rapporto tra l’articolo 1383 c.c. e l’articolo 1591 c.c.
I motivi proposti sono fondati, nei termini che seguono.
Va premesso che, in ossequio al principio dell’autonomia contrattuale, le parti hanno facolta’ di predeterminare con una clausola penale l’entita’ del risarcimento sia per l’ipotesi di inadempimento, sia per la distinta ipotesi di ritardo nell’adempimento, nonche’, cumulativamente, per entrambe, con la conseguenza che l’effetto proprio della clausola (cioe’ quello di limitare l’onere del risarcimento dei danni alla misura predeterminata dalle parti) non puo’ operare se non con riferimento all’ipotesi prevista dalle stesse parti (Cass. n. 2975 del 2005, Cass. n. 16492 del 2002).
Nel caso di specie, le parti avevano previsto separatamente, con due autonome clausole contrattuali, una penale per diverse ipotesi di inadempimento, non soltanto legate al mancato pagamento dei canoni ma ad altre violazioni degli accordi contrattuali ritenute gravi dal locatore, tant’e’ che era stata abbinata ad esse la possibilita’ di richiedere la risoluzione di diritto, e risulta accertato dalla corte d’appello che il locatore nel chiedere la risoluzione di diritto abbia anche trattenuto la somma (incamerata a titolo di deposito cauzionale) prevista come penale per l’inadempimento.
Come e’ noto, la clausola penale e’ un patto accessorio di un contratto che ha una duplice funzione: – una coercitiva all’adempimento e un’altra risarcitoria del danno conseguente all’inadempimento.
Sia l’una sia l’altra funzione sono svolte creando, accanto all’obbligazione principale, una obbligazione penale: – le due obbligazioni coesistono, ma non sono suscettibili di attuazione cumulativa. Nel caso di inadempimento si verifica un concorso alternativo tra esse. – il creditore puo’ domandare e ottenere la prestazione principale o la penale, ma non entrambe. E’ questo il cosiddetto divieto di cumulo previsto dall’articolo 1383 c.c. in base al quale la prestazione in forma specifica e la penale non possono cumularsi, a meno che la penale non sia posta a risarcimento del solo danno per ritardo.
Restringendo l’analisi al rapporto tra articolo 1383, che pone il divieto del cumulo, e articolo 1591 (che prevede che il conduttore in mora a restituire la cosa e’ tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno), ovvero al modo di operare del divieto di cumulo in un contratto che si articola in una serie di prestazioni protratte nel tempo, in cui, nell’ipotesi della locazione, alla concessione in godimento di un bene corrisponde l’obbligo per chi ne fruisce di pagare un canone, esso non puo’ operare che per le (sole) prestazioni gia’ maturate al momento in cui il creditore si attiva per far accertare l’altrui inadempimento.
In via generale, nelle obbligazioni di durata assistite da clausola penale, il divieto di cumulo tra la prestazione principale e la penale, previsto dall’articolo 1383 c.c., puo’ riguardare le sole prestazioni gia’ maturate e rimaste inadempiute. Per queste, il locatore deve optare se richiedere l’integrale pagamento della prestazione principale o se chiedere in luogo di esso, il pagamento della penale se prevista (e salva la risarcibilita’ del maggior danno, se pattuita).
In relazione invece alle prestazioni ancora non maturate, per le quali permane l’obbligo dell’adempimento, o comunque di pagare un corrispettivo pari al canone di locazione finche’ si continua a fruire della medesima contro prestazione, il divieto di cumulo non opera perche’, come gia’ affermato da questa Corte, in caso contrario sarebbe consentito al debitore sottrarsi alla propria obbligazione attraverso il proprio inadempimento (Cass. n. 6979 del 1995, Cass. n. 2976 del 2005, Cass. n. 24910 del 2015).
Senzaltro e’ errata quindi, nella sentenza impugnata, l’esclusione della possibilita’ di cumulo tra penale e somme dovute a titolo di canoni ancora a scadere al momento della risoluzione del contratto, per il principio di diritto espresso dalle gia’ richiamate Cass. n. 2976 del 2005 e Cass. n. 24910 del 2015: “Nelle obbligazioni di durata assistite da una clausola penale, il divieto di cumulo ex articolo 1383 c.c. fra la prestazione principale e la penale concerne le sole prestazioni gia’ maturate ed inadempiute, ma non anche quelle non ancora maturate, non coperte dalla penale, giacche’, in caso contrario, il debitore potrebbe sottrarsi all’obbligazione attraverso il proprio inadempimento. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, in ipotesi di risoluzione di diritto del contratto di affitto di azienda, aveva escluso che il risarcimento dovuto per la tardiva riconsegna dell’immobile, ex articolo 1591 c.c., potesse ritenersi compreso in una penale azionata per il mancato pagamento del canone)”.
Diversamente opinando, infatti, si lascerebbe una delle due parti arbitra di aumentare il danno effettivo subito dalla controparte a proprio piacimento, prolungando l’inadempimento, fidando sul fatto che l’ammontare della somma che le sara’ richiesto di pagare a titolo di risarcimento e’ predeterminata. Una tale interpretazione, invece di valorizzare la funzione della clausola penale come elemento contrattuale volto a ridurre la conflittualita’ in caso di inadempimento e a garantire il creditore (che, nel momento in cui prevede il suo inserimento nel testo del contratto, valuta che l’ammontare della penale sia congruo rispetto ad un eventuale danno contrattuale) la renderebbe un elemento di alterazione dell’equilibrio contrattuale, in caso di inadempimento, a vantaggio del debitore. La sentenza impugnata va quindi cassata con rinvio, affinche’ la corte d’appello, adeguandosi al principio di diritto sopra indicato, distingua quali sono, tra quelle richieste, le prestazioni non cumulabili con la penale, dovendosi in ogni caso escludere dal divieto di cumulo le prestazioni scadute dopo la risoluzione del contratto.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata per quanto di ragione e rinvia alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione, che decidera’ anche sulle spese del presente giudizio.

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