L’abitualità e professionalità nella vendita di droga non esclude la lieve entità della condotta.

Sentenza 27 febbraio 2018, n. 9009
Data udienza 12 dicembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente

Dott. MOGINI Stefano – Consigliere

Dott. AGLIASTRO Mirella – Consigliere

Dott. DI STEFANO Pierlui – rel. Consigliere

Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 11/11/2016 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DI STEFANO PIERLUIGI;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. PRATOLA GIANLUIGI che ha concluso per l’inammissibilita’.

RITENUTO IN FATTO

La Corte di Appello di Bologna con sentenza dell’11 novembre 2016 ha confermato, salvo per un capo di imputazione, la condanna di (OMISSIS) per numerose violazioni del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, consistenti in singole operazioni di vendita a consumatori di cocaina per quantita’ “nell’ordine di alcuni grammi” per nonche’ in acquisti da un fornitore della sostanza da rivendere al dettaglio, per quantita’ indicate fino a “almeno una decina di grammi” per volta.

Si trattava di fatti accertati a seguito di intercettazioni telefoniche inizialmente attivate per svolgere indagini su altro reato consumato presso l’esercizio di ristorazione del ricorrente. Numerose delle conversazioni intercettate apparivano riferibili ad ordinativi di droga, ipotesi che trovava conferma in operazioni di polizia che portavano al sequestro di stupefacente in possesso degli acquirenti; parte di questi ultimi avevano esplicitamente ammesso di avere comprato la droga dal (OMISSIS).

La Corte di Appello, in risposta ai motivi specifici della difesa, confermava, salvo per il caso per il quale pronunciava l’assoluzione, la piena prova di responsabilita’ ed escludeva la ricorrenza dell’ipotesi minore di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5: “l’attivita’ di spaccio di stupefacenti posta in essere dal (OMISSIS), pluripregiudicato specifico, era quotidiana, durava da anni, era organizzata in modo professionale ed era, pertanto, tutt’altro che occasionale o di “lieve entita’”. Inoltre… l’imputato era in grado di soddisfare, anche contemporaneamente, a semplice richiesta un considerevole numero di consumatori – fronteggiando ogni esigenza sia della clientela fissa che di quella estemporanea – dimostrando, cosi’, di detenere normalmente quantitativi superiori a poche dosi”.

(OMISSIS) ricorre con atto a firma del difensore.

Con il primo motivo deduce la questione di legittimita’ costituzionale della norma incriminatrice nella parte in cui prevede una pena minima di anni otto di reclusione anziche’ quella di anni sei introdotta con la L. n. 49 del 2016, articolo 4bis.

Con il secondo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione quanto alla valutazione delle prove.

Con terzo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione per non essere stati qualificati i fatti quali reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5; la Corte di Appello aveva tenuto conto soltanto della reiterazione della condotta e dei precedenti penali, circostanze irrilevanti ai fini della qualificazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ fondato quanto al terzo motivo.

Il primo motivo e’ superato dalla decisione (di inammissibilita’) adottata dalla Corte Costituzionale sulla questione qui genericamente dedotta.

Il secondo motivo e’ manifestamente infondato perche’ la Corte di Appello motiva in modo analitico e non illogico su tutte le contestazioni, non residuando ambiti di intervento del giudice di legittimita’ che non puo’ procedere ad autonoma valutazione del materiale probatorio.

E’ invece fondato il terzo motivo per il chiaro errore, alle condizione date, di qualificazione giuridica del fatto.

L’ipotesi del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 5 non puo’ essere esclusa in radice per la “professionalita’” che la Corte di Appello, peraltro, ricollega non a specifiche condizioni del fatto (nel caso di specie non si va al di la’ delle ordinarie cautele per la vendita di droga) ma alla mera circostanza di vendere abitualmente droga. Poiche’ la Corte valorizza soprattutto il dato che non si tratti di condotta “occasionale”, evidentemente ritiene “professionale” qualsiasi spacciatore di mestiere, con affermazione che, prima ancora di essere non logica, e’ contraria alla legge che, prevedendo al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74, comma 6, l’ipotesi della associazione finalizzata a reati di cui al citato comma 5, evidentemente configura il reato minore anche nell’ambito dell’attivita’ di spaccio con carattere di “professionalita’”.

Ne’ le condotte possono essere escluse dall’ambito del reato minore sulla scorta dell’altro argomento della sentenza impugnata, ovvero le quantita’ complessive accertate: la Corte le indica in quantita’ indefinite, comunque superiori a “poche dosi”, ma dalla motivazione e’ ben certo che, comunque, si tratta di piccole quantita’. La cosa e’ ben chiara la’ dove la Corte di Appello, sulla scorta dei fatti accertati, ritiene che il ricorrente dimostri “… di detenere normalmente quantitativi superiori alla singola dose”. Ovvero, vende ben poche unita’.

Tale carattere di piccolo spaccio risulta anche per la scarsa quantita’ della sostanza in questione dal lato dell’approvvigionamento: secondo i capi di imputazione, gli acquisti dal fornitore dovrebbero essere contenuti entro i 10 g per volta, cosi’ determinando un ambito limitato di cessione al dettaglio.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la corretta qualificazione dei fatti, come accertati dalla Corte di merito, puo’ essere operata in questa sede, dovendosi disporre il rinvio al giudice di merito per la nuova determinazione della pena.

P.Q.M.

Qualificati i fatti ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, annulla la sentenza impugnata e rinvia per la determinazione della pena ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna.

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