Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 22 marzo 2018, n. 1838. Il comma 2 dell’art. 6 del decreto legislativo n. 152/2006, descrive le fattispecie di V.A.S. obbligatoria, fra le quali rientrano quelle di realizzazione di centri commerciali, menzionati nell’allegato IV

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[…]

a) la Direzione regionale per i beni culturali dell’Umbria ha espresso il proprio definitivo parere con nota n. 26092 dell’11 settembre 2014, dopo avere acquisito i pareri della Soprintendenza per i beni archeologici e della Sovrintendenza per i beni archeologici e paesaggistici, che l’appello a torto svaluta;

b) la censura sulla lamentata inosservanza della scansione procedimentale della V.A.S. è inammissibile, perché la parte non espone quale concreta lesione gliene sia derivata (Cons. Stato, sez. IV, 12 gennaio 2011, n. 133).

21. Per il quinto motivo [sub e)] (omessa considerazione dei motivi di interesse generale legati alla salute, all’ambiente e alla sicurezza stradale) valgono le medesime considerazioni svolte per la terza censura, con conseguente pronunzia di infondatezza, se non di inammissibilità.

22. E’ inammissibile il sesto motivo [sub f)], concernente la mancata partecipazione del Comitato al procedimento amministrativo. In disparte la fondatezza del motivo nel merito, il Comitato, privo della legittimazione a ricorrere, non può dolersene in questa sede.

23. Il settimo motivo [sub g)] non ha pregio perché assume senza dimostrare che le prescrizioni imposte in sede di screening abbiano l’effetto di violazione o elusione della normativa V.A.S. e non contrasta la valutazione del Tribunale regionale, secondo cui le prescrizioni medesime avrebbero carattere eminentemente tecnico-operativo e sarebbero prive di qualunque implicazione di natura discrezionale.

24. Quanto all’ottavo motivo [sub h)] (mancata acquisizione della V.I.A.), non può essere considerata viziante la tardività della determina dirigenziale di screening n. 745/2015, perché anche qui l’appello non deduce il danno che deriverebbe dal carattere sopraggiunto del provvedimento, effettivamente successivo alla delibera impugnata e non a questa antecedente, come invece ha equivocato il T.A.R. con statuizione che deve essere riformata.

24.1. Piuttosto la questione, da un punto di vista sostanziale, è se l’assoggettamento a V.I.A. potesse essere legittimamente escluso.

24.2. A questo riguardo, il profilo di censura concernente l’omessa valutazione degli impatti cumulativi tra l’iniziativa in questione e altre iniziative commerciali intraprese è stata tempestivamente proposto con il ricorso di primo grado, cosicché va accolto sul punto il secondo motivo dell’appello avverso la declaratoria di irricevibilità contenuta al § 3 b) della sentenza gravata.

24.3. Nei termini in cui è rinnovata in questa sede di appello, la censura sostiene che il progetto non sarebbe stato sottoposto a V.I.A. “in virtù della circostanza che non sarebbero stati superati i limiti dimensionali previsti dalla normativa interna (il parcheggio sarebbe inferiore ai 500 posti auto), senza tener conto degli altri criteri previsti dalla direttiva [2011/92/UE, come successivamente modificata] quale l’area particolarmente trafficata ed interessata da altre strutture commerciali esistenti, con annessi parcheggi”.

24.4. Senonché la formulazione della censura prescinde dalla reale motivazione del provvedimento n. 745/2015, secondo la quale l’esenzione dalla V.I.A. è stata accordata perché, all’esito dell’istruttoria compiuta e in base ai pareri acquisiti, non sono risultati valori ambientali suscettibili di essere compromessi. La lesione concreta di tali valori è affermata genericamente, come si è detto nello scrutinio dei motivi sub c) e sub e), e gli appellanti non hanno dimostrato la concomitanza di altri impattanti progetti commerciali, che gli organi comunali avrebbero illegittimamente trascurato al momento della valutazione preliminare.

24.5. Infine, l’argomento tratto dalla sentenza della Corte costituzionale 28 ottobre 2013, n. 251, è nuovo e come tale inammissibile, ed è valido solo per i centri commerciali e non per qualunque insediamento a destinazione commerciale. Di ciò si dirà meglio subito appresso.

24.6. Di conseguenza, anche questo motivo non ha pregio.

25. Il nono motivo [sub i)] torna sul tema della V.A.S., dolendosi della sottoposizione del progetto al filtro dello screening e non immediatamente alla valutazione, come invece sarebbe stato obbligatorio in ragione dell’entità dell’intervento edilizio, per trattarsi della realizzazione di un centro commerciale.

25.1. E’ indubbio che, se di centro commerciale effettivamente si trattasse, sarebbe indispensabile la V.A.S. alla luce del comma 2 dell’art. 6 del decreto legislativo n. 152/2006, che descrive le fattispecie di V.A.S. obbligatoria (fra le quali rientrano appunto quelle di realizzazione di centri commerciali, menzionati nell’allegato IV), salvo che – come ha ritenuto il T.A.R. – per la configurazione dell’intervento non possa invece operare il comma 3, che a sua volta individua le ipotesi di V.A.S. facoltativa (“per i piani e i programmi di cui al comma 2 che determinano l’uso di piccole aree a livello locale e per le modifiche minori dei piani e dei programmi di cui al comma 2”) (lo ha però escluso Cons. Stato, sez. IV, 6 maggio 2013, n. 2446).

25.2. A questo proposito, il secondo motivo dell’appello incidentale della Coop e le difese di analogo contenuto svolte da altre parti resistenti contestano che la nuova struttura di vendita possa tecnicamente qualificarsi come centro commerciale ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. g), del decreto legislativo n. 114/1998, non essendo stata provata e nemmeno dedotta la gestione unitaria degli spazi comuni.

25.3. Tale doglianza merita di essere condivisa. Negli atti del procedimento non si parla di centro commerciale ma di un “insediamento commerciale costituito da due edifici con destinazioni supermercato e commercio specializzato” (così, ad es., la relazione tecnica al progetto di F.B.M. dell’aprile 2014; analogamente la delibera impugnata). E non è sufficiente che la struttura sia “comunque caratterizzata dalla presenza di più servizi ed infrastrutture comuni tra cui un parcheggio, un punto informativo, luoghi di ristoro e di svago nonché di un bancomat” (§ 4.7 della sentenza di primo grado), perché non vi è traccia di un centro di riferimento o di un accordo organizzativo della presunta gestione unitaria (il parcheggio è pubblico), in difetto della quale non è possibile configurare il centro commerciale in senso proprio (Cons. Stato, sez. V, 28 giugno 2004, n. 4790; sez. V, 15 febbraio 2007, n. 638; sez. IV, 6 maggio 2013, n. 2446).

25.4. In definitiva, va accolto il secondo motivo dell’appello incidentale e rigettato il motivo sub i) di quello principale.

26. Il decimo motivo [sub l)] dell’appello torna sul tema della V.A.S.: il provvedimento di screening sarebbe genericamente motivato e, in violazione dell’art. 12 del decreto legislativo n. 152/2006, non sarebbe stato pubblicato sul sito web dell’autorità competente.

26.1. La seconda parte della censura è stata tempestivamente proposta con il ricorso introduttivo e in questo senso va riformata la declaratoria di irricevibilità del T.A.R., in accoglimento del secondo motivo dell’appello.

26.3. Nel merito, il motivo in questione non ha sorte migliore di quelli che lo hanno preceduto. Il provvedimento del 22 settembre 2014 fa un corretto ed esaustivo rinvio alla istruttoria svolta e ai pareri acquisiti e, in presenza di una non contestata avvenuta pubblicazione del provvedimento sul B.U.R. del 7 aprile 2014 (memoria del Comune del 29 aprile 2014), che ha assicurato la necessaria pubblicità, la mancata pubblicazione sul sito web [resa oltre tutto obbligatoria da una novella legislativa appena entrata in vigore: art. 15, comma 1, lett. e) del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni nella legge 11 agosto 2014, n. 116] non ha leso alcun concreto interesse degli appellanti (che infatti hanno potuto proporre appello nei termini avverso la delibera conclusiva del procedimento) e rappresenta una semplice irregolarità.

