Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 31 agosto 2017, n. 39771. In ordine alla responsabilità medica delle ostetriche per la morte intrauterina del feto

Per la morte intrauterina del feto, non possono considerate responsabili le ostetriche in servizio nella clinica privata se manca la prova che un coinvolgimento del medico avrebbe impedito l’evento.

 

Sentenza 31 agosto 2017, n. 39771
Data udienza 31 maggio 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PALLA Stefano – Presidente

Dott. VESSICHELLI Maria – rel. Consigliere

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 29/04/2016 della CORTE APPELLO di SALERNO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere MARIA VESSICHELLI;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. F. Marinelli, che ha concluso per l’annullamento con rinvio alla Corte di Appello di Salerno;

L’avv. (OMISSIS) espone diffusamente le considerazioni a sostegno della richiesta di rigetto del ricorso con conferma della sentenza gravata come da conclusioni che deposita unitamente alla nota spese;

L’avv. (OMISSIS) illustra alla Corte le ragioni su cui fonda la richiesta di annullamento della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Propongono ricorso per cassazione.

– (OMISSIS),

– (OMISSIS) e

– (OMISSIS) S.p.A. a mezzo del procuratore speciale (OMISSIS), quale responsabile civile;

avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno in data 29 aprile 2016 con la quale – a parte l’attenuazione del regime sanzionatorio per (OMISSIS) – e’ stata confermata quella di primo grado, di condanna delle due predette ricorrenti in ordine al reato di interruzione colposa di gravidanza, commesso, secondo la contestazione, il 12 gennaio 2010.

1.1 Le imputate, ostetriche in servizio presso la (OMISSIS), sono state ritenute responsabili di avere cagionato, per colpa, l’interruzione della gravidanza di (OMISSIS), giunta a causa di dolori che avvertiva, nella citata struttura sanitaria privata. Le due ostetriche, che pure hanno eseguito tracciati cardio-tocografici nei confronti della paziente e, avendone rilevato la forte irregolarita’ che denunciava sofferenza fetale, hanno avvisato telefonicamente il medico che assisteva privatamente la donna, sono state ritenute colpevoli – a fronte della allarmante situazione evidenziata dai tracciati stessi, da esse apprezzata – di non avere richiesto e preteso, essendo state omesse incisive iniziative da parte del medico curante privato, l’intervento del medico di guardia in servizio presso la clinica (dott. (OMISSIS), imputato nello stesso processo e assolto). In tal modo era decorso un lasso di tempo molto lungo prima che il medico privato della partoriente, dottoressa (OMISSIS), fosse incisivamente intervenuto, disponendo il ricovero in un ospedale dove, tuttavia, il feto veniva estratto gia’ morto.

Le due imputate sono state pertanto condannate alla pena ritenuta di giustizia ed altresi’, in solido con la (OMISSIS), responsabile civile, a rifondere il danno e le spese delle parti civili.

1.2 La posizione della dottoressa (OMISSIS) e’ stata devoluta alla Procura della Repubblica.

2. Deduce il difensore del responsabile civile e delle ricorrenti, con distinti ricorsi dal contenuto sovrapponibile, la violazione di legge sulla configurabilita’ della colpa specifica delle ostetriche dipendenti dalla casa di cura e del nesso di causalita’ (articolo 113 c.p., e L. n. 194 del 1976, articolo 17; articoli 40 e 41 c.p.) nonche’ il vizio di motivazione.

2.1 Quanto al profilo della colpa addebitata alle ricorrenti, il difensore contesta il ragionamento della Corte d’appello che individua la negligenza nell’omesso interpello del dottore (OMISSIS), medico di guardia della clinica.

Segnala che le ostetriche avevano assolto tutti i compiti loro spettanti, in particolare eseguendo – ognuna di esse – un tracciato cardio – tocografico il cui esito veniva inserito nella cartella clinica.

