Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 21 settembre 2017, n. 43433. Non è inutilizzabile, in assenza di una violazione di legge, l’accertamento dell’identità dell’indagato attraverso i dati del Dna contenuti nell’archivio informatico presso la Pg

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6. Il settimo motivo di ricorso, relativo alla congruita’ del trattamento sanzionatorio, risulta essere inammissibile.
Il rigetto delle circostanze attenuanti generiche e’ fondato su motivazione esente da manifesta illogicita’ che, pertanto, e’ insindacabile in cassazione (Cass., Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419) dovendosi ribadire il principio affermato da questa Corte secondo cui non e’ necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244). Questa Corte (per tutte, Sez. 6, sentenza n. 2642 del 14 gennaio 1999, CED Cass. n. 212804) ha in piu’ occasioni chiarito che le circostanze attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale “concessione” del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioe’ tra le circostanze da valutare ai sensi dell’articolo 133 c.p., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una piu’ incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena. A questo orientamento si e’ correttamente conformata la Corte di appello valorizzando, ai fini del diniego, l’assenza di congrui profili di meritevolezza. La relativa motivazione, fondata su argomentazioni esaurienti, logiche e non contraddittorie, risulta, pertanto, esente da vizi rilevabili in questa sede.
La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita’ del giudice di merito, che la esercita, cosi’ come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e’ inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita’ della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), cio’ che – nel caso di specie – non ricorre. Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantita’ di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, e’ necessaria soltanto se la pena sia per lo meno superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’articolo 133 c.p. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravita’ del reato o alla capacita’ a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596). Nel caso di specie, la pena risulta essere ben al di sotto dei valori medi edittali.
7. Alle suesposte considerazioni consegue la dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso e, per il disposto dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.500,00 nonche’ alla rifusione delle spese legali sostenute dalle seguenti parti civili.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro millecinquecento a favore della cassa delle ammende.

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