Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 22 marzo 2018, n. 1838. Il comma 2 dell’art. 6 del decreto legislativo n. 152/2006, descrive le fattispecie di V.A.S. obbligatoria, fra le quali rientrano quelle di realizzazione di centri commerciali, menzionati nell’allegato IV

Il comma 2 dell’art. 6 del decreto legislativo n. 152/2006, descrive le fattispecie di V.A.S. obbligatoria, fra le quali rientrano quelle di realizzazione di centri commerciali, menzionati nell’allegato IV. E’ però necessario che la nuova struttura di vendita da realizzare possa tecnicamente qualificarsi come centro commerciale ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. g), del decreto legislativo n. 114/1998: non lo è un insediamento commerciale, pur caratterizzato dalla presenza di più servizi ed infrastrutture comuni (tra cui, nella specie, un parcheggio, un punto informativo, luoghi di ristoro e di svago nonché di un bancomat), che non presenti un centro di riferimento o di un accordo organizzativo della presunta gestione unitaria, in difetto della quale non è possibile configurare il centro commerciale in senso proprio.

Sentenza 22 marzo 2018, n. 1838
Data udienza 15 marzo 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2164 del 2017, proposto da:

Comitato ambientale ammetano, Si. Ce., in proprio e nella qualità di legale rappresentante p.t., Mi. Do., ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Ur. Ba., domiciliato ex art. 25 c.p.a. presso la segreteria della IV sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

contro

Comune di (omissis), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Ra., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Co. in Roma, via (…);

Segretariato regionale dei beni e delle attività culturali e del turismo per l’Umbria (già Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Umbria), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Fo. Br. (omissis) s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Fr., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Br. in Roma, via (…);

Coop Ce. It. soc. coop., rappresentata e difesa dall’avvocato Al. Ma. Ma., con domicilio eletto presso lo studio Lu. Go. in Roma, via (…);

Pr. s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio;

e con l’intervento di

ad opponendum:

Do. Fu. s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Bu. Vi., domiciliato ex art. 25 c.p.a. presso la segreteria della IV sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per l’Umbria, sezione I, 2 settembre 2016, n. 581.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’appello incidentale di Coop Ce. It. soc. coop.,

Visto l’atto di intervento di Do. Fu. s.r.l.;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, del Segretariato regionale dei beni e delle attività culturali e del turismo per l’Umbria nonché di Fo. Br. (omissis) s.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 marzo 2018 il consigliere Giuseppe Castiglia;

Uditi per le parti l’avvocato Ba., l’avvocato dello Stato Pa., gli avvocati Pa., su delega dell’avvocato Ra., e Fr., anche su delega dell’avvocato Bu. Vi.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Facendo seguito a una precedente domanda presentata il 25 novembre 2013 dalla società Fo. Br. (omissis) s.p.a. (d’ora in poi: F.B.M.) in data 31 maggio 2014, le società F.B.M. s.p.a., Pr. s.r.l. e Coop Ce. It. soc. coop. (d’ora in poi: Coop) hanno chiesto al Comune di (omissis) l’autorizzazione all’apertura di un esercizio commerciale – media struttura di vendita di tipologia M3 in località Ammeto, previa approvazione di un variante al piano di lottizzazione dell’area, risalente al 1997-1998 e già oggetto di quattro varianti.

2. Con deliberazione del Consiglio comunale n. 4 del 28 gennaio 2015, adottata all’esito di una complessa istruttoria, il Comune ha rilasciato alle società richiedenti – ai sensi degli artt. 24 e 25 della legge della Regione Umbria 13 giugno 2014, n. 10 (testo unico in maniera di commercio) – l’autorizzazione richiesta in variante al piano attuativo e alla parte operativa del piano regolatore generale.

3. Il Comitato ambientale ammetano, singoli cittadini residenti e imprenditori locali hanno impugnato l’autorizzazione insieme con gli atti connessi.

4. Con sentenza 2 settembre 2016, n. 581, il T.A.R. per l’Umbria, sez. I:

a) ha respinto l’eccezione di difetto di legittimazione attiva del Comitato (per la sufficienza dei requisiti della finalità statutaria e della stabilità organizzativa, associativa e territoriale, non considerando necessario anche quello della stabilità temporale) e dei residenti (sulla base della vicinitas e dei presumibili profili di danno), accogliendola in relazione agli imprenditori concorrenti (operanti essenzialmente nel centro storico, lontano dall’area dell’intervento, e portatori dell’interesse a contrastare un danno di tipo concorrenziale, per il quale l’ordinamento appresterebbe rimedi diversi);

b) ha respinto l’eccezione di irricevibilità del ricorso per mancata impugnazione degli atti urbanistici precedenti;

c) ha dichiarato irricevibili per tardività le censure sollevate con memorie successive al ricorso;

d) ha esaminato e respinto nel merito gli undici motivi del ricorso;

e) ha compensato fra le parti le spese di giudizio.

5. Il Comitato e alcuni dei singoli originari ricorrenti hanno interposto appello avverso la sentenza n. 581/2016 sostenendo:

a) la legittimazione degli imprenditori ricorrenti estromessi, che agirebbero per la tutela di interessi ambientali (salvaguardia del tessuto produttivo locale, localizzato nel centro storico, e della qualità ambientale della zona di nuova costruzione) ed economici (diminuzione della clientela per il calo della clientela, nell’ambito dello stesso bacino di utenza); almeno uno di essi (il signor Bartolini) avrebbe anche il requisito della vicinitas, svolgendo attività commerciale nell’area del nuovo insediamento;

b) la tempestività delle censure dichiarate irricevibili dal Tribunale regionale, che sarebbero già state sollevate con il ricorso introduttivo del giudizio.

5.1. Nel merito, essi hanno rinnovato le censure già proposte, ad eccezione della prima:

c) violazione degli artt. 2, 9 e 11 del ricordato testo unico regionale in maniera di commercio. Nel rilasciare l’autorizzazione commerciale, il Comune non avrebbe tenuto conto di alcune finalità legate alla tutela dell’ambiente, dei centri storici e dei consumatori. Valorizzando le relazioni tecniche allegate alla domanda di rilascio, il T.A.R. avrebbe considerato generica la censura, che invece denuncerebbe il vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria con riguardo ai valori ambientali e sanitari compromessi con la nuova struttura (degrado e spopolamento del centro storico, consumo di suolo, aumento di traffico in un’area già segnata dalla presenza di altri centri commerciali, maggiore inquinamento);

d) violazione dell’art. 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in quanto: I) la competenza sull’istanza di autorizzazione paesaggistica apparterrebbe alla Regione (la censura sarebbe stata formulata tempestivamente in primo grado); II) la Direzione regionale si sarebbe limitata a prendere atto di pareri espressi dalle Soprintendenze di settore senza alcuna valutazione di merito e visione dei fascicoli; III) il parere sarebbe stato rilasciato in violazione dell’ordine procedimentale, dopo la conclusione del procedimento V.A.S.;

e) violazione dell’art. 49 del T.F.U.E. e del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (recante attuazione della direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno). La libertà di stabilimento non sarebbe incondizionata, ma cederebbe di fronte a motivi imperativi di carattere generale, che nella specie non sarebbero stati presi in considerazione (salute, ambiente, sicurezza stradale, tutela dei consumatori, privati dell’unico punto alimentare nel centro storico). Anche in questo caso il T.A.R. avrebbe erroneamente giudicato generica la censura;

f) violazione dell’art. 49 T.F.U.E. sotto diverso profilo. Alla procedura non sarebbe stata consentita la partecipazione di alcune associazioni ambientali e, fra queste, del Comitato ammetano. Le associazioni intervenute (Cittadinanza attiva e Codacons) non avrebbero la protezione dell’ambiente come obiettivo primario e non sarebbero presenti sul territorio interessato, diversamente dal Comitato, che avrebbe dovuto essere invitato a partecipare alla conferenza di servizi;

g) violazione dell’art. 12 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e, in generale, della direttiva 2001/42/CE nel suo complesso. Nell’escludere, in fase di screening, il progetto dalla V.A.S., sarebbero state introdotte prescrizioni tali da disvelare un vero e proprio provvedimento V.A.S. senza osservare il relativo procedimento. La facoltà dell’Amministrazione di escludere l’assoggettamento del progetto alla V.A.S. imponendo prescrizioni non potrebbe esercitarsi senza limiti, che nella specie sarebbero stati oltrepassati con violazione o elusione della normativa di settore;

h) violazione e falsa applicazione della direttiva 2011/92/UE, come modificata dalla direttiva 2014/52/UE, del decreto legislativo n. 152/2006 e della legge della Regione Umbria 16 febbraio 2010, n. 12. Il provvedimento n. 745 del 19 febbraio 2015, valorizzato dal T.A.R., sarebbe successivo all’adozione (non alla pubblicazione) della delibera n. 4/2015, con violazione della corretta sequenza procedimentale e conseguente irrilevanza o nullità. Inoltre, il progetto non sarebbe stato sottoposto a V.I.A. sul solo rilievo del mancato superamento dei limiti dimensionali previsti (parcheggio inferiore a 500 posti auto) con omissione di tutti gli altri criteri previsti dalla direttiva. Secondo gli orientamenti europei e la giurisprudenza interna, la V.I.A. sarebbe comunque necessaria per valutare la compatibilità degli insediamenti produttivi con le esigenze di tutela ambientale, anche in omaggio al principio di precauzione; la Corte costituzionale avrebbe affermato la necessità della specifica valutazione per la costruzione di tutti i centri commerciali, inclusi quelli di medie dimensioni;

i) violazione, sotto diverso profilo, della direttiva 2001/42/CE, del decreto legislativo n. 152/2006 (in particolare, dell’art. 6) e della legge della Regione Umbria 16 febbraio 2010, n. 12. Il progetto avrebbe dovuto essere necessariamente sottoposto a V.A.S. perché il fatto di interessare una piccola area locale non escluderebbe l’interferenza con altri criteri, quali la realizzazione di un centro commerciale o di un parcheggio a uso pubblico con oltre 500 posti;

l) violazione, sotto ulteriore diverso profilo, della direttiva 2001/42/CE e del decreto legislativo n. 152/2006. Il provvedimento di screening, recante esclusione dalla V.A.S., non sarebbe motivato neppure per relationem, come invece ha ritenuto il T.A.R., e non sarebbe stato pubblicato sul sito web dell’autorità competente (erroneamente il primo giudice avrebbe giudicato la censura tardiva);

m) violazione degli artt. 16, comma 5, e dell’art. 17 della legge 17 agosto 1942, n. 1150. Il piano particolareggiato del 1997 avrebbe perso efficacia per scadenza del termine decennale, viziando o caducando gli atti urbanistici successivi, e non potrebbe intendersi superato dalla variante n. 5 approvata dal Comune, che – per le stesse modalità di approvazione e per la sua autoqualificazione – non potrebbe essere qualificata come nuovo piano, non avendo determinato un’operazione complessiva fondamentalmente nuova e radicalmente diversa dalla precedente, e non avrebbe prorogato l’efficacia dello strumento originario;

n) violazione dell’art. 49 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali – T.U.E.L.) per la mancata previa acquisizione del parere di regolarità tecnica sulla delibera n. 4/2015, in quanto il responsabile del settore urbanistica si sarebbe limitato a prendere atto di alcune circostanze con un mero richiamo alla deliberazione consiliare n. 1 del 25 febbraio 2014.

5.2. Gli appellanti hanno anche chiesto la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata prospettando il pericolo dell’irreparabile compromissione dei valori naturalistici, paesaggistici, architettonici, archeologici ed economici a seguito dei lavori già iniziati.

6. Il Comune di Marciano e l’Avvocatura generale dello Stato per le Amministrazioni statali chiamate in giudizio si sono costituiti in giudizio per resistere all’appello con memoria di stile e senza svolgere difese.

7. Con controricorso e appello incidentale, la Coop, riassunti i termini della vicenda:

a) ha sostenuto l’inammissibilità dell’appello (che si risolverebbe in una contestazione generica delle ragioni di rigetto e nella riproposizione dei motivi di primo grado, violando il principio della specificità dei motivi di gravame) e comunque l’infondatezza nel merito, opponendosi alla domanda cautelare;

b) ha riproposto le eccezioni preliminari non esaminate, assorbite o respinte dal primo giudice: I) irricevibilità o inammissibilità del ricorso principale per omessa impugnazione della parte operativa del P.R.G. e delle precedenti varianti al piano di lottizzazione, che già avrebbero contenuto gli elementi sostanziali trasferiti nella variante approvata con la delibera impugnata; II) erronea qualificazione dell’insediamento come centro commerciale per mancanza di una gestione unitaria di uno spazio comune [ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. g), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114].

8. Si è costituita anche la F.B.M. sostenendo:

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