Corte di Cassazione, sezione sesta penale, sentenza 26 ottobre 2017, n. 49258. Peculato e non peculato d’uso per l’assessore del comune che dà alla figlia il suo telefono di servizio per le sue chiamate personali, facendo pagare la bolletta al comune.

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La Corte territoriale ha ritenuto provata la responsabilita’ dell’imputato per avere dato in uso pressoche’ esclusivo e continuativo alla figlia minore la scheda telefonica, utilizzo che non e’ avvenuto all’insaputa del (OMISSIS), ma con il suo pieno consenso. Inoltre, i giudici hanno escluso la configurabilita’ dell’ipotesi del peculato d’uso, ritenendo che nella specie non vi sia stato ne’ un uso momentaneo della scheda, ne’ la sua immediata restituzione dopo l’uso, ne’, infine, l’intenzione di restituire il bene dopo l’uso temporaneo. Infine, e’ stata negata l’applicazione delle attenuanti di cui all’articolo 323-bis c.p. e articolo 62 c.p., n. 4.
2. Nell’interesse dell’imputato gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo si denuncia l’inosservanza della legge penale e la manifesta illogicita’ della motivazione con riferimento all’articolo 314 cod. pen. e alla configurabilita’ di una condotta appropriativa sorretta dalla portata offensiva e dal dolo richiesti dalla previsione incriminatrice, censurando la sentenza per non aver dato risposte adeguate alle contestazioni difensive contenute nell’atto di appello.
In particolare, si sostiene che manchino gli elementi costitutivi del peculato, dal momento che il semplice uso del telefono concesso per ragioni d’ufficio non puo’ equipararsi alla appropriazione richiesta dalla norma incriminatrice. Infatti, l’oggetto materiale della condotta e’ rappresentato dalla scheda SIM, che pero’ e’ sempre rimasta nella disponibilita’ dell’amministrazione, non uscendo mai dalla sfera di disponibilita’ e controllo di questa.
Sotto un differente aspetto, si sottolinea come nella specie difetti la stessa offensivita’ della condotta appropriativa di cui all’articolo 314 c.p., comma 1: in particolare, si sottolinea che secondo gli accordi contrattuali era previsto un limite di spesa relativo al traffico telefonico nella misura di Euro 180,00 a bimestre, nel senso che lo sforamento di tale limite avrebbe dovuto essere rimborsato dall’imputato, sicche’ non avrebbe potuto essere in alcun modo oggetto di appropriazione. D’altra parte, si evidenzia come, in base a tale accordo contrattuale, la natura pubblica o privata delle telefonate non rilevava, sia riguardo a quelle interne al plafond di Euro 180,00, sia con riferimento alle telefonate fuori plafond. L’aver stabilito un limite alle spese telefoniche esimeva l’amministrazione da ogni controllo sul traffico telefonico e, quindi, sulla destinazione delle stesse telefonate. Su tali punti e’ mancata una risposta da parte della sentenza impugnata. In ogni caso, si osserva che tenuto conto del tipo di accordo previsto, l’importo delle telefonate da prendere in considerazione non corrisponde a quanto indicato nel capo di imputazione, in quanto esso sarebbe costituito soltanto dalla somma corrispondente alla quota fissa bimensile, pari ad un importo di circa Euro 1.000 complessivi, condotta che, tenuto conto del periodo temporale di riferimento e del fatto che non ha leso la funzionalita’ dell’amministrazione, avrebbe dovuto essere ritenuta inoffensiva, come del resto statuito dalla giurisprudenza di legittimita’, anche a Sezioni unite.
Inoltre, nello stesso motivo, si evidenziano una serie di elementi che avrebbero dovuto escludere la sussistenza del dolo, tra cui: il fatto che l’amministrazione comunale non abbia mai segnalato al (OMISSIS) lo sfondamento del plafond; le due denunce di smarrimento fatte dall’imputato, che confermano la sua buona fede; le dichiarazioni di (OMISSIS), che ha riferito di non sapere che l’utenza fosse intestata al Comune.
2.2. Con il secondo motivo si contesta la sentenza per avere escluso la configurabilita’ dell’ipotesi del peculato d’uso, ponendosi in contrapposizione con la giurisprudenza di legittimita’ in materia analoga. La Corte d’appello avrebbe dovuto fare applicazione dell’articolo 314 c.p., comma 2, dal momento che per uso momentaneo non deve intendersi un uso “istantaneo”, ma “temporaneo” e, inoltre, considerando che non e’ stato provato che l’utenza telefonica sia stata continuativamente nella disponibilita’ della minore per l’intero periodo indicato nella contestazione.
2.3. Con il terzo motivo si critica la sentenza la’ dove ha escluso la riqualificazione del fatto nell’ipotesi di cui al reato di cui all’articolo 323 cod. pen., giustificata dalla mancanza di una interversione del possesso.
2.4. Il quarto motivo e’ dedicato agli aspetti relativi al trattamento sanzionatorio. Si censura la decisione per non aver riconosciuto la sussistenza delle attenuanti di cui all’articolo 62 c.p., n. 4, e articolo 323-bis cod. pen. e per avere applicato una pena ben superiore al minimo edittale, nonostante l’avvenuta concessione dell’attenuante del risarcimento del danno.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I primi tre motivi sono infondati.
1.1. Innanzitutto, deve confermarsi la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistente il reato di peculato e ha, di conseguenza escluso l’ipotesi minore prevista dall’articolo 314 cod. pen., comma 2.
La Corte d’appello, sulla base di una motivazione logica e coerente, ha ritenuto dimostrato che l’imputato, dopo aver ricevuto dal Comune di (OMISSIS) l’assegnazione di una scheda telefonica SIM (utenza (OMISSIS)) per le sue funzioni di consigliere comunale, l’abbia ceduta alla figlia (OMISSIS), che l’ha utilizzata in via pressoche’ esclusiva e continuativa, con il suo pieno consenso.
Nel ricorso si contesta che vi si stata appropriazione, in quanto il semplice uso della scheda avrebbe dato luogo solo ad un addebito a carico dell’amministrazione delle somme corrispondenti all’utilizzazione della scheda stessa, che quindi sarebbe rimasta sempre nella disponibilita’ dell’amministrazione comunale, nel senso che non sarebbe mai uscita dalla sfera di controllo e di disponibilita’ dell’ente pubblico.
Questo Collegio non puo’ che ribadire quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, che ha messo in evidenza come, nella specie, il reato contestato sussista, in quanto vi e’ stata una vera e propria “cessione” del bene in questione (scheda SIM) da parte del pubblico ufficiale ( (OMISSIS)) ad un terzo (la figlia (OMISSIS)), perche’ lo utilizzasse uti dominus, in violazione del vincolo di destinazione attribuito dall’amministrazione. In questo modo si e’ realizzato l’interversio possessionis, con la conseguente perdita della disponibilita’ del bene: a questo proposito, per evidenziare l’indebita alterazione dell’originaria destinazione del bene (c.d. espropriazione) e, d’altra parte, la sua strumentalizzazione a vantaggio di un soggetto diverso dal titolare del diritto (c.d. impropriazione), la sentenza ha sottolineato la circostanza che (OMISSIS) abbia utilizzato la scheda del Comune di (OMISSIS) anche nel suo soggiorno negli Stati Uniti.

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