Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 19 marzo 2018, n. 6701. Il giudice nella motivazione della sentenza dove si liquida il risarcimento del danno non patrimoniale, nella specie parentale, deve differenziare la posizione dei soggetti danneggiati che hanno agito in giudizio

Il giudice nella motivazione della sentenza dove si liquida il risarcimento del danno non patrimoniale, nella specie parentale, deve differenziare la posizione dei soggetti danneggiati che hanno agito in giudizio. Più in particolare, l’indagine deve essere condotta: a) da un lato tenendo conto della “doppia dimensione fenomenologica” del danno derivante dalla lesione (da ogni lesione) di interessi della persona costituzionalmente protetti: quella di tipo dinamico/relazionale e quella di natura interiore, b) dall’altro tenendo fermo che il danno non patrimoniale risarcibile (come del resto anche il danno patrimoniale) rappresenta un danno conseguenza e, più esattamente, non un danno evento, e che la sua valutazione e liquidazione hanno riguardo pertanto alle conseguenze pregiudizievoli dell’evento di danno e non già all’evento medesimo.

Ordinanza 19 marzo 2018, n. 6701
Data udienza 14 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22871/2015 R.G. proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS) S.p.A., rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS) e dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in (OMISSIS);

– controricorrente –

e contro

(OMISSIS) e (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste, n. 203/2015 depositata il 25 marzo 2015;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 31 gennaio 2018 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Corrado Mistri, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RILEVATO IN FATTO

1. (OMISSIS), (OMISSIS), in proprio e quali genitori esercenti la potesta’ sulla figlia minore (OMISSIS), nonche’ le altre figlie (OMISSIS) e (OMISSIS), convenivano avanti il Tribunale di Trieste (OMISSIS), (OMISSIS) e la (OMISSIS) S.p.A. per il risarcimento dei danni non patrimoniali iure proprio patiti a seguito del sinistro stradale occorso in data (OMISSIS) nel quale aveva perso la vita (OMISSIS), rispettivamente figlia e sorella dei predetti, trasportata a bordo dell’autoveicolo condotto dal (OMISSIS), di proprieta’ della (OMISSIS) e assicurato per la responsabilita’ civile dalla (OMISSIS) S.p.A..

Solo quest’ultima si costituiva asserendo che le somme gia’ corrisposte (pari a Euro 200.000 per ciascun genitore, Euro 95.000 per la sorella (OMISSIS) e Euro 60.000 per ciascuna delle altre sorelle) risultavano satisfattive di ogni pretesa risarcitoria.

Espletata c.t.u. il tribunale riconosceva a carico di ciascuno dei due genitori un danno psichico con invalidita’ permanente determinata nella percentuale del 21% e, a carico di ciascuno degli attori, un concorrente danno da perdita del rapporto parentale. Liquidava tali danni secondo i parametri indicati dalle Tabelle milanesi vigenti al momento della decisione (2011), scorporando pero’ dal primo (danno psichico a carico dei genitori) l’aumento previsto a titolo di danno morale soggettivo “atteso che lo stesso non puo’ piu’ ritenersi limitato alla sofferenza transeunte ed immediata derivante dalla lesione, bensi’ e’ da intendersi quale patimento che accompagna l’intera vita del congiunto e, come tale, gia’ integralmente risarcito da quanto riconosciuto alla voce di danno da lesione del rapporto parentale”.

Condannava pertanto i convenuti, in solido, al pagamento in valuta attuale delle somme di:

a) Euro 281.547,53 in favore del padre, (OMISSIS);

b) Euro 251.783,22 in favore della madre, (OMISSIS);

c) Euro 80.000 in favore della sorella, (OMISSIS);

d) Euro 100.000 in favore di ciascuna delle altre sorelle, (OMISSIS) e (OMISSIS);

oltre interessi compensativi nella misura dell’1% annuo dalla data dell’evento al saldo, detratti gli acconti ricevuti previa rivalutazione.

2. Tutti i predetti interponevano appello lamentando: l’esclusione di un autonomo apprezzamento, tra i pregiudizi risarcibili, del danno morale; la riduttiva stima dei pregiudizi medesimi; la scelta di inadeguati parametri medi nella liquidazione del danno; il rigetto della domanda tendente al rimborso delle spese per consulenza legale stragiudiziale; un errore di calcolo nella determinazione del risarcimento complessivo spettante ad (OMISSIS).

La Corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha riconosciuto la fondatezza solo dell’ultima doglianza (considerata come volta alla correzione di un errore materiale, effettivamente sussistente) e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato i convenuti in solido al pagamento in favore di (OMISSIS) della somma di Euro 281.783,22, confermando per il resto la prima decisione; ha inoltre condannato gli appellanti in solido alla rifusione, in favore della compagnia di assicurazioni, unica tra gli appellati a costituirsi, delle spese del grado.

3. Avverso tale sentenza (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) propongono ricorso per cassazione articolando sette motivi, cui resiste la predetta compagnia di assicurazioni, depositando controricorso.

(OMISSIS) e (OMISSIS) non svolgono difese. I ricorrenti depositano memoria ex articolo 380-bis c.pc.., comma 1.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso (pagg. 60-84) si deduce violazione del diritto all’integrale riparazione dei danni non patrimoniali connessi alla soppressione del vincolo familiare (articoli 2, 29 e 30 Cost.; articoli 1223, 1226, 2043, 2056 e 2059 c.c.), in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamentano i ricorrenti che la liquidazione del danno non patrimoniale da perdita di congiunto, effettuata dai giudici di merito, “e’ stata attuata mediante la determinazione dell’importo omnicomprensivo mutuato da un valore pescato a caso all’interno del range della tabella milanese”.

Sostengono che essa invece “avrebbe dovuto includere, nel rispetto del principio dell’integralita’ della riparazione… sia la sofferenza interiore e lo stato di prostrazione derivanti dall’avvenimento luttuoso…, sia le conseguenze nell’ambito delle relazioni parentali e familiari”.

Si dolgono che “la sentenza di appello non ha minimamente considerato tutte le circostanze di fatto evidenziate, dalle quali trarsi la prova della reale entita’ delle sofferenze e delle privazioni relazionali patite”, giungendo a una liquidazione riduttiva del danno.

2. Con il secondo motivo (pagg. 84-89) i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione della nomofilachia delle Sezioni Unite del 2008 e degli articoli 1223 e 1226 cod. civ., nella parte in cui la sentenza ha inteso avallare i dicta del Tribunale di Trieste che avevano propugnato tout court la non cumulabilita’ dei danni morali e di quelli esistenziali nel caso di decesso di un congiunto”.

Rilevano che, avendo la sentenza d’appello confermato integralmente la stima dei danni operata dal primo giudice per ciascun superstite, non e’ possibile capire – “con tali premesse di ordine generale sulla duplicazione dei danni” – se i giudici abbiano inteso liquidare, nella concreta fattispecie, solo il danno morale soggettivo e non anche quello c.d. esistenziale da lesione del rapporto parentale, ovvero solo il secondo e non anche il primo.

Affermano che “in ogni caso e’ evidente l’error iuris commesso” e l’incompletezza della quantificazione cosi’ ottenuta, atteso che “al di la’ delle etichette” cio’ che avrebbe dovuto rilevare era l’ontologica essenza delle poste di danno in gioco (il sentire e il non fare per la vita che cambia).

3. Con il terzo motivo (pagg. 89-92) denunciano, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli articoli 1223, 1226, 2056 e 2059 c.c., nonche’ degli articoli 2, 29, 30 e 32 Cost., lamentando “ulteriore fraintendimento sulla natura dei danni psichici e di quelli parentali da perdita di congiunto… con conseguente ingiusta limitazione dell’integrale loro risarcimento”.