27. L’undicesimo motivo [sub m)] deduce la violazione degli artt. 16 e 17 della legge urbanistica: i piani particolareggiati avrebbero efficacia decennale, in concreto il termine sarebbe ampiamente decorso e la variante approvata con la delibera impugnata non rappresenterebbe una sistemazione urbanistica dell’area radicalmente nuova, come senza ragione avrebbe affermato il T.A.R.

27.1. In disparte la questione dell’effettivo impatto dell’ultima variante di una complessa serie di atti urbanistici, avviatasi con la delibera del Consiglio comunale n. 135 del 28 ottobre 1997, a rigettare il motivo basterà osservare che la delibera consiliare n. 31 del 18 marzo 2009 (recante variante al piano attuativo), a suo tempo non impugnata e non più tempestivamente impugnabile, stabiliva in dieci anni dalla data della esecutività il termine per l’attuazione delle relative previsioni.

27.2. Di conseguenza, anche a voler considerare come variante in senso stretto lo strumento urbanistico oggetto della delibera n. 4/2015 (del che è lecito dubitare, alla luce dei condivisibili rilievi del primo giudice), questa sarebbe comunque intervenuta nella perdurante efficacia della citata delibera n. 31/2009.

28. Non ha pregio, infine, il dodicesimo motivo [sub n)] dell’appello, che deduce la mancata acquisizione del parere di regolarità tecnica da parte del responsabile del servizio interessato.

28.1. In primo luogo, per costante giurisprudenza, i pareri previsti dalla legge per l’adozione delle deliberazioni comunali (prima ex art. 53, della legge 8 giugno 1990, n. 142, e poi ex art. 49 T.U.E.L.) non costituiscono requisiti di legittimità delle deliberazioni cui si riferiscono, in quanto sono preordinati all’individuazione sul piano formale, nei funzionari che li formulano, della responsabilità eventualmente in solido con i componenti degli organi politici in via amministrativa e contabile, così che la loro eventuale mancanza costituisce una mera irregolarità che non incide sulla legittimità e la validità delle deliberazioni stesse (Cons. Stato, sez. V, 21 agosto 2009, n. 5012; sez. IV, 26 gennaio 2012, n. 351; sez. V, 8 aprile 2014, n. 1663).

28.2. In punto di fatto, peraltro – come bene ha osservato il Tribunale territoriale – tale parere esiste, è richiamato dalla delibera impugnata, distingue correttamente fra valutazioni di competenza degli organi politico-amministrativi e giudizio di conformità alla normativa regionale delle procedure urbanistiche seguite e non è inficiato dalla mancanza di formule sacramentali di regolarità, a torto ritenute indispensabili per la legittimità del provvedimento finale.

29. Dalle considerazioni che precedono discende in sintesi che:

a) l’appello principale è in parte inammissibile, in parte infondato, in parte fondato;

b) l’appello incidentale è in parte da respingere e in parte da accogliere.

30. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere confermata con motivazione in parte diversa.

31. Considerato l’esito e la complessità della controversia, le spese di giudizio possono essere compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

Sezione Quarta,

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, secondo quanto esposto in motivazione:

a) in parte dichiara inammissibile, in parte respinge e in parte accoglie l’appello principale;

b) in parte respinge e in parte accoglie l’appello incidentale;

c) per l’effetto, conferma la sentenza impugnata con motivazione parzialmente diversa;

d) compensa fra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 marzo 2018 con l’intervento dei magistrati:

Antonino Anastasi – Presidente

Fabio Taormina – Consigliere

Leonardo Spagnoletti – Consigliere

Giuseppe Castiglia – Consigliere, Estensore

Alessandro Verrico – Consigliere

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