Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 21 novembre 2017, n. 27543. Il soggetto tenuto alla vigilanza sulla fauna selvatica, o il gestore delle strade, non hanno l’obbligo di provvedere alla recinzione o segnalazione generalizzata dei perimetri boschivi

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Per quel che riguarda la sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 2043 c.c., il Tribunale ha accolto l’appello della Regione in mancanza di prova degli elementi costitutivi dell’illecito, ad iniziare dalla colpa, rispetto alla quale non e’ stata fornita alcuna prova in punto di vigilanza (quale l’esistenza di fonti incontrollate di richiamo della selvaggina verso la sede stradale; la mancata adozione di tecniche di captazione degli animali verso le aree boscose lontane da strade e da agglomerati urbani). Il giudice si e’ conformato alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il soggetto, tenuto alla vigilanza sulla fauna selvatica o il gestore o manutentore delle strade, non hanno l’obbligo di provvedere alla recinzione o segnalazione generalizzata dei perimetri boschivi (Cass., 3, n. 7080 del 28/3/2006) ne’ tantomeno l’obbligo di illuminazione notturna di strade lontane dai centri abitati (Cass., n. 5202 del 4/3/2010).
Il giudice di appello ha infine compensato le spese del grado nella misura di 1/3, ponendo il residuo a carico dell’appellato mentre le spese sostenute dalla Provincia, stante la formazione di un giudicato, sono state poste a carico dell’appellante.
Avverso la sentenza impugnata (OMISSIS) propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
La Regione Abruzzo, difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, si e’ costituita in giudizio ai fini di un’eventuale discussione ed ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c. e articolo 342 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4.
Con il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione della Legge Regionale Abruzzo n. 10 del 2003, articolo 4 bis come modificato dalla Legge Regionale n. 2 del 2013, articolo 33 in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
Con i primi due motivi il ricorrente censura l’impugnata sentenza nella parte in cui non avrebbe rilevato l’inammissibilita’ dell’appello dell’amministrazione per avere il primo giudice fatto riferimento ad un “indennizzo” e per non aver rilevato che il danno doveva essere indennizzato secondo il criterio dell’attribuzione del rischio, e non secondo quello della colpa.
Rileva che, essendo presente nella sentenza di primo grado l’autonoma ratio decidendi della natura indennitaria della pretesa, non avendo l’appellante impugnato tale autonoma ratio, il relativo appello avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse, essendo passata in giudicato l’autonoma motivazione non impugnata.
I due motivi sono inammissibili in quanto, secondo la narrazione contenuta nella sentenza impugnata e nel ricorso, l’azione introdotta ha natura strettamente risarcitoria, tendente all’accertamento della responsabilita’ aquiliana della P.A. e non natura indennitaria come inopinatamente affermato dal giudice di primo grado.
Per quel che riguarda specificamente il primo motivo occorre rilevare che il medesimo non sostiene che il petitum fosse originariamente diretto a scopi indennitari. Neppure puo’ ritenersi che l’Amministrazione non abbia correttamente censurato la pronuncia di primo grado nella parte in cui la stessa faceva riferimento all’obbligo di corrispondere un indennizzo, in quanto la Regione ha censurato la sentenza evidenziando l’insussistenza della responsabilita’ dell’Amministrazione, con un’espressione omnicomprensiva di qualsiasi titolo di responsabilita’. L’appello ha correttamente ricondotto la responsabilita’ dell’Amministrazione nell’alveo della responsabilita’ aquiliana con conseguente richiesta applicazione dei relativi principi, con cio’ implicitamente criticando la ricostruzione del primo giudice che aveva costruito un’atipica responsabilita’ da attribuzione del rischio.
Quanto al secondo motivo e’ inammissibile (anche) per difetto di autosufficienza in quanto il ricorrente si duole del richiamo, operato dal Tribunale, secondo il quale la legge regionale prevedeva un obbligo di corrispondere i contributi per i danni non altrimenti risarcibili. Secondo il ricorrente il Tribunale non avrebbe tratto le conseguenze necessarie da tale riferimento ma egli non riporta ne’ la motivazione di primo grado ne’ la tesi difensiva della parte appellata ne’ la compiuta motivazione della sentenza impugnata, con cio’ violando palesemente l’articolo 366 c.p.c., n. 6.
Con il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5. Violazione o falsa applicazione degli articoli 2043 e 2697 c.c. e del principio di vicinanza della prova, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
Critica la sentenza nella parte in cui ha accertato che l’attore non avrebbe neppure allegato gli estremi della colpa dell’Amministrazione; la sentenza impugnata avrebbe omesso di valutare il fatto decisivo dell’allegazione della colpa dell’Amministrazione da parte del ricorrente, in base al principio di vicinanza della prova e delle regole generali sul riparto dell’onere probatorio.
Il motivo e’ inammissibile in quanto lo stesso ricorrente si limita a dire che, nell’atto introduttivo del giudizio, l’attore aveva sostenuto la responsabilita’ dei convenuti per aver omesso di adottare misure idonee ad evitare che la fauna selvatica arrecasse danni a terzi, con un’affermazione meramente tautologica senza alcuna allegazione dei profili di colpa. Allegazione tanto piu’ necessaria quanto piu’, ai sensi dell’articolo 2043 c.c., il danneggiato dalla fauna selvatica e’ gravato dall’onere di provare non solo il danno ma anche il concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente tenuto al controllo della fauna (Cass., 3, n. 24895 del 25 novembre 2005: In tema di responsabilita’ extracontrattuale, il danno cagionato dalla fauna selvatica non e’ risarcibile in base alla presunzione stabilita dall’articolo 2052 cod. civ., inapplicabile per la natura stessa degli animali selvatici, ma soltanto alla stregua dei principi generali sanciti dall’articolo 2043 cod. civ., anche in tema di onere della prova, e percio’ richiede l’individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico. Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva rinvenuto detto comportamento nella circostanza che nella zona, densamente popolata di animali selvatici, non fosse stato installato alcun avvertimento per segnalare il pericolo, inducendo cosi’ l’utente della strada a prestare la massima attenzione, onde procedere con la necessaria prudenza; Cass., 3, n. 7080 del 28/3/2006; Cass., 1, n. 9276 del 24/4/2014) anche attraverso la dimostrazione di aver messo in atto ogni possibile cautela al fine di evitare il danno (Cass. n. 27673 del 21/11/2008;).
Conclusivamente il ricorso e’ dichiarato inammissibile, con le conseguenze sulle spese e sul raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alle spese del giudizio, liquidate in Euro 1.400 (oltre Euro 200 per esborsi), piu’ accessori di legge e spese generali al 15%. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

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