Corte di Cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 11 dicembre 2017, n. 29606. Ai fini del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, il valore della controversia va fissato sulla base del criterio del “disputatum”

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che:

con il primo motivo si denuncia violazione dell’articolo 156 c.p.c., comma 2, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Osserva la ricorrente che non e’ dato comprendere quale sia stato il valore della controversia cui il giudice di appello si sia riferito e che comunque, assumendo il valore di Euro 43.965,15, il giudice di appello non si e’ attenuto al valore medio che, per lo scaglione che va da Euro 26.001 a Euro 52.000, e’ pari ad Euro 1.960,00 per la fase di studio ed Euro 1.350,00 per la fase introduttiva, ma ha liquidato l’importo esorbitante di Euro 6.615,00. Aggiunge che vi e’ contrasto fra motivazione e dispositivo in quanto dopo che in motivazione sono stati indicati i parametri, il dispositivo se ne e’ discostato raddoppiando il compenso in questione.

Il motivo e’ manifestamente infondato. La censura difetta di specificita’ nella parte in cui la ricorrente si duole della non comprensione del valore della controversia cui il giudice di merito ha fatto riferimento per la liquidazione delle spese. La stessa ricorrente articola poi la censura facendo riferimento all’importo chiesto nell’atto introduttivo del giudizio. Ed invero ai fini del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, il valore della controversia va fissato sulla base del criterio del “disputatum”, ossia di quanto richiesto nell’atto introduttivo del giudizio ovvero nell’atto di impugnazione parziale della sentenza (Cass. Sez. U. 11 settembre 2007, n. 19014; 12 gennaio 2011, n. 536). Priva di pregio e’ pero’ la censura nei termini del mancato rispetto del valore medio. In tema di liquidazione delle spese processuali successiva al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, non trova fondamento normativo un vincolo alla determinazione secondo i valori medi ivi indicati, dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita motivazione (Cass. 31 gennaio 2017, n. 2386; 16 settembre 2015, n. 18167). Non ricorre infine il lamentato contrasto fra motivazione e dispositivo, avendo in motivazione il giudice di appello evidenziato le fasi per le quali spettava la liquidazione.

Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’articolo 111 Cost., comma 6, articoli 134 e 348 ter c.p.c., Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 4, comma 1, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente che l’ordinanza difetta di motivazione sia perche’ non risulta indicato il valore della controversia sia perche’ la liquidazione e’ stata effettuata in modo abnorme in misura doppia rispetto ai valori medi senza alcuna motivazione.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, articolo 4, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente che il giudice di appello ha praticato l’aumento del 100% rispetto ai valori medi e che tale aumento e’ previsto solo limitatamente alla fase istruttoria, mentre per le fasi di studio ed introduttiva del giudizio l’aumento massimo possibile e’ dell’80%.

Il secondo ed il terzo motivo, da valutare unitariamente, sono manifestamente fondati. Avuto riguardo allo scaglione da Euro 26.000,01 ad Euro 52.000,00, sono previsti i valori di Euro 1.960,00 per la fase di studio ed euro 1.350,00 per la fase introduttiva, i quali, in base al Decreto Ministeriale n. 55 del 2104, articolo 4, possono essere aumentati dell’80% (“il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate che, in applicazione dei parametri generali, possono essere aumentati, di regola, fino all’80 per cento, o diminuiti fino al 50 per cento”). L’importo liquidato di Euro 6.615,00 e’ superiore a quello complessivo risultante dall’aumento nella misura dell’80%, e cioe’ Euro 5.958,00, senza che al riguardo sia stata fornita alcuna motivazione. Solo la motivazione avrebbe potuto rendere conoscibili le ragioni che hanno indotto all’aumento oltre il valore massimo in relazione alle circostanze del caso concreto, rendendo conforme a legge l’avvenuta determinazione dei compensi professionali (Cass. 12 gennaio 2016, n. 253; 3 agosto 2016, n. 16225). Il minimo ed il massimo delle tariffe restano infatti derogabili con apposita motivazione (Cass. 31 gennaio 2017, n. 2386; 16 settembre 2015, n. 18167).

Non essendo necessari accertamenti di fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito. Avuto riguardo al valore della causa, competono per spese processuali Euro 3.310,00, sulla base del valore medio che, per lo scaglione che va da Euro 26.001,00 a Euro 52.000,00, e’ pari ad Euro 1.960,00 per la fase di studio ed Euro 1.350,00 per la fase introduttiva. L’appellante va condannata alla rifusione delle spese processuali nella misura indicata.

Le spese del giudizio di legittimita’, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

accoglie il secondo e terzo motivo e rigetta il primo motivo di ricorso; cassa l’ordinanza in relazione ai motivi accolti; decidendo nel merito condanna (OMISSIS) alla rifusione delle spese processuali di secondo grado in favore della parte appellata che liquida in Euro 3.310,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.

Condanna la parte intimata al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

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