Corte di Cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 4 ottobre 2017, n. 23119. Per i contratti a termine reiterati, per la misura risarcitoria non si può fare ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo

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che con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36, comma 5 e della L. n. 183 del 2010, articolo 32, commi 5 e 7, osservando che l’interpretazione delle predette norme, per come prospettata dalla Corte d’appello, contrasta con il quadro normativo di riferimento risultante dalla ricostruzione offerta dalle sezioni unite della Corte di Cassazione;
che, acclarata l’illegittimita’ del termine apposto al contratto, il motivo risulta fondato alla luce del principio secondo il quale “in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36, comma 5, va interpretata in conformita’ al canone di effettivita’ della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicche’, mentre va escluso siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, puo’ farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui alla L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l’indennita’ forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito” (Cass. Sez. U., n. 5072 del 15/03/2016);
che, in forza del richiamato principio, il regime risarcitorio previsto dalla citata norma trova applicazione indipendentemente dalla conversione del rapporto, in concreto non consentita in ragione della natura pubblica del datore di lavoro;
che in base alle svolte argomentazioni deve essere accolto il primo motivo di ricorso, con assorbimento della seconda censura;
che ne consegue la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio, per la determinazione della misura del risarcimento secondo gli indicati parametri, alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimita’, alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione.
Motivazione semplificata.

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