Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 21 settembre 2017, n. 43433. Non è inutilizzabile, in assenza di una violazione di legge, l’accertamento dell’identità dell’indagato attraverso i dati del Dna contenuti nell’archivio informatico presso la Pg

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Deve poi rilevarsi che la Corte ha – con giudizio di merito la cui logicita’ nemmeno risulta contestata in ricorso – evidenziato come la permanenza quasi ventennale dell’imputato sul territorio italiano, riscontrata dallo stato detentivo e dagli stessi depositi difensivi risulti elemento rilevante ai fini della necessita’ della traduzione degli atti (e – di fatto – ai fini della conoscenza della lingua).
In radice, stante la regolarita’ delle notificazioni, deve comunque osservarsi la mancanza di una tempestiva eccezione in sede di merito.
Va comunque rilevato che vi e’ prova in atti della avvenuta traduzione in lingua albanese dell’avviso di cui all’articolo 415 bis c.p.p. e della traduzione della raccomandata ex articolo 169 c.p.p..
3. Quanto al quarto motivo di ricorso, relativo alla asserita inesistenza dell’autorizzazione del PM al deposito dei reperti presso il RIS per gli accertamenti e al mancato deposito degli atti a cui la relazione tecnica fa riferimento in relazione all’impossibilita’ di verificare la modalita’ di acquisizione dei campioni di raffronto, deve rilevarsi trattarsi di mera riproposizione dei medesimi motivi di appello oggetto di risposta logica e conforme a diritto da parte della Corte territoriale.
Infatti, la Corte d’appello ha correttamente evidenziato come l’evocata omessa acquisizione degli atti del diverso procedimento all’interno del quale e’ stato svolto l’esame del DNA non integri alcun motivo di nullita’ o inutilizzabilita’ ma riguardi esclusivamente approfondimenti istruttori che avrebbero potuto essere sollecitati tramite richieste istruttorie mai avanzate ne’ in primo ne’ in secondo grado.
Va comunque precisato che – secondo la giurisprudenza di questa Corte – non e’ inutilizzabile, in mancanza della violazione di un divieto di legge, l’accertamento sulla identita’ dell’indagato compiuto mediante ricorso ai dati relativi al DNA contenuti in un archivio informatico che si trovi presso la Polizia giudiziaria, finanche in violazione dalle cautele previste dal codice sulla “privacy” (Sez. 5, Sentenza n. 4430 del 05/12/2006 – dep. 05/02/2007 – Rv. 235969). Nemmeno l’atto di prelievo del campione genetico non implica speciali competenze tecniche comportanti l’esigenza di osservare precise garanzie difensive, necessarie invece per la successiva attivita’ di valutazione dei risultati (Sez. 3, Sentenza n. 25426 del 01/07/2015 -dep. 20/06/2016 Rv. 267097) che e’ una operazione di confronto sempre ripetibile (Sez. 2, Sentenza n. 2476 del 27/11/2014 – dep. 20/01/2015 Rv. 261866).
4. Quanto al quinto motivo del ricorso, con cui si lamenta l’omesso avviso al difensore dell’accertamento tecnico effettuato nei confronti di soggetto ignoto e poi utilizzato nel processo, deve osservarsi che questa Corte ha gia’ evidenziato che, qualora il P.M. debba procedere ad accertamenti tecnici non ripetibili ai sensi dell’articolo 360 c.p.p., ricorre l’obbligo di dare l’avviso al difensore solo nel caso in cui al momento del conferimento dell’incarico al consulente sia gia’ stata individuata la persona nei confronti della quale si procede mentre tale obbligo non ricorre nel caso che la persona indagata sia stata individuata solo successivamente all’espletamento dell’attivita’ peritale (Sez. 1, Sentenza n. 18246 del 25/02/2015 Rv. 263858).
5. Quanto al sesto motivo di ricorso, relativo alla affermata insussistenza di prove sufficienti ai fini della condanna, deve rilevarsi che l’iter argomentativo del provvedimento impugnato appare esente da vizi, fondandosi esso su di una compiuta e logica analisi critica degli elementi di prova (il ritrovamento di guanti contenenti tracce di DNA dell’imputato, le dichiarazioni della parte offesa e le certificazioni in atti) e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilita’ logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della univocita’, in quanto conducenti all’affermazione di responsabilita’ al di la’ di ogni ragionevole dubbio.
L’articolazione dei motivi prende in considerazione del tutto separatamente valutazioni della Corte e atti processuali in maniera del tutto isolata senza considerarne la logica complessiva. Al proposito, va ricordato come questa Corte ha costantemente affermato che il requisito della gravita’ degli indizi di colpevolezza non puo’ essere ritenuto insussistente sulla base di una valutazione separata ed atomistica dei vari dati probatori, dovendosi invece verificare se gli stessi, coordinati ed apprezzati globalmente secondo logica comune, assumano la valenza richiesta dall’articolo 273 c.p.p., atteso che essi, in considerazione della loro natura, sono idonei a dimostrare il fatto se coordinati organicamente. (Sez. 2, Sentenza n. 9269 del 05/12/2012, dep. 27/02/2013, Rv. 254871).

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