Superando i limiti dei propri incombenti, le ostetriche avevano, in piu’, allertato il medico curante privato il quale, in base alla prassi instaurata dalla clinica (OMISSIS), era il dominus del trattamento riservato al paziente da esso stesso seguito. Lo stesso medico in questione aveva, il giorno precedente, personalmente eseguito un primo tracciato da esso stesso interpretato in termini tranquillizzanti. Il giorno in cui furono eseguiti i tracciati delle due ostetriche, il medesimo medico (OMISSIS) aveva, all’esito del primo, dato indicazioni di limitarsi all’osservazione, trattandosi di una gravidanza non giunta a termine e, solo all’esito del secondo, deciso di assumere iniziative con il trasferimento in altra struttura.

2.2 Quanto all’accertato nesso di causalita’, la difesa lamenta che i giudici del merito si sono basati soltanto sul coefficiente di probabilita’ statistica e non anche, come preteso dalla giurisprudenza di legittimita’, su un giudizio calato nella realta’ concreta e di alta probabilita’ logica che consentisse di affermare che, posta in essere l’azione doverosa in realta’ omessa, l’evento non si sarebbe verificato con elevato grado di credibilita’ razionale, dovendosi anche escludere l’interferenza di decorsi alternativi.

In altri termini, a parere della difesa, manca il giudizio contro – fattuale eseguito sulla base di una regola di esperienza o di una legge scientifica di copertura, in modo tale da poter affermare che, ipotizzandosi come realizzata la condotta doverosa, l’evento non si sarebbe verificato oppure si sarebbe verificato in epoca significativamente posteriore o con minore intensita’ lesiva.

Con riferimento al caso concreto, il difensore osserva che non e’ stata dimostrata la stretta causalita’ tra la condotta delle ostetriche e la morte del feto, non essendo stati valorizzati l’esito del tracciato, l’eventuale esistenza di una patologia placentare risalente e il tasso di mortalita’ del nascituro nelle specifiche condizioni di salute della gestante, in tal senso essendosi espresso il consulente di parte Dott. (OMISSIS) che aveva espresso forti dubbi sulla probabilita’ che il feto, fortemente prematuro e probabilmente gia’ affetto da un danno ischemico prima dell’ingresso nella clinica, potesse sopravvivere al parto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono fondati.

1.1 Invero, occorre premettere che la motivazione della sentenza impugnata non appare censurabile in ordine alla ricostruzione degli estremi della colpa addebitata alle ricorrenti.

La giurisprudenza di questa Corte e’ uniforme nell’affermare che integra il delitto colposo di interruzione della gravidanza la condotta dell’ostetrica che, incaricata di eseguire un tracciato cardio-tocografico all’esito del quale si evidenzi un’anomalia cardiaca del feto, ometta di informare tempestivamente il medico di turno, sempre che la violazione della regola cautelare, consistente nella richiesta di intervento immediato del sanitario, abbia cagionato o contribuito significativamente a cagionare l’evento morte (Sez. 5, Sentenza n. 20063 del 12/12/2014 Ud. (dep. 14/05/2015) Rv. 264072.

Sulla stessa linea si e’ osservato che l’ostetrica, che abbia sotto la propria assistenza e controllo una partoriente, deve sollecitare tempestivamente l’intervento del medico appena emergano fattori di rischio per la madre e comunque in ogni caso di sofferenza fetale. (Nella fattispecie, relativa ad omicidio colposo del nascituro, la Corte ha affermato la responsabilita’ dell’ostetrica la quale, quantunque il monitoraggio cardio-tocografico della paziente indicasse una progressiva sofferenza fetale, aveva ritardato ad avvertire i sanitari con la conseguenza del decesso del feto) (Sez. 4, Sentenza n. 21709 del 29/01/2004 Ud. (dep. 07/05/2004) Rv. 228951; conformi Sez. 4, Sentenza n. 35027 del 16/07/2009 Ud. (dep. 09/09/2009) Rv. 245524; Sez. 4, Sentenza n. 21709 del 29/01/2004 Ud. (dep. 07/05/2004) Rv. 228951.

