Corte di Cassazione, sezione seconda civile, sentenza 16 ottobre 2017, n. 24345. L’iscrizione all’Albo dei giornalisti pubblicisti

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3.5. A fronte del chiaro disposto dell’articolo 35 che, pur apparentemente legittimando la produzione di meri certificati dei direttori delle pubblicazioni, oltre a esemplari delle stesse,’ richiede testualmente in effetti – a ben vedere – anche la prova di un’attivita’ “regolarmente retribuita”, questa corte ritiene doversi far applicazione delle ordinarie regole probatorie affinche’ detto requisito emerga. In tal senso – pur non essendo vincolanti – i criteri ordinistici secondo i quali non e’ sufficiente, al fine di dimostrare l’attivita’ biennale “regolarmente retribuita”, la mera produzione di scritti pubblicati e certificazioni degli editori, essendo necessario altresi’ il riscontro della “regolarita’” appunto – dei compensi ai sensi di legge, sono peraltro condivisibili; a essi, del resto, sono conformi le decisioni dei giudici di merito che, avvedutisi della carenza del requisito dell’annualita’ dei compensi, in quanto corrisposti apparentemente a ridosso dell’istanza di iscrizione (tutti i compensi appaiono corrisposti nel 2010, e nel 2010 e’ effettuata ritenuta d’acconto per il biennio), nonche’ della loro non tracciabilita’ alla luce della dichiarata corresponsione in contanti, in assenza di dichiarazioni fiscali diverse dalla certificazione del versamento di ritenuta d’acconto, hanno ritenuto indimpstrato il detto requisito della “regolarita’” della retribuzione e, quindi, plausibile la simulazione, in tutto o in parte, del pagamento.
3.6. Siccome strettamente correlata all’applicazione di detto presupposto ai fini della verifica, ricostruito in base a. corretta interpretazione della norma, la sentenza impugnata sfugge alle censure di violazione dell’articolo 35 cit.
3.7. Parimenti risultano rispettate le regole civilistiche sul riparto dell’onere probatorio, trattandosi della mancanza di prova che era onere dell’interessata fornire. Quanto alla presunta violazione delle regole sul ragionamento presuntivo, la relativa critica non coglie nel segno, non ravvisandosi nella sentenza impugnata alcun ragionamento probatorio fondato su presunzioni, quanto piuttosto la negazione che si fosse raggiunta una prova, anche presuntiva, dell’avvenuto pagamento.
4. In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
Considerato inoltre che il ricorso per cassazione e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 quater al testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 2.500 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e oltre accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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