Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 22 marzo 2018, n. 1838. Il comma 2 dell’art. 6 del decreto legislativo n. 152/2006, descrive le fattispecie di V.A.S. obbligatoria, fra le quali rientrano quelle di realizzazione di centri commerciali, menzionati nell’allegato IV

segue pagina antecedente
[…]

a) in rito: I) il difetto di legittimazione attiva del Comitato (ne sarebbe incerta l’esistenza e mancherebbe il requisito della stabilità temporale) e dei singoli imprenditori ricorrenti (privi della legittimazione a far valere interessi collettivi; inoltre la delibera n. 4/2015 non avrebbe determinato la localizzazione di nuovi esercizi commerciali, frutto di provvedimenti risalenti nel tempo – a partire dalla delibera n. 43 del 1° giugno 2001 – e non tempestivamente impugnati); II) l’irricevibilità del ricorso avverso i provvedimenti precedenti la delibera n. 4/2015, con la conseguente irricevibilità delle censure mosse avverso le scelte urbanistiche formulate con i provvedimenti medesimi; III) l’irricevibilità dei motivi proposti non il ricorso introduttivo, ma con le memorie;

b) nel merito, l’inammissibilità dell’appello per mancanza di specifiche censure contro la sentenza gravata e comunque l’infondatezza delle singole doglianze svolte nell’impugnazione.

9. Con successiva memoria, anche il Comune ha dedotto l’inammissibilità e l’infondatezza dell’appello e della domanda cautelare.

10. E’ intervenuta in giudizio ad opponendum la società Do. Fu. s.r.l., acquirente, nelle more del giudizio di primo grado, dell’area interessata e parte di contratti preliminari aventi a oggetto gli edifici costruendi.

11. Alla camera di consiglio del 4 maggio 2017 la domanda cautelare, sull’accordo delle parti, è stata riunita al merito della causa.

12. Le parti si sono successivamente scambiate memorie.

13. All’udienza pubblica del 15 marzo 2018, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

14. Iniziando dall’esame delle questioni di rito, va dichiarata tardiva e irricevibile la memoria depositata dagli appellanti in data 16 febbraio 2018, una volta cioè decorso il termine a ritroso di trenta giorni previsto dall’art. 73, comma 1, c.p.a.

15. L’eccezione di inammissibilità dell’appello per ritenuta genericità e mancanza di specificità dei motivi dell’appello è infondata e va respinta in quanto, se essa potrebbe avere un fondamento con riguardo a singole censure, come meglio si vedrà in seguito, è infondata rispetto al mezzo nella sua interezza, che in taluni suoi punti reca una puntuale critica della decisione impugnata (ad esempio, il sesto motivo rimprovera al T.A.R. l’errore materiale).

16. Più ampia analisi riguarda il punto della legittimazione ad agire, che investe l’ammissibilità dello stesso ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

16.1. Come detto, il ricorso è stato proposto dal Comitato ambientale ammetano, da alcuni imprenditori che risentirebbero un danno dalla realizzazione della nuova struttura di vendita, da soggetti proprietari o locatari di immobili nell’area destinata ad accoglierla. Il Tribunale territoriale ha riconosciuto la legittimazione del Comitato e dei residenti, negandola agli imprenditori. Contro questo capo della sentenza si rivolgono le critiche, ovviamente di segno contrario, dell’appello principale e delle parti resistenti.

16.2. Quanto al Comitato, questo è privo di legittimazione ad agire.

16.2.1. In linea di principio, merita apprezzamento l’esigenza espressa dal T.A.R. che, anche al fine di rendere effettivo per le formazioni sociali l’accesso alla giustizia per la tutela di interessi che godono di protezione pure costituzionale e internazionale, come l’interesse alla tutela dell’ambiente, valorizza e rende sufficiente il solo requisito della stabilità territoriale dell’organismo. Questa esigenza va però declinata secondo le coordinate del diritto interno.

16.2.2. A questo proposito, il Collegio non scorge decisive ragioni per discostarsi dall’orientamento costante in materia di questo Consiglio di Stato, che si articola su tre cardini:

a) la legittimazione ad agire non è limitata a quella legale (ex artt. 13 e 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349; artt. 309 e 310 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152), ma può essere riconosciuta caso per caso anche al di là delle specifiche ipotesi normativamente previste;

b) questa apertura pretoria della giurisprudenza non può condurre all’incontrollato proliferare di azioni popolari, non ammesse dall’ordinamento se non in via del tutto eccezionale;

c) di conseguenza, spontanei comitati o associazioni di cittadini possono ritenersi legittimati ad impugnare provvedimenti ritenuti lesivi di interessi comuni quanto meno se: I) esiste una previsione statutaria che qualifichi questo obiettivo di protezione come compito istituzionale dell’organismo; II) dimostrano di avere consistenza organizzativa, adeguata rappresentatività e collegamento stabile con il territorio ove svolgono l’attività di tutela degli interessi stessi; III) la loro attività si è protratta nel tempo e se, quindi, non si costituiscono in funzione della impugnazione di singoli atti e provvedimenti (cfr. sez. IV, 19 febbraio 2010, n. 1001; sez. VI, 23 maggio 2011, n. 3107; sez. V, 15 luglio 2013, n. 3808; sez. V, 2 ottobre 2014, n. 4928).