La doglianza e’ riferita all’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui “le peculiarita’ del caso di specie – che riguardano le persone di (OMISSIS) e (OMISSIS) – non possono costituire elementi di prova al fine di riconoscere la liquidazione del danno parentale nella misura massima (o vicina ai massimi) secondo i criteri stabiliti dalle Tabelle di Milano, in quanto tali peculiarita’ risultano gia’ essere state valutate… ai fini della determinazione della percentuale di invalidita’” (da danno psichico).

Sostengono di contro che le anomalie comportamentali valorizzate ai fini del riconoscimento del danno psichico a carico di (OMISSIS) (costruzione mausoleo, abbandono del lavoro, frequenze ossessive delle visite al cimitero, etc.), rappresentavano al contempo anche ostacoli al regolare funzionamento familiare, specie per le due figlie piu’ piccole, e dunque costituivano anche fatti rilevanti ai fini della valutazione della compromissione del diverso bene dell’integrita’ e della solidarieta’ familiare di cui erano portatori il proprio coniuge e le altre figlie.

4. Con il quarto motivo (pagg. 92-101) i ricorrenti denunciano ancora violazione del diritto all’integrale riparazione dei danni non patrimoniali (da lesione della) salute psichica, subiti dai due genitori per la morte della figlia ventenne (articolo 32 Cost.; articoli 1223, 1226, 2043, 2056 e 2059 c.c.), in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Affermano che erroneamente i giudici di merito hanno: a) ritenuto assorbito nel danno parentale la “ben diversa componente morale del danno biologico derivante dalla… lesione della… salute psichica”; b) ridotto la stima del danno psichico (dalla percentuale di invalidita’ permanente del 25% a quella del 21%) in ragione della “pretesa rilevanza di eventi psicotraumatici o life events dei quali non e’ dato capire la portata ed il significato”, oltre che di una “riduzione unilaterale del valore del punto biologico”.

5. I motivi suesposti – congiuntamente esaminabili per la loro intima connessione – sono infondati, anche se occorre parzialmente correggere la motivazione, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 4.

La decisione impugnata, in punto di liquidazione dei danni non patrimoniali dedotti in giudizio, risulta invero, nei suoi esiti finali, rispettosa dei principi di unitarieta’ e omnicomprensivita’ al riguardo predicati dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con le note sentenze nn. 26972-26975 del 2008, anche se non del tutto corretta ne risulta in motivazione la declinazione rispetto alla peculiarita’ della fattispecie concreta.

A tal fine si rendono opportune le premesse che seguono.

5.1. Come di recente piu’ volte affermato, “natura unitaria sta a significare che non v’e’ alcuna diversita’ nell’accertamento e nella liquidazione del danno causato dal vulnus di un diritto costituzionalmente protetto diverso da quello alla salute, sia esso rappresentato dalla lesione della reputazione, della liberta’ religiosa o sessuale, della riservatezza, del rapporto parentale.

“Natura omnicomprensiva sta invece a significare che, nella liquidazione di qualsiasi pregiudizio non patrimoniale, il giudice di merito deve tener conto di tutte le conseguenze che sono derivate dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni risarcitorie, attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, e di non oltrepassare una soglia minima di apprezzabilita’, onde evitare risarcimenti c.d. bagattellari” (Cass. 20/04/2016, n. 7766; 23/09/2016, n. 18746; 14/11/2017, n. 26805; 17/01/2018, n. 901).

Tale indagine va condotta: a) da un lato tenendo conto della “doppia dimensione fenomenologica” del danno derivante dalla lesione (da ogni lesione) di interessi della persona costituzionalmente protetti, quella di tipo dinamico/relazionale e quella di natura interiore (la sofferenza morale stricto sensu intesa) (v. Cass. 09/06/2015, n. 11851; Cass. n. 901 del 2018, cit.); b) dall’altro tenendo fermo che il danno non patrimoniale risarcibile (come del resto anche il danno patrimoniale) e’ danno conseguenza e non danno evento e che la sua valutazione e liquidazione hanno riguardo pertanto alle conseguenze pregiudizievoli dell’evento di danno e non gia’ all’evento stesso (cio’ tra l’altro comportando che, cosi’ come la lesione d’un solo interesse puo’ provocare pregiudizi diversi, per converso la lesione di interessi diversi puo’ provocare pregiudizi identici o sovrapponibili: v. in termini Cass. 08/05/2015, n. 9320).

