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stabilire in che misura la vittima di un fatto illecito abbia tenuto una condotta concausativa del danno, ai sensi dell’articolo 1227 c.c., comma 1, e’ un accertamento di fatto, non una statuizione in diritto, e come tale e’ incensurabile in sede di legittimita’;
nel caso di specie tuttavia la ricorrente, pur formalmente lamentando una violazione di legge, nella sostanza chiede a questa Corte una nuova e diversa valutazione delle prove, rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, ed un nuovo apprezzamento dei fatti;
ed infatti:
(a) non vi e’ stata violazione dell’articolo 2054 c.c., in quanto il giudice di merito non ha negato in iure che il conducente di un autoveicolo risponda in via presuntiva dei danni causati con la circolazione, ma ha ritenuto in facto che il pedone abbia tenuto comunque una condotta colposa, consistita nell’attraversare la strada di notte e senza servirsi degli attraversamenti pedonali;
(b) non vi e’ stata violazione delle norme del codice della strada invocate dalla ricorrente: la Corte d’appello, infatti, non ha negato che incombano sull’automobilista gli obblighi ivi previsti, ma ha ritenuto che anche il pedone violo’ delle regole di comune prudenza, e che senza tale violazione il sinistro non si sarebbe verificato: affermazione che non solo non viola alcuna norma di legge, ma anzi costituisce puntuale applicazione del precetto di cui all’articolo 1227 c.c., comma 1;
col secondo motivo la ricorrente lamenta il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5;
deduce che la Corte d’appello avrebbe attribuito al pedone un concorso di colpa senza che la societa’ assicuratrice avesse mai dimostrato la colpa della vittima; e senza tenere conto del fatto che l’automobilista al momento dell’impatto aveva appena effettuato un sorpasso non consentito; del fatto che aveva violato il limite di velocita’, e del fatto che aveva investito il pedone quando quest’ultimo aveva pressoche’ completato l’attraversamento della carreggiata;
il motivo e’ infondato;
la Corte d’appello, alle pp. 9-10 della propria sentenza, ha preso in esame la condotta dell’automobilista, ritenendola “sicuramente colposa”; ha tenuto conto della violazione dei limiti di velocita’, ed ha reputato “distratta” la guida dell’automobilista; dunque non ha omesso di considerare alcun fatto decisivo e controverso; la circostanza, poi, che la Corte d’appello abbia ritenuto colposa la condotta d’un pedone che, in ora notturna attraversi la strada al di fuori delle strisce, e senza concedere la prescritta precedenza agli automobilisti in transito, per un verso costituisce puntuale applicazione della legge (articolo 190 C.d.S., comma 5: “i pedoni che si accingono ad attraversare la carreggiata in zona sprovvista di attraversamenti pedonali devono dare la precedenza ai conducenti); e per altro verso costituisce un accertamento di fatto, incensurabile in questa sede;
col terzo motivo la ricorrente lamenta – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli articoli 1223, 2043 e 2055 c.c., nonche’ degli articoli 40 e 41 c.p.;
lamenta che la Corte d’appello, nella determinazione del danno alla salute patito da (OMISSIS), avrebbe erroneamente ritenuto che i disturbi psichici della vittima non fossero stati causati dal sinistro, ma fossero preesistenti;
la ricorrente non nega la preesistenza di tali disturbi, ma sostiene che essi dovevano ritenersi una “concausa naturale” del danno complessivo; sicche’, nel concorso tra una causa umana di danno ed una causa naturale, la Corte d’appello non avrebbe dovuto sceverare quanta parte del danno psichico fosse imputabile alle concause preesistenti, e quanta parte al sinistro, ma avrebbe dovuto addossare l’intero danno al responsabile;
il motivo e’ infondato;
la ricorrente, infatti, confonde il problema della causalita’, con quello della stima del danno, ovvero le nozioni di causalita’ naturale e causalita’ giuridica;
sul piano della causalita’ naturale, e’ nel vero la ricorrente quando assume che l’autore d’un fatto illecito risponde di tutti i danni che ne sono derivati, a nulla rilevando che essi siano stati concausati anche da eventi naturali;
tuttavia, una volta stabilito che l’autore del fatto illecito risponda al 100% dei danni causati in parte da lui, ed in parte da cause naturali, altro e diverso problema e’ stabilire come si debbano stimare tali danni; sotto questo aspetto, e’ insegnamento ricevuto e pacifico nella medicina legale che nella stima del danno alla salute debba tenersi conto dello stato anteriore di salute della vittima;
in particolare, quando il danneggiato gia’ prima del sinistro fosse stato “affetto da una patologia pregressa ed irreversibile dagli effetti gia’ invalidanti (…) il danno risarcibile sara’ determinato considerando sia la differenza tra lo stato di invalidita’ complessivamente presentato dal danneggiato dopo (il fatto illecito) e lo stato patologico pregresso, sia la situazione che si sarebbe determinata se non fosse intervenuto il fatto lesivo imputabile (commissivo od omissivo)” (sono parole di Cass. civ., sez. 3, 21-07-2011, n. 15991, in Corriere giur., 2011, 1672); nel caso di specie, la Corte d’appello ha fatto applicazione di questi principi: essa infatti non ha ridotto la responsabilita’ dell’investitore e del suo garante per il fatto che la vittima fosse invalida gia’ prima dell’investimento, ma ha solo escluso dal novero dei danni risarcibili l’invalidita’ di cui comunque la vittima sarebbe stata portatrice, anche se non fosse stata investita;
le spese del presente giudizio di legittimita’ vanno a poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo;
il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si da’ atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dal L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17).
P.Q.M.
(-) rigetta il ricorso;
(-) condanna (OMISSIS) alla rifusione in favore di (OMISSIS) ltd. delle spese del presente giudizio di legittimita’, che si liquidano nella somma di Euro 4.000, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, ex articolo 2, comma 2;
(-) da’ atto che sussistono i presupposti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di (OMISSIS) di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
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