Nel caso di specie, risulta essere stato interpellato soltanto il medico che assisteva privatamente la paziente mentre, come correttamente osservato dal giudice del merito, l’affidamento della donna alle cure e alla capacita’ di assistenza della clinica ove era stata ricoverata comportava – quantomeno nel caso, verificatosi nella specie, di omesso intervento del primo – la doverosita’ dell’attivazione di tutte le risorse disponibili, ivi compresa l’assistenza e l’intervento del medico di turno della clinica il quale, infatti, era stato previsto ed era presente nell’organico predisposto dalla Casa di cura: e cio’, posto l’accertato contenuto allarmante gia’ del primo tracciato cardio-tocografico (dimostrativo di sofferenza fetale), nell’ottica di porre il medico nella condizione di valutare con urgenza la necessita’ di trasferimento della gestante in una struttura ospedaliera dotata di terapia intensiva neonatale (come recita il capo di imputazione).

Si tratta, come e’ evidente, di colpa che assume rilievo nella forma della negligenza, non essendo in discussione la perizia invece dimostrata dalle ostetriche nel rilevare con immediatezza il carattere non regolare dell’esame diagnostico di loro competenza.

D’altra parte non puo’ non rilevarsi come le stesse norme deontologiche riguardanti la professionalita’ dell’ostetrica facessero, gia’ all’epoca, carico alle stesse, in base alla consapevolezza del livello di esperienza maturata ed al grado di competenza richiesta dal caso, non solo di richiedere l’opportuna consulenza medica ma persino, ove lo imponesse la situazione concreta, l’immediato trasferimento della persona assistita in una struttura di cura appropriata, non esimendosi dal praticare comunque le iniziali ed inderogabili misure d’emergenza.

2. Non ugualmente incensurabile e’ la sentenza impugnata con riferimento alla configurazione dell’imprescindibile nesso di causalita’.

Il principio di diritto da ritenere operativo nella materia de qua e’ quello affermato dalla giurisprudenza di legittimita’ piu’ recente e particolarmente da Sez. 4, n. 49707 del 2014, ric. Incorvaia, postasi sul solco della piu’ nota sentenza delle SSUU Franzese del 2002.

Questa Corte ha cioe’ ripetutamente chiarito che “anche nell’ambito della causalita’ omissiva vale la regola di giudizio della ragionevole, umana certezza; e che tale apprezzamento va compiuto tenendo conto da un lato delle informazioni di carattere generalizzante afferenti al coefficiente probabilistico che assiste il carattere salvifico delle misure doverose appropriate, e dall’altro delle contingenze del caso concreto”.

Del pari, Sez. F, n. 41158 del 25/08/2015 Ud. (dep. 13/10/2015) Rv. 264883 ha affermato che in tema di responsabilita’ per condotte omissive in fase diagnostica, ai fini dell’accertamento della sussistenza del nesso di causalita’, occorre far ricorso ad un giudizio contro-fattuale meramente ipotetico, al fine di accertare, dando per verificato il comportamento invece omesso, se quest’ultimo avrebbe, con un alto grado di probabilita’ logica, impedito o significativamente ritardato il verificarsi dell’evento o comunque ridotto l’intensita’ lesiva dello stesso. (Fattispecie in cui e’ stata esclusa la responsabilita’ degli imputati, non essendo stata raggiunta la prova che, ove questi avessero ripetuto determinati esami strumentali, sarebbero pervenuti con certezza od elevata probabilita’ od una diagnosi differenziale di quella formulata, che avrebbe consentito di compiere l’intervento chirurgico necessario per impedire il decesso del paziente).