Se e’ vero dunque che ogni lesione va indagata nella sua duplice predetta componente dannosa (morale/interiore; relazionale/esteriore) e’ anche vero che, in caso di illeciti plurioffensivi, se le conseguenze pregiudizievoli rilevate risultino in tutto o in parte sovrapponibili, le stesse non possono essere liquidate due o piu’ volte quanti sono gli interessi lesi cui sono al contempo riconducibili.

Proprio qui si colgono il senso e l’importanza del principio di unitarieta’ di liquidazione del danno non patrimoniale, il quale non vuol certo dire che, quando l’illecito produca pregiudizi non patrimoniali eterogenei anche in ragione della diversita’ degli interessi lesi (es. danno alla salute, danno alla liberta’ personale, etc.), la liquidazione di un tipo di danno non patrimoniale (es. danno alla salute) assorbe sempre e necessariamente tutte le altre, ma vuol piuttosto dire che lo stesso danno non puo’ essere liquidato due volte sol perche’ lo si chiami con nomi diversi (Cass. n. 9320 del 2015, cit.).

Nel caso di specie l’evento dannoso e’ unico (la morte della stretta congiunta dei soggetti che reclamano il risarcimento iure proprio) ma plurioffensivo, avendo dato luogo alla lesione di piu’ interessi della persona costituzionalmente protetti; diversi non solo perche’ facenti capo a diverse vittime secondarie ma anche perche’ piu’ d’uno lesi in capo a talune di esse (i genitori), ciascuno oggetto di distinta protezione costituzionale: da un lato il diritto alla salute (in questo caso la salute psichica); dall’altro il diritto al rapporto parentale (costituzionalmente protetto dagli articoli 2, 29, 30 e 31 Cost.).

A fronte dunque di una fattispecie cosi’ articolata la motivazione della sentenza impugnata si rivela in effetti errata nella parte in cui (v. pag. 19, primo capoverso) riconduce alla perdita del rapporto parentale la componente dinamico relazionale (in sentenza definita “esistenziale”) dei pregiudizi rilevati senza distinguere la posizione dei diversi soggetti danneggiati e, dunque, anche con riferimento a quella dei genitori della vittima primaria, per i quali il separato apprezzamento anche di un danno biologico (psichico) e’ in sentenza considerato (solo) quale motivo per escludere la necessita’ di procedere ad adeguamento (personalizzazione) dell’importo liquidato per danno parentale (v. pagg. 20-21 della sentenza impugnata).

In realta’, mentre la riconduzione di entrambe le componenti dannose (morale/interiore; relazionale/esteriore) alla lesione del rapporto parentale e’ corretta per le sorelle, quanto ai genitori, invece, il danno biologico (danno psichico) separatamente liquidato identifica ed assorbe per intero – in una fattispecie quale quella in esame ove la patologia origina dallo stato di profonda prostrazione e lutto a sua volta derivato dall’unico evento di danno – proprio la componente relazionale che si ritiene di ricondurre alla lesione del rapporto parentale.

Occorre al riguardo rammentare che i pregiudizi di carattere relazionale, ovvero legati alla “proiezione esterna dell’essere”, sono compresi nella definizione stessa di danno biologico (quale ovviamente e’ anche il danno psichico) e ne costituiscono l’essenza, datane la nozione c.d. dinamico/funzionale accolta da oltre due decenni nella giurisprudenza di questa Corte e ora positivizzata nel Decreto Legislativo 7 settembre 2005, n. 209, articolo 138, comma 2, lettera a) e articolo 139, comma 2 (Codice delle assicurazioni private), a mente del quale “per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all’integrita’ psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un’incidenza negativa sulle attivita’ quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacita’ di produrre reddito”.

