Corte di Cassazione, sezione sesta penale, sentenza 8 marzo 2018, n. 10567. Concorre come “estraneo” nel reato di tentato abuso di ufficio l’aspirante legale che si fa passare le tracce scritte per l’esame di abilitazione professionale, grazie all’aiuto di pubblici ufficiali

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L’applicabilita’ dell’articolo 270 c.p.p. non puo’, pertanto, essere invocata ove, nel corso di intercettazioni legittimamente autorizzate, emergano elementi di prova relativi ad altro reato, pur totalmente svincolato da quello per il quale l’autorizzazione e’ stata debitamente rilasciata (v., in motivazione, Sez. 6, n. 50261 del 25/11/2015, M., Rv. 265757).

La lettera stessa degli articoli 266 e 270 c.p.p., non solo non presenta indicazioni opposte o incompatibili, ma anzi fornisce almeno due indicazioni con essa coerenti.

In primo luogo, infatti, l’articolo 266 c.p.p. non esclude espressamente l’utilizzabilita’ delle intercettazioni nell’ipotesi del concorso di reati nel medesimo procedimento e cio’, pur essendo l’ipotesi di concorso di reati fenomeno del procedimento del tutto usuale e frequente. La locuzione “nei procedimenti relativi ai seguenti reati” deve, pertanto, per esigenze di intrinseca coerenza sistematica, essere interpretata nel senso della sufficienza della presenza di uno dei reati di cui all’articolo 266 c.p.p. all’interno del procedimento, mentre, sarebbe paradossale dover invece pervenire alla conclusione che l’articolo 266 c.p.p. disciplini solo i casi in cui il singolo procedimento tratta uno solo, o piu’, dei reati che espressamente indica.

D’altro lato, l’articolo 270 c.p.p., nell’individuare i parametri per legittimare l’utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in altri procedimenti, non richiama l’elencazione tassativa dell’articolo 266, ma fa riferimento al diverso requisito della indispensabilita’ per l’accertamento di delitti per i quali e’ obbligatorio l’arresto in flagranza.

Pertanto, sia la lettera che il contesto sistematico in cui si collocano gli articoli 266 e 270 c.p.p. dimostrano che il legislatore si e’ posto il problema della utilizzazione dei risultati di intercettazioni legittimamente disposte per uno dei reati indicati nell’articolo 266 c.p.p., trattando esplicitamente solo il caso dell’utilizzazione extra-procedimentale e, tuttavia, riconoscendo in quel caso la possibilita’ di utilizzazione secondo parametri diversi da quelli indicati nell’articolo 266 c.p.p..

Inammissibile in quanto aspecifica si rivela, da ultimo, la censura rivolta avverso la asserita carenza di motivazione di cui all’articolo 267 c.p.p. dei decreti autorizzatori delle intercettazioni delle utenze di (OMISSIS), in quanto il ricorrente, limitandosi a richiamare una propria memoria depositata in una distinta fase processuale, non si e’ confrontato con il testo della decisione impugnata, contestandola specificamente, e non ha chiarito in termini autonomi il significato dei propri rilievi critici in relazione alle cadenze ed al sindacato proprio del giudizio di cassazione.

6. Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione dell’articolo 416 c.p.p., comma 2, non essendo stata trasmessa la Relazione integrativa della Guardia di Finanza, Nucleo Polizia Tributaria L’Aquila, Gruppo Tutela Economica, depositata in data 28 maggio 2012, che, costituendo atto di indagine, avrebbe dovuto essere esaminata dal giudice dell’udienza preliminare in sede di decisione del rito abbreviato.

L’articolo 416 c.p.p. fonda una presunzione di trasmissione di ogni atto presente nel fascicolo del Pubblico Ministero, atteso che il medesimo, ai sensi del secondo comma della medesima disposizione, ha l’obbligo di trasmettere al giudice dell’udienza preliminare l’intera documentazione raccolta nel corso delle indagini.

La ingiustificata pretermissione di tale atto, secondo la ricorrente, aveva, pertanto, influito in modo determinante sull’esito del giudizio e, segnatamente, aveva impedito al giudice dell’udienza preliminare di comprendere che la imputata non aveva postato alcuna traccia di esame su internet. Solo per un equivoco, pertanto, il messaggio partito da tale ” (OMISSIS)” era stato attribuito originariamente alla (OMISSIS).

Pur essendo tale annotazione stata acquisita dalla Corte di Appello, era, pertanto, necessario nuovamente celebrare il primo grado di giudizio, pregiudicato nell’esito a causa di tale omissione.

7. Anche tale censura deve essere disattesa in quanto infondata.

Non e’ configurabile la inosservanza da parte del Pubblico Ministero dell’obbligo di cui all’articolo 416 c.p.p., comma 2, di depositare, con la richiesta di rinvio a giudizio, tutta la documentazione relativa alle indagini espletate, allorche’, pur difettando l’immediata disponibilita’ di parte del materiale probatorio, esso risulti, in base gli atti, trasmesso sicche’ la difesa e’ in condizione di chiederne l’acquisizione al fine di prenderne visione ed estrarne copia (ex plurimis: Sez. 2, n. 6950 del 12/03/1998, D’Auria, Rv. 211102).

