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Il motivo e’ inammissibile.

La censura, che non risulta sia stata sollevata avanti al giudice di appello – e di cui, infatti, la Corte di Messina non si occupa – implica, come e’ del tutto evidente, specifici accertamenti di fatto. Essa e’ pertanto inammissibile nella presente sede. Va ricordato, in proposito, che la questione afferente la proposizione dell’appello da parte di un soggetto diverso da quello legittimato, puo’ essere sollevata dal ricorrente in cassazione, ancorche’ egli non l’abbia sollevata nel precedente grado di giudizio ma a una duplice condizione: che non si sia formato il giudicato interno sul punto e che non siano necessari accertamenti di fatto (Cass. 30 dicembre 2011, n. 30246; Cass. 17 giugno 2014, n. 13762). Poiche’ la decisione richiesta implica una ricognizione, in fatto, delle richiamate vicende traslative, e’ escluso che la questione veicolata dal primo motivo possa avere ingresso nella presente sede.

D’altro canto – puo’ aggiungersi per mera completezza – nel corpo della censura nemmeno si chiarisce (fatta eccezione per il richiamo, operato dai ricorrenti, a una corrispondenza di cui peraltro si ignora il contenuto, citata a pag. 10 del ricorso) se i documenti posti a fondamento dell’impugnazione siano stati prodotti nella precedente fase di merito: per il che il motivo risulta pure carente di specificita’, a mente dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6. Ne’ la prova di quanto dedotto nel motivo potrebbe essere affidata a documenti prodotti nella sede di legittimita’, giacche’ le ipotesi di nullita’ della sentenza che consentono, ex articolo 372 c.p.c., la produzione di nuovi documenti in sede di giudizio di legittimita’ sono limitate a quelle derivanti da vizi propri dell’atto per mancanza dei suoi requisiti essenziali di sostanza e di forma, e non si estendono, pertanto, a quelle originate, in via riflessa o mediata, da vizi del procedimento (per tutte: Cass. 2 luglio 2014, n. 15073; Cass. 26 ottobre 2006, n. 23026; con riferimento al tema della legittimazione ad agire in relazione alla qualita’ di successore dell’originaria parte del processo: Cass. 24 luglio 2012, n. 12982).

2. – La doglianza espressa nel secondo motivo e’ rubricata come violazione o falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. e dell’articolo 119 t.u.b. (Decreto Legislativo n. 385 del 1993), oltre che degli articoli 88 e 116 c.p.c. e come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Lamentano in sintesi i ricorrenti che il giudice distrettuale abbia quantificato l’importo ad essi dovuto assumendo, quale dato di partenza, il saldo negativo comunicato dall’istituto di credito al giorno 19 dicembre 1985, piuttosto che il saldo zero. Asseriscono, in proposito, che l’istituto bancario non aveva provato la sussistenza del proprio credito, cosi’ come quantificato nel ricorso per ingiunzione (risultando incompleta la documentazione degli estratti conto con riferimento all’anno 1983 e mancando tutta la documentazione relativa all’anno 1985). Aggiunge che la banca, quale attore in senso sostanziale nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, era onerata di dimostrare l’entita’ del proprio credito mediante la produzione di tutti gli estratti conto a partire dalla conclusione del contratto e che, in difetto di tale documentazione, il rapporto di conto andava ricostruito assegnando il saldo zero alla data del 19 dicembre 1985: per contro, la Corte di merito aveva recepito il conteggio del consulente tecnico d’ufficio che individuava in Euro 206.573.897 il saldo iniziale a quella data.

Il motivo non ha fondamento.

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