Resta per converso invece riconducibile per intero alla lesione del rapporto parentale, anche per i genitori (come rettamente rilevato dal giudice di primo grado), la sofferenza morale, non essendo distinguibile, per le ragioni dette, una sofferenza interiore riferibile alla lesione del diritto alla salute (in termini ad es. di rabbia o preoccupazione per le proprie condizioni di salute) ulteriore e distinguibile da quella derivante dalla perdita della persona cara, in una situazione in cui, al contrario, ossia secondo un percorso logico inverso, sono proprio la gravita’ del lutto e la profondita’ dell’intimo dolore provato, nella impossibilita’/incapacita’ dell’individuo di elaborarlo secondo uno sviluppo fisiologico, a sfociare anche in compromissione oggettivamente apprezzabile dell’integrita’ psicofisica con effetti invalidanti permanenti (disturbo depressivo maggiore cronico di grado lieve).

5.2. Al netto (e alla luce) di tali doverose precisazioni sulla corretta imputazione delle conseguenze pregiudizievoli apprezzate in capo ai singoli soggetti danneggiati, non puo’ comunque dubitarsi che queste risultino in concreto tutte considerate e adeguatamente valutate ai fini della aestimatio del danno, la cui traduzione in termini monetari – non risultando meramente simbolica e irrisoria e collocandosi per ciascuno dei danneggiati all’interno, a livelli medi o medio-alti, del range dettato dalle tabelle maggiormente diffuse sul territorio nazionale – costituisce legittimo esercizio del potere equitativo attribuito esclusivamente al giudice del merito e come tale insindacabile in questa sede se, come nella specie, congruamente motivato.

Le considerazioni svolte rendono anzi palese l’infondatezza delle censure al riguardo svolte, dovendosi escludere nella prospettiva esposta che l’applicazione di parametri medi per la liquidazione del danno parentale sofferto dai genitori comporti una sottostima dello stesso, ne’ tanto meno l’esclusione dal risarcimento di taluni pregiudizi; la parametrazione del danno secondo valori medi, gia’ di per se’ insindacabile, trova infatti, a maggior ragione, giustificazione nel rilievo che, nel caso di specie, come detto, la componente relazionale/esteriore del danno deve considerarsi gia’ per intero considerata e assorbita nella liquidazione del danno biologico (psichico).

5.3. La censura, poi, con la quale (terzo motivo) si lamenta l’omessa considerazione dei danni alle relazioni familiari causati dalle stesse anomalie comportamentali manifestate dal padre in conseguenza della patologia psichica contratta, e’ inammissibile e comunque infondata.

Inammissibile perche’ introduce un tema che non risulta trattato nei gradi di merito.

Infondata perche’ non e’ ravvisabile un nesso di regolarita’ causale che consenta di correlare tale ulteriore danno, secondo nesso di causalita’ giuridica ex articolo 1223 c.c. e articolo 2056 c.c., comma 1, all’evento lesivo ascritto alla responsabilita’ dell’autore dell’illecito (morte del congiunto).

Non e’ peraltro offerto alcun elemento che consenta di distinguere la lesione del rapporto parentale conseguente al danno psichico subito da uno dei genitori da quella conseguente, e in se’ gia’ apprezzata ai fini risarcitori, dalla morte della congiunta.

5.4. Inammissibile e’ anche la censura che, nel quarto motivo, investe la determinazione della percentuale invalidante del danno psichico.

Tale stima e’ giustificata in sentenza (pagg. 22-23) attraverso il richiamo di ampio stralcio della relazione di c.t.u. ove si evidenzia l’esigenza di tener conto della multifattorialita’ del danno e di ponderarne l’entita’ in misura “quali-quantitativamente coerente con l’oggettiva rilevanza dell’evento” e la sua capacita’ di emergere quale elemento “non derivabile solamente dal vissuto soggettivamente rappresentato dal leso”: capacita’ apprezzata, nella specie, in un “coefficiente pari allo 0,83 (settimo livello di una scala di otto)” che, applicato ad una percentuale “grezza” del 25%, conduce alla stima di una percentuale invalidante oggettivamente riconducibile all’evento lesivo pari al 21%.

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