La Corte di Appello dell’Aquila ha, peraltro, acquisito, nel contraddittorio delle parti, la predetta relazione di indagine alla udienza del 19 febbraio 2015 ed ha rilevato, non certo illogicamente, come non potesse annettersi alla stessa il significato decisivo attribuito dalla difesa.

La circostanza che non vi fosse prova che la ” (OMISSIS)” che aveva postato un messaggio sul forum dedicato in Internet all’esame di avvocato alle ore 10.42 del 14 dicembre 2010 fosse stata la imputata, non era rilevante ai fini della definizione della posizione della (OMISSIS).

La responsabilita’ penale della imputata e’, infatti, stata congruamente dimostrata dalla valutazione sinergica delle intercettazioni telefoniche intercorse tra i coimputati nei giorni delle prove di esame, dall’esito della acquisizione delle mail scambiate tra le (OMISSIS) ed il (OMISSIS) nel corso delle predette prove e dalla attivita’ di pedinamento di (OMISSIS) (OMISSIS) posta in essere dalla Polizia Giudiziaria in tali giorni.

Dall’esame di tale complessivo compendio probatorio era emerso come la (OMISSIS) avesse goduto della assistenza dei coimputati nella redazione delle tracce d’esame.

8. Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta la inosservanza o la erronea applicazione dell’articolo 56 c.p., comma 3, e dell’articolo 530 c.p.p..

La imputata, infatti, non aveva ricevuto dall’esterno gli elaborati della prova di esame ed aveva consegnato compiti genuini; non aveva, inoltre, introdotto alcun cellulare all’interno dell’aula di svolgimento della prova di esame.

La conoscenza della (OMISSIS) con (OMISSIS) era stata puramente casuale, l’imputata nei giorni di esame aveva fatto a meno del cellulare e non aveva postato le tracce di esame, come chiarito dalla predetta annotazione della Guardia di Finanza.

L’imputata, peraltro, aveva riportato una votazione piu’ alta (28 rispetto ai voti delle residue prove 21 e 22) proprio il terzo giorno nel quale era stato alla (OMISSIS) inibito l’ingresso ai locali ove si svolgeva la prova di esame.

Errata era, inoltre, la valutazione effettuata dal Giudice dell’Udienza Preliminare in ordine alla corrispondenza degli elaborati della imputata con le mail inviate dal (OMISSIS) alle sorelle (OMISSIS).

La circostanza che la (OMISSIS), nei giorni precedenti le prove di esame, avesse conversato con la (OMISSIS) circa le possibili modalita’ di comunicazione con l’esterno durante le prove era, inoltre, inidonea a fondare un giudizio di colpevolezza, neppure in termini di tentativo punibile.

La imputata doveva, pertanto, essere assolta e, comunque, atteso che dalle intercettazioni, pur inutilizzabili, era emerso che la (OMISSIS), durante le prove, aveva il cellulare spento, la condotta doveva, al piu’, essere qualificata ai sensi dell’articolo 56 c.p., comma 3, venendo in rilievo una ipotesi di desistenza volontaria nella quale l’agente aveva abbandonato l’azione criminosa prima che questa fosse portata a compimento. La presunzione di avvenuta consegna dei compiti alla (OMISSIS) era, infatti, priva di oggettivi riscontri.

9. Il motivo si rivela inammissibile in quanto si risolve nella sollecitazione a pervenire, attraverso una incursione del merito della presente regiudicanda, ad una diversa, e piu’ favorevole lettura, delle risultanze probatorie poste a fondamento della sentenza impugnata.

Nella sentenza impugnata si rileva, peraltro, congruamente che non vi fu alcuna desistenza volontaria da parte della (OMISSIS).

La Corte di Appello, infatti, con motivazione tutt’altro che illogica, ha ritenuto irrilevante la circostanza valorizzata dalla difesa relativa al mancato utilizzo da parte della (OMISSIS) del telefono cellulare, pur abusivamente portato all’interno dei locali ove venivano svolte le prove di esame, in quanto il “previo ed organizzato accordo di assistenza, ad ampio spettro” tra la (OMISSIS) e (OMISSIS), contemplava il ricorso al cellulare solo quale ipotesi residuale.

Per quanto accertato dalle sentenze di merito, infatti, la consegna dell’elaborato confezionato da (OMISSIS) alla (OMISSIS) era avvenuta nel bagno dei locali destinati alle prova da parte di (OMISSIS).

Nel giudizio di cassazione sono, peraltro, precluse al giudice di legittimita’ la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).

10. Alla stregua di tali rilievi, pertanto, il ricorso deve essere disatteso e la ricorrente deve essere condannata, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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