Sulla stessa linea Sez. 4, n. 18573 del 14/02/2013 Ud. (dep. 24/04/2013) Rv. 256338 ha osservato che in tema di omicidio colposo, sussiste il nesso di causalita’ tra l’omessa adozione da parte del medico specialistico di idonee misure atte a rallentare il decorso della patologia acuta, colposamente non diagnosticata, ed il decesso del paziente, quando risulta accertato, secondo il principio di contrafattualita’, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l’evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con minore intensita’ lesiva. (Fattispecie nella quale il sanitario di turno presso il pronto soccorso non aveva disposto gli accertamenti clinici idonei ad individuare una malattia cardiaca in corso e, di conseguenza, non era intervenuto con una efficace terapia farmacologica di contrasto che avrebbe rallentato significativamente il decorso della malattia, cosi’ da rendere utilmente possibile il trasporto presso struttura ospedaliera specializzata e l’intervento chirurgico risolutivo).

Sul tema della responsabilita’ del personale infermieristico, vale il principio enunciato da Sez. 4, n. 9170 del 14/02/2013 Ud. (dep. 26/02/2013) Rv. 255397, secondo cui il rapporto di causalita’ tra omissione ed evento deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilita’ logica, sicche’ esso e’ configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilita’ razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensita’ lesiva. (Fattispecie nella quale e’ stata annullata con rinvio la sentenza di appello che aveva ritenuto, ai fini civili, la responsabilita’ del personale infermieristico per il decesso di un paziente a seguito di caduta dal letto assegnatogli).

2.1 Come nelle sentenze sopra citate, anche nella fattispecie in esame il piu’ volte citato apprezzamento, facente parte dei doveri argomentativi del giudice del merito, non e’ stato correttamente compiuto.

Le informazioni prospettate dalla Corte di merito e dalla sentenza di primo grado descrivono una situazione nella quale non emerge per nulla l’umana razionale certezza dell’effetto salvifico; ma anzi traspare che si era in presenza di una condizione patologica estremamente grave, divenuta difficilmente governabile, nella quale la partoriente con segnalati problemi di coagulazione del sangue, che avevano gia’ contraddistinto le sue due precedenti gravidanze (una soltanto della quale risoltasi felicemente), si era presentata nel luogo di cura con forti dolori, in epoca assai precoce per il parto e cioe’ alla 26 settimana di gravidanza.

Soltanto dopo circa 24 ore era stata trasferita in un ospedale attrezzato, con diagnosi di sofferenza fetale da sospetta insufficienza placentare, e dunque con un ritardo sicuramente colpevole ma non per questo anche manifestamente decisivo in base al doveroso ragionamento contro-fattuale, nella prospettiva dell’impedimento dell’evento penalmente rilevante.

2.2 Non risulta cioe’ argomentato, in sentenza, che anche un intervento tempestivo ed appropriato al massimo, avrebbe assicurato il positivo superamento della fase di crisi, non essendo stato chiarito, dai giudici di merito, quale fosse la intrinseca gravita’ dello stato patologico del feto, accanto ad ogni utile osservazione riguardante l’aggravarsi oggettivo di tale stato per il suo mancato tempestivo riconoscimento ad opera del personale medico a cio’ preposto e, ancor prima, della mancata predisposizione di iniziative di contrasto da parte del personale infermieristico.

In tale situazione manca dunque la possibilita’ di ritenere che con razionale, umana certezza l’evento sarebbe stato evitato da un atteggiamento terapeutico diverso. Manca in breve la prova del nesso causale, non essendosi in grado di affermare che, in relazione la caso concreto, un pronto interessamento – ad opera delle ricorrenti – del medico in grado di adottare ogni utile decisione medica o chirurgica avrebbe impedito la morte intrauterina del feto e dunque l’aborto.

La indagine del nesso causale, peraltro, con riferimento alla specifica fattispecie in esame riguardante personale infermieristico, presenta connotati peculiari, dovendosi evidenziare che non rientrava nella competenza delle ostetriche effettuare direttamente la scelta del parto prematuro ma solo quella di porre lo specialista medico- chirurgo nella condizione di effettuare la propria opzione, alla luce del fatto che la gravidanza non era giunta a termine.

Il giudice del rinvio rinnovera’ la propria disamina attenendosi ai menzionati principi di diritto.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata con rinvio, per nuovo esame, alla Corte di appello di Napoli.

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