16.2.3. Nel caso di specie, il Comitato è incontestabilmente nato nell’estate 2014 in relazione alla proposta di variante in discussione. E’ dunque tipicamente un organismo ad hoc, del quale rimane anche incerto il profilo strutturale se non la stessa soggettività giuridica, poiché non sono disponibili l’atto costitutivo e lo statuto, ma solo articoli di giornale e documentazione varia ma generica circa l’attività svolta (doc. 19 allegato al ricorso introduttivo).

16.2.4. In questa parte, dunque, la sentenza di primo grado deve essere riformata dichiarando il Comitato sprovvisto dei requisiti minimi di legittimazione a proporre ricorso e poi appello.

16.3. Sono del pari sprovvisti della legittimazione attiva gli imprenditori ricorrenti con una sola eccezione.

16.3.1. Secondo l’indirizzo costante della Sezione, un operatore economico ha un interesse processuale personale, attuale e diretto a impugnare un titolo edilizio o urbanistico e la correlata autorizzazione commerciale nella sola ipotesi di coincidenza, totale o quanto meno parziale, del bacino di clientela, tale da poter oggettivamente determinare un’apprezzabile calo del proprio volume d’affari (3 settembre 2014, n. 4480; 19 marzo 2015, n. 1444; 19 novembre 2015, n. 5278; 19 luglio 2017, n. 3563).

16.3.2. Come appare dal ricorso introduttivo (pagg. 13 -14), le attività di impresa dei ricorrenti hanno localizzazioni diverse e contenuto eterogeneo [solo alcuni dei ricorrenti sono commercianti; uno è il direttore tecnico di una società (Fi.) che gestisce un laboratorio privato di fisiochinesi terapia e rieducazione funzionale; un altro è un coltivatore diretto che si occupa dell’azienda di famiglia a 2 km. dall’area di intervento; il pregiudizio commerciale di coloro che operano nel centro storico è affermato genericamente, anche perché il Comune, non contraddetto, contesta che il supermercato Coop avesse in precedenza collocazione centrale (pag. 8 della memoria del 29 aprile 2017) e alcuni dei soggetti si dolgono dell’allontanamento di tale struttura e non – come invece ordinariamente avviene – dell’invasione del proprio bacino di clientela].

16.3.3. In definitiva, l’interesse e la legittimazione possono essere riconosciute al solo signor Alvaro Bartolini, ricorrente e appellante, che – come non è contestato – esercita un’attività di vendita all’ingrosso e al minuto di prodotti vari nei pressi della nuova struttura.

16.3.4. Con questa sola eccezione, va dichiarato il difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti imprenditori (in ciò parzialmente accogliendo il primo motivo dell’appello e in parte riformando sul punto la sentenza del T.A.R.), i quali non hanno alcun titolo a far valere in giudizio interessi collettivi o sopraindividuali (tutela del centro storico, del tessuto produttivo locale e dell’ambiente).

16.4. Sussiste, infine, la legittimazione ad agire dei singoli residenti.

16.4.1. Vero è la semplice prossimità (in concreto dimostrata dalla documentazione in atti, diversamente da quanto assume il Comune) non è di per sé elemento sufficiente a fondare l’interesse a impugnare strumenti urbanistici generali, quale quello controverso.

16.4.2. In questo senso, infatti, è anche la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo la quale alla vicinitas del ricorrente deve aggiungersi un elemento ulteriore. Questo, in estrema sintesi, è costituito da ciò, che lo strumento urbanistico deve – in tesi – produrre un peggioramento della situazione (patrimoniale o personale) del ricorrente. Valgano a tal fine alcuni esempi.

16.4.3. I proprietari confinanti possono impugnare:

– il piano di recupero di un immobile, avente natura di piano urbanistico attuativo, in quanto vengano in rilievo interessi di carattere edilizio e strettamente inerenti alla disciplina del territorio (sez. IV, 29 luglio 2009, n. 4756);

– il progetto preliminare e il progetto esecutivo finalizzati alla realizzazione di un porto turistico che, se illegittimamente assentiti, sarebbero idonei ad arrecare pregiudizio ai valori urbanistici della zona (sez. IV, 26 giugno 2012, n. 3750);

– il progetto, comprensivo dell’approvazione di una variante per insediamenti produttivi, per la realizzazione – in un’area classificata come agricola dal previgente strumento di piano e destinata prevalentemente alla coltura del mais – di un centro di distribuzione e logistica merci, quando possa seguirne un pregiudizio consistente nella possibile diminuzione di valore del proprio immobile o nella peggiore qualità ambientale (sez. IV, 17 settembre 2012, n. 4926);

– il piano attuativo di insediamento edilizio interessante un’area con la destinazione urbanistica di “aree per servizi – parchi a verde attrezzato”, con la realizzazione delle opere di urbanizzazione strumentali all’insediamento residenziale, quando la nuova destinazione urbanistica, al di là della possibile incidenza sul valore dei beni, possa apportare un pregiudizio in termini di sottrazione di visuale, luce ed aria (sez. IV, 13 novembre 2012, n. 5715);

– il regolamento urbanistico, ritenuto non conforme al piano strutturale, che preveda l’edificabilità di un’area contigua, già collocata in “zona ippica” dal P.R.G. previgente, in ragione delle conseguenze pericolose per l’integrità dei beni dei ricorrenti e l’alterazione del complessivo quadro ambientale in cui questi hanno sinora vissuto (sez. IV, 12 giugno 2013, n. 3257).

16.4.4. Analoghi principi valgono per l’autorizzazione commerciale, non potendo applicarsi il puro criterio dello stabile collegamento con i luoghi, utilizzato dalla giurisprudenza in relazione ai titoli edilizi (sez. IV, 25 gennaio 2013, n. 489).

16.4.5. Tuttavia, è un dato di comune esperienza che la realizzazione ex novo di una media struttura di vendita M3 altera sensibilmente la situazione dell’area quanto meno in termini di volume di traffico veicolare e di disponibilità di parcheggi, con una complessiva e significativa alterazione del quadro preesistente.

16.4.6. Segue da ciò, come anticipato, il riconoscimento della legittimazione ad agire ai soggetti considerati.

17. Con il primo motivo dell’appello incidentale, la Coop ha sostenuto l’irricevibilità o l’inammissibilità del ricorso principale per mancata tempestiva impugnazione degli strumenti urbanistici precedenti, di cui l’atto oggetto di giudizio avrebbe contestato le scelte urbanistiche.

17.1. Il motivo è infondato e va respinto, dal momento che non è contestato che solo con la delibera n. 4/2015 sia stata autorizzata la realizzazione di una media struttura di vendita, cioè lo specifico tipo di intervento contro il quale si appuntano le censure dei ricorrenti.

18. La seconda censura dell’appello principale (errata declaratoria di irricevibilità di talune censure) verrà esaminata assieme al merito dei relativi motivi dell’appello.

19. Passando appunto al merito, il terzo motivo [sub c)] (omessa valutazione dei valori ambientali, della tutela dei centro storici e di quella dei consumatori) è infondato e al limite della inammissibilità, in quanto si limita a riproporre doglianze già correttamente ritenute generiche e insufficienti dal primo giudice. All’analisi della situazione contenuta nella relazione tecnico commerciale allegata al progetto, giudicata idonea dal Comune, gli appellanti contrappongono proprie diverse valutazioni di puro merito ma non contestano, ad esempio, che la realizzazione del nuovo insediamento commerciale consenta il recupero, la riqualificazione e il completamento di un’area a ridosso del centro storico (§ 4), tale potendosi considerare un’area che dal centro dista 3 km. Anche sotto quest’ultimo profilo, dunque, la censura è infondata e va respinta.

20. Circa il quarto motivo [sub d)] (autorizzazione paesaggistica), deve essere confermata la sentenza impugnata là dove ha ritenuto tardiva la censura di incompetenza della Direzione regionale del Ministero a rilasciare l’autorizzazione paesaggistica, poiché il precedente secondo motivo è infondato nella parte in cui sostiene che la specifica doglianza sarebbe contenuta alla pag. 19 del ricorso introduttivo, il che non è (il § 3.5 del ricorso, al contrario, sottolinea “la necessità del parere degli organi periferici del Ministero”).

20.1. La censura è di per sé inammissibile come nuova, poiché in primo grado la parte criticava l’omessa valutazione in sede di conferenza di servizi, da parte del Comune, del parere della Direzione regionale per i beni culturali dell’Umbria, e la mancata acquisizione del parere definitivo (pagg. 20-21 del ricorso) e in questa sede svolge doglianze di segno diverso, come detto in narrativa.

20.2. Il motivo sarebbe comunque infondato nel merito perché:

segue pagina successiva in calce all’articolo
